Un delitto ufficialmente impunito
La vera storia del caso Milverton
di Ivo Lombardo
"Watson, è proprio necessario che lei debba scrivere questa storia? Mi sembra che quest'anno sia stato ricco di casi interessanti perché lei si ostini a rivolgere la sua attenzione ad una serie di eventi sui quali ci deve essere il riserbo più assoluto. O forse vorrebbe dirmi che non ricorda?" mi apostrofò duramente Sherlock Holmes quando seppe della mia intenzione di pubblicare la vicenda relativa alla morte del re dei ricattatori, Charles Augustus Milverton.
"Ricordo benissimo, Holmes, ma la prego di calmarsi!" replicai altrettanto energicamente.
"Allora mi spieghi le ragioni del suo improvviso interesse per quella vicenda sulla quale, invece, non le avevo raccomandato altro di tacere."
"Le posso garantire che certi risvolti del caso Milverton sono alquanto atipici e riusciranno a coinvolgere degnamente il lettore. Inoltre, non vedo il motivo per cui si debba continuare a tacere della vera storia di quegli eventi, dato che Moriarty è morto e che il Colonnello Moran è stato arrestato lo scorso febbraio." 1
Era la sera del 22 dicembre 1894, anno che aveva visto il ritorno del Grande Detective sulla scena di Londra, come testimoniano i casi da lui risolti quell'anno. Li voglio ricordare per dovere di cronaca: l'Avventura della Casa Vuota, l'Avventura della Seconda Macchia, il Caso di Wisteria Lodge, il Caso del Costruttore di Norwood, e l'Avventura del Golden Pince-nez.
Ma io ero deciso ad insistere sulla pubblicazione del caso Milverton, i cui eventi risalgono all'ormai lontano 1887, lontano non tanto dal punto di vista cronologico, quanto per le conseguenze che avrebbero avuto nella vita pubblica della nostra capitale.
"Invece, è proprio questo il punto, Watson! I personaggi che lei ha appena citato sono scomparsi da troppo poco tempo perché tutto si possa cancellare con un semplice colpo di spugna."
"Intende dire che qualche pezzo grosso della banda sta ancora portando avanti l'operato di Moriarty?"
"Anche questo, Watson! Ma il vero motivo è che solo tacendo il più a lungo possibile su certi dettagli si potrà far luce adeguatamente sul marcio che ancora cova negli ambienti altolocati di Londra."
Voi lettori ricorderete la figura di Charles Augustus Milverton. Tuttavia, la storia pubblicata tanti anni fa è solo una versione riveduta e corretta di quegli avvenimenti. Almeno così mi era stato imposto di fare dai fratelli Holmes.
Anche Mycroft Holmes, infatti, si era duramente opposto alla pubblicazione di quegli eventi, e solo dopo le mie insistenze si giunse al compromesso che voi tutti avete letto.
Ma i lettori più attenti mi fecero notare parecchi particolari "strani" di quella storia che, tra l'altro, non soddisfò affatto gli ammiratori del Grande Detective. Qualcuno mi accusò di negligenza, qualcun altro pensò che mi fossi inventato tutto, qualcun altro addirittura mi accusò di aver taciuto di certi dettagli per invidia nei confronti del mio amico, con lo scopo di metterlo in cattiva luce.
D'altronde, sembra strano che Holmes si fosse fatto dileggiare da Milverton a Baker Street nel modo che avete letto senza reagire da par suo e, soprattutto, senza prevedere che il ricattatore avesse preso adeguate precauzioni.
Inoltre, come era stato possibile che una signora, di età non più verde, fosse arrivata da sola a Appledore Towers, commettere il delitto e riuscire a fuggire indisturbata come un fantasma? Il suo odio nei confronti del ricattatore non sarebbe bastato in ogni caso, senza l'aiuto di "qualcuno" che avesse operato nell'ombra.
Altro particolare: come mai Lestrade non aveva abbozzato alcuna obiezione al rifiuto di Holmes di occuparsi del caso? Lestrade non è il massimo della perspicacia, d'accordo, ma da quel mastino tenace che è sempre stato, avrebbe dovuto sospettare di qualcosa di "poco chiaro".
E, infine, come era stato possibile che uno come Milverton, abituato a prendere precauzioni di ogni tipo (come la sua attività doveva imporgli), accettasse di ricevere qualcuno da solo, a tarda ora, contravvenendo totalmente a quelle che erano le sue abitudini consolidate? L'arroganza e l'eccessiva sicurezza ostentata dal personaggio non bastano a spiegare l'ennesima anomalia.
A questo punto riprendo in mano la penna e il manoscritto originale e mi accingo a raccontare la vera storia, precisamente dal momento in cui il re dei ricattatori aveva fissato un appuntamento a Baker Street, una visita preceduta da un'altra visita da parte di... un illustre sconosciuto alle quattro del mattino!
In quell'occasione Holmes mi intimò di rimanere chiuso in camera, perché il colloquio con "lo sconosciuto" avrebbe dovuto svolgersi nel riserbo più assoluto. Non riuscii a vedere quello "sconosciuto" in faccia, quando arrivò da noi; ricordo solo che era di mole notevole, quasi pachidermica.
I due rimasero a parlare per più di un'ora. Non fui capace a riaddormentarmi, tanta era la curiosità per quella visita inattesa in un orario ancora più inatteso. Provai a origliare, ma riuscii a captare solo alcuni spezzoni di frase. Il nome Milverton ricorreva spesso, ma in un paio di occasioni venne nominato un certo Colonnello, il cui nome continuava a sfuggirmi. Un particolare mi colpì: lo "sconosciuto" si rivolgeva al detective in modo molto confidenziale.
Quando udii lo "sconosciuto" accomiatarsi ritornai in letto facendo finta di dormire. Holmes irruppe nella mia stanza dopo un paio di minuti, giusto il tempo di fronteggiare le ire di Mrs. Hudson per l'orario in cui aveva ricevuto quell'individuo, si chinò sul mio letto e disse con un tono di voce affannoso: "Mi rincresce disturbarla, Watson, ma ho bisogno del suo aiuto! Anche se lei ha cercato di origliare, sono convinto che non ha compreso la gravità della situazione."
Cercai di protestare, ma il detective anticipò ogni spiegazione: "Il suo letto è ancora freddo, Watson, il che implica che lei sia rimasto sveglio ad origliare, e vi sia ritornato solo due minuti fa. Mi dica solo cosa è riuscito a percepire."
Cercando di ricostruire alla meno peggio i vari spezzoni del discorso, accennai a certi ricatti e lettere minatorie, nominai quel Milverton, nonché quel Colonnello di cui non avevo afferrato il nome... Al che Holmes mi interruppe di brutto: "Dimentichi quest'ultimo dettaglio, Watson! Per il resto più o meno ci siamo, anche se sarà mio dovere fornirle delucidazioni adeguate."
E fu così che feci la conoscenza con Charles Augustus Milverton e delle sue losche trame, come a suo tempo ebbi a scrivere. Holmes mi parlò anche della visita che il ricattatore aveva già fissato per il tardo pomeriggio, e che confermò con un telegramma qualche ora dopo, ma, soprattutto, mi ordinò tassativamente di non prendere alcuna iniziativa in occasione di quella fatidica visita.
"Watson, qualunque cosa dirà quel farabutto, noi non dobbiamo reagire nel modo più assoluto! Sentiremo cose squallide, ma il nostro compito sarà solo quello di fargli sputare tutto il suo veleno per poi prendere adeguate contromisure. E, soprattutto, non potrò agire completamente di mia iniziativa, ma dovrò consultarmi con una persona."
"Quello sconosciuto che è venuto a trovarla?"
"Già!" rispose Holmes, con tono di malsopportazione.
"Mi tolga una curiosità! Ho avuto l'impressione che quell'individuo, rispetto a tutti quelli che sono finora venuti a consultarsi con lei, avesse molta confidenza nei suoi confronti!"
A quelle parole Holmes sbuffò: "Watson, la prego di non trascurare gli elementi fondamentali per soffermarsi su dettagli di importanza secondaria!"
Reprimendo a stento la mia insofferenza a quelle critiche immeritate, lo invitai a gran voce a moderare la sua reazione. E il detective, in modo evasivo, replicò: "Watson, il caso è della massima importanza e non ammette distrazioni di alcun tipo. Lei è invitato a collaborare nel modo che le spiegherò io. Per il momento lei è libero, ma non prenda alcun impegno per questo pomeriggio!"
Trascorsi l'intera mattinata nel mio studio, anche se ricevetti la visita di quattro pazienti soltanto. Alle due ritornai nella pensione di Baker Street, ma Holmes non c'era. Trovai sul tavolo un bigliettino: "Watson, non si allarmi per la mia assenza. Sarò di ritorno il più presto possibile!" In queste circostanze Holmes era solito andare nei suoi rifugi segreti sparsi per tutta Londra, oppure contattare gente di sua fiducia. Sono sicuro che in quell'occasione sia andato a parlare con "lo sconosciuto".
Alle sei Holmes ritornò un po' trafelato, ma in tempo per affrontare la visita di Milverton a proposito del ricatto ai danni di lady Eva Brackwell.
La dinamica dei successivi eventi è quella descritta nella storia che avete già letto, compreso il finto "fidanzamento" di Holmes con la cameriera di Milverton, fino al momento in cui il Detective decise di fare un'incursione notturna a Appledore Towers. Da allora gli avvenimenti prendono una piega completamente diversa rispetto a quanto descritto nella storia pubblicata.
Alcuni giorni dopo la visita del ricattatore, Holmes ricevette una lettera recapitatagli da uno degli Irregulars. Un sorriso di compiacimento incorniciò il suo volto.
"Era il messaggio che aspettavo! Watson, questa notte se la sente di fare una visita al nostro amico Milverton?"
"Ci ha convocati a Appledore Towers per qualche proposta?" chiesi. Speravo, infatti, che il ricattatore si fosse deciso ad ammorbidire la sua posizione nei confronti di lady Eva.
"Magari, Watson! Invece, ci toccherà fare gli scassinatori e i ladri di documenti!"
Gocce di sudore imperlarono la mia fronte. Con voce tremante, cercai di fare chiarezza sulla situazione.
"Vorrebbe dire che noi due dovremmo, da soli..."
"Non da soli, Watson!" interruppe Holmes. "Ci aiuteranno dei collaboratori che hanno il pieno appoggio da gente che lavora per conto del Governo Britannico. Questa lettera conferma quanto le ho appena detto."
Era evidente che la faccenda aveva ormai imbroccato il sentiero del "non ritorno". Ma quello che mi disturbava maggiormente era l'atteggiamento di segretezza che il detective aveva assunto nei miei confronti.
Prima che potessi abbozzare una reazione, Holmes continuò: "Noi ci sobbarcheremo la parte pesante del lavoro, quella relativa allo scassinamento e al furto dei documenti, ma le garantisco che avremo le spalle coperte. Ho detto alla mia fiancée di incatenare il cane da guardia, perché questa sera sarei venuto a trovarla, per cui potremo agire indisturbati. Posso contare sulla sua collaborazione, Watson?"
"Certo che può, Holmes!" risposi, stizzito. "Gradirei solo avere le idee più chiare sull'intera faccenda e conoscere meglio tutti quei dettagli che lei si ostina a nascondermi."
"Le prometto che a tempo debito lei verrà a conoscenza di tutti i risvolti di questa faccenda, Watson, ma ora è ancora presto per informarne i suoi lettori."
Quelle parole mi turbarono profondamente. Per far scomodare collaboratori del Governo Britannico era lecito dedurre che questo Milverton fosse qualcosa di più di un ricattatore.
Il detective mi illustrò come avremmo dovuto operare e, alle dieci in punto, una carrozza si fermò sulla soglia della nostra pensione.
"Ecco i nostri uomini, Mr. Jones e Mr. Hurrington!" esclamò Holmes, guardando dalla finestra. Entrarono nel nostro appartamento due giovani di circa 25 anni, slanciati, molto atletici, con un atteggiamento che oserei definire marziale, vestiti con abiti di raffinata eleganza.
"Salve, Mr. Holmes! Come vede, siamo arrivati puntuali." Poi, rivolgendosi a me: "Piacere di conoscerla, Dr. Watson! Verrà anche lei?"
"Sì! Il Dr. Watson sarà anch'egli della partita." rispose Holmes. "E adesso dobbiamo cominciare, senza perdere altro tempo!"
Il detective illustrò il suo piano su una mappa che riproduceva, in modo particolareggiato, la fortezza di Appledore Towers; poi prendemmo il materiale descritto nella storia pubblicata e scendemmo giù.
"Noi non dobbiamo uscire, Watson! Non vorrei che l'ingresso di Baker Street fosse sorvegliato." mi intimò Holmes. Poi si rivolse ai nostri collaboratori: "Adesso mettiamo in atto le nostre contromosse. Ci vedremo al N. 45 di Oxford Street."
I due uscirono e gridarono al vetturino di portarli all'indirizzo stabilito. Dopo un quarto d'ora uscimmo anche noi, fermammo una carrozza e Holmes urlò al vetturino di portarci a Hampstead, alla fortezza di Appledore Towers. Ma percorso un breve tratto, intimò al vetturino di cambiare direzione: "Scusi, abbiamo cambiato idea! Ci porti al N. 45 di Oxford Street con la massima urgenza, e noi le daremo la stessa tariffa che avremmo dovuto pagarle per il tragitto fino a Hampstead." Al vetturino non parve vero guadagnare tutti quei soldi con il minimo sforzo, ed eseguì gli ordini a puntino.
A Oxford Street Jones e Hurrington ci fecero montare sulla loro carrozza. Feci in tempo a osservare, alla debole luce di un lampione, che quella carrozza non aveva una targa - quindi non si trattava di una vettura pubblica - e che una parte della fiancata sembrava sbiadita, come se fossero state tolte delle insegne di recente. Il mistero sulla missione a Appledore Towers si infittiva sempre più! Altro particolare: le fattezze del vetturino, un tipo molto taciturno, di nome Wilkies, richiamavano quelle dei nostri collaboratori. Arrivammo a destinazione alle 11,30.
Fermammo la carrozza nelle vicinanze della fortezza, ci travestimmo nel modo descritto nella versione già pubblicata ed entrammo dal cancello, come era stato predisposto dal Detective con l'involontaria complicità della sua fiancée. Povera ragazza! Chissà come rimarrà delusa nei prossimi giorni, quando Holmes, conclusa la missione, la scaricherà come un ferrovecchio. D'accordo che in guerra e in amore tutto è permesso, però...
Ma qualcosa non stava andando secondo i piani di Holmes. Mentre ci avviavamo al portone del caseggiato, udimmo due voci ben distinte.
"Il Colonnello arriverà puntuale fra dieci minuti."
"Questo è il segretario di Milverton!" sussurrò Holmes.
La seconda voce: "Infatti, è strano che il padrone sia ancora sveglio a quest'ora. Ma di cosa si tratta? Confesso che non l'ho mai visto così nervoso."
"È una faccenda di capitale importanza. Adesso lasciami solo, perché il Colonnello non vuole che altra gente sia presente alla nostra riunione. Tu e gli altri, però, dovete tenervi pronti se ci fosse bisogno di aiuto. Ma dovrete intervenire solo ad un mio ordine, qualsiasi cosa accada."
"E se..."
"QUALSIASI COSA!" intimò il segretario. "Mi sono spiegato?"
"Mr. Holmes" bisbigliò Hurrington "Dovremo rivedere i nostri piani!"
"Forse c'è in ballo qualcosa di più rispetto ad un semplice cambiamento di strategia. Purtroppo è tardi e non possiamo più rimandare, dal momento che fra due giorni Milverton metterà in atto le sue minacce." rispose Holmes, ma il suo sguardo tradiva una fortissima preoccupazione. Era soprattutto l'espressione "qualcosa di più" a lasciarmi interdetto...
"Fate la massima attenzione a tutto!" raccomandò Holmes ai nostri collaboratori "Dobbiamo tenerci pronti a tutti gli imprevisti!"
Entrammo dalla serra, ma la veranda non era affatto chiusa a chiave.
"Guarda un po'!" esclamai "Sembra vogliano facilitare l'ingresso a due scassinatori come noi."
Ma Holmes mi smentì immediatamente: "Watson, non l'ha ancora capito? È una trappola per noi! Quel giorno Milverton venne a Baker Street per tenderci una trappola, usando le lettere di lady Eva come esca."
"E che facciamo allora?"
"Ormai siamo in ballo e ci resteremo. Avevo già previsto qualcosa del genere. Per nostra fortuna sembra che gli avversari non abbiano tenuto conto della presenza dei nostri amici. Avevo ragione a ritenere che qualcuno spiasse i nostri movimenti a Baker Street."
"Non credevo che questo Milverton fosse così intelligente!" esclamai.
"Non lui, ma chi lo comanda!" rispose Holmes.
"Il... Colonnello?"
"Magari! Invece si tratta di qualcuno che sta ancora più in alto di lui! Ma intanto pensiamo alla nostra missione." E mi indicò il revolver.
Entrammo nella stanza di Milverton e ci accingemmo a iniziare il nostro lavoro. La dinamica di quelle azioni è già stata descritta nella storia che avete letto.
Quando udimmo i passi di Milverton ci nascondemmo dietro il cortinaggio della finestra. Ma da questo momento la storia prende una piega totalmente diversa da quella ufficialmente conosciuta.
Milverton entrò nella stanza accompagnato dal segretario. Era nervosissimo. Sembrava aver perso tutta la baldanza e l'arroganza che lo avevano da sempre contraddistinto, e imprecava in modo inconsulto: "Vorrei proprio sapere perché il Colonnello mi abbia ordinato di riceverlo a quest'ora! Dopotutto sono sempre stato preciso e puntuale con gli incarichi che mi sono stati finora affidati."
Il segretario cercava di calmarlo: "Stia calmo, Mr. Milverton! Sa benissimo che l'affare in corso è della massima importanza. Dopotutto lei è sempre stato ricompensato profumatamente. In questi giorni anch'io sono rimasto a lavorare sodo, anche quando lei era già a dormire."
"Questo è vero, e non le nascondo che non riesco proprio a capire le ragioni di tanto lavoro. Ma ritornando al discorso precedente, non dimentichi che sono sempre io quello che si espone in prima persona, mentre gli altri operano nell'ombra. Il mio nome è sulla bocca di tutta Londra, e ogni volta che vado ad una mostra d'arte, o ad un'asta, ho sempre paura che qualcuno mi faccia fuori."
"Devo farle presente che, dopo tutto, anche il Colonnello è un esecutore di ordini superiori!" ribatté il segretario mentre continuava a sbirciare dalla finestra.
"Già! E preferirei non pensarci!" esclamò il ricattatore, madido di sudore. Si sedette sulla poltrona asciugandosi la fronte.
"Ma non sente caldo con quella giacca, Mr. Milverton?" chiese incuriosito il segretario. "Non so perché, ma è da un mese che a casa lei indossa sempre questa giacca. E dire che lei possiede un vasto repertorio di vestiti!"
"Mai sentito parlare di scaramanzia? La porto da quando ho intascato 9000 sterline da Lord Davenport." Rispose Milverton con un sorriso che trasformò il suo volto in una maschera di gioia.
"Ecco!" esclamò il segretario, indicando con il dito in direzione del cancello. "Il Colonnello è arrivato!"
"Sì! Sì! Vada a riceverlo, per favore!" rispose Milverton, con un tono che era un misto di stanchezza e paura.
Il Colonnello entrò accompagnato dal segretario e da un omone grande e grosso come un armadio. Holmes mi fece segno che si trattava di un ex-pugile finito in miseria.
"Benvenuto, Colon..." stava per dire Milverton, ma venne interrotto bruscamente dall'interlocutore.
"Lasciamo stare i convenevoli e veniamo subito al dunque, Milverton! Lei ha tradito la fiducia che avevamo sempre riposto nel suo operato!"
"Cosa? Non... capisco..." farfugliò il ricattatore.
"Capirà benissimo fra poco! Apra subito la cassaforte!"
Milverton eseguì l'ordine con mano tremante. Quando la cassaforte venne aperta, il Colonnello continuò il suo discorso.
"Ricorda il ricatto perpetrato ai danni di quell'assistente del Dipartimento di chimica dell'Università di Londra, di cui non faccio nome?"
"Certo che lo ricordo! Un episodio che risale a due anni fa. Il Professore aveva le prove che quell'assistente fosse riuscito a trafugare le mappe delle reti idrica, fognaria e del gas di Londra, anche delle zone precluse alla pubblica utenza per scopi militari, per portare avanti un suo progetto riguardante la diffusione ad ampio raggio di particolari composti chimici che avrebbero potuto contaminare Londra in maniera capillare. La sua cameriera era riuscita a rubare il plico dei suoi lavori e a consegnarmelo. Ricordo anche che quel tipo pagò le \A310000 del ricatto, ma il Professore si rifiutò di restituirgli le carte del suo progetto. Il giovane si suicidò per la vergogna e il fallimento dei suoi piani."
"Vedo che lei ha buona memoria, Milverton!" rispose il Colonnello. "Ma non ha mai detto dove erano finite le mappe originali."
"Non le ho mai viste!" rispose Milverton, con voce tremante.
"Invece lei le ha avute e le ha viste benissimo! E sono sicuro che se le è tenute per sé!" contestò il Colonnello con un tono di voce che non lasciava adito a dubbi. "La ragazza non sapeva cosa fossero quelle carte, ma ricordava benissimo il numero dei fogli. Lei ne aveva consegnati al Professore cinque di meno, cioè tutti i fogli dei calcoli e degli studi compiuti da quel giovane, ma non le mappe originarie, peraltro facilmente riconoscibili anche da un profano della materia."
Il ricattatore fissò il Colonnello con uno sguardo smarrito, girò il capo più volte come per cercare aiuto, ma venne afferrato dalle mani possenti dell'ex-pugile.
"Il suo segretario ha rovistato fra le sue carte per una settimana, senza venire a capo di nulla. Ma il Professore ha anche scoperto che lei, Milverton, avrebbe avuto l'intenzione di lasciare Londra e trasferirsi a Parigi nel giro di un mese, dove ha da poco comprato una casa. Perché questa fuga improvvisa?" domandò il Colonnello puntando il dito verso il ricattatore.
Quest'ultimo esitò parecchi secondi, poi, con voce bassa, tipica di chi cerca di arrampicarsi sugli specchi, rispose: "Ormai la mia attività di ricattatore è arcinota a Londra. La città comincia a scottarmi sotto i piedi. Ho pensato di mollare tutto e ricominciare una nuova vita a Parigi"
"Può darsi che sia anche così! Ma io le dico anche che lei sperava di vendere quelle mappe ad una potenza straniera e trascorrere il resto della sua vita godendosi tutti i suoi guadagni."
"Non... ha... alcuna prova di... quello che lei... ha detto finora!" farfugliò il ricattatore, cercando di dimenarsi dalla presa dell'ex-pugile.
"Questo lo so benissimo! Del resto, anche il Professore ha ormai deciso di lasciar perdere quella faccenda. Comunque, noi la sistemeremo come merita, TRADITORE!"
Detto questo, il Colonnello aprì la porta della stanza e fece entrare una donna velata. Un'apparizione davvero inquietante! Si trattava di una sorpresa anche per Holmes, che rimase per qualche secondo a bocca aperta.
La donna avanzò lentamente, ma con passo deciso. Era alta, snella, indossava un abito tipico delle grandi occasioni, di colore nero ed un mantello nero che la ricopriva fino al mento. Portava un cappello nero, da dove pendeva un largo velo, anch'esso di colore nero, che le copriva interamente il volto e il collo, come la tipica immagine della Morte!
Le scarpe attiravano la mia curiosità: pur appartenendo ad un modello molto raffinato, erano a tacco largo piuttosto che stretto, come era moda di quel periodo. Ma a parte questo particolare, devo dire che l'incedere della donna sembrava quello di uno spettro. Un'atmosfera di odio e di imminente tragedia cominciò ad aleggiare per tutta la stanza.
Il Colonnello tese la mano alla donna e la condusse al cospetto del ricattatore: "Milverton! La invito a guardare in faccia il suo destino!"
Il Colonnello intimò all'ex-pugile di posizionare Milverton con la schiena rivolta alla finestra, e questo costrinse la donna a girarsi e a nascondere il suo volto alla nostra visuale. Né a Holmes né a me sfuggì, un sorriso di ammiccamento, da parte del Colonnello, rivolto verso la tenda dove noi due eravamo nascosti.
La donna scoprì il suo volto e Milverton la fissò a bocca aperta, con espressione di indicibile terrore.
"Lei! LEI..." urlò
"SÌ! PROPRIO IO! Era convinto che avessi voluto tacitare il tutto?" rispose la donna, con espressione severa, ma con un tono di voce basso. Poi il suo discorso si articolò in un crescendo di tonalità, fino alla tragedia finale che voi già conoscete.
"Ero riuscita a cancellare gli errori del mio passato, avendo avuto la fortuna di sposare un uomo al quale non ero degna nemmeno di allacciare le scarpe. Ma lei, inviando a mio marito quelle lettere, venute non so come in suo possesso, ha distrutto la mia vita per sempre."
"Signora, non è colpa mia se Lord..."
"STIA ZITTO, MILVERTON! Lei non è degno di pronunciare quel nome!" lo interruppe bruscamente il Colonnello.
"È vero! Lei non è degno di pronunciare quel nome che tutta Londra rispettava. Io ero venuta alcuni giorni prima a darle tutti i miei risparmi, che costituivano di per sé una cifra ragguardevole, perché lei ponesse fine al suo ricatto. Lei promise di restituirmi quelle lettere, ma la sua sete di denaro non si era affatto placata, e mise ugualmente in atto le sue minacce. Quelle lettere spezzarono il cuore a mio marito, che morì tre giorni dopo, e rovinarono la mia vita per sempre. Un errore di gioventù che per colpa sua, Milverton, ho pagato oltre misura. Anche se sono passati ormai 5 anni dalla sua scomparsa, non potrò mai dimenticare.... Lei ricorda come morì mio marito, non è vero?"
"Mi sembra... che si suicidò."
"Esatto! Mio marito aveva una bellissima collezione di armi da fuoco, e alcuni giorni prima della tragedia aveva acquistato una piccola pistola, ultimo modello di fabbricazione italiana. QUESTA PISTOLA!" e sfilò dal mantello un'arma.
Noi non riuscimmo a scorgere il tipo di pistola, ma il gesto della donna e l'espressione di terrore da parte di Milverton risultarono più che eloquenti.
La donna sembrava esitare, dal momento che il braccio le tremava.
Il sogghigno del Colonnello interruppe quel silenzio: "Abbiamo fatto un patto con la Signora. L'avremmo indennizzata della perdita del patrimonio a patto che lei ci aiutasse a far fuori un traditore come lei!"
Come esortata da quella frase, la donna continuò il suo discorso: "Questa pistola era stata la compagna di morte di mio marito. LO SARÀ ANCHE PER LEI!" Ed esplose i colpi di quell'arma in rapida successione, con una determinazione pari all'odio che nutriva per il ricattatore.
Milverton si accasciò lentamente sul pavimento. La donna lo fissò intensamente, poi, urlando, si avventò su di lui, schiacciandogli la testa con il tacco della scarpa. Il Colonnello bloccò delicatamente i suoi movimenti, e diede l'impressione di abbracciarla affettuosamente. La donna sembrò calmarsi di colpo e si mise le mani al volto, scoppiando in lacrime.
"Basta così! La tragedia è finita!" furono le parole del Colonnello. Poi, rivolto al segretario: "La accompagno in carrozza."
Il segretario si affrettò ad aprire la porta.
Nel frattempo erano accorsi alcuni dei servi. "Tutto a posto!" li rassicurò il segretario. "Tornate in camera e tenetevi pronti quando ve lo dirò io!"
La donna e il Colonnello, accompagnati dall'ex-pugile, uscirono dalla stanza. Anche in quell'occasione il Colonnello si produsse in un sorriso di ammiccamento verso il nostro nascondiglio, questa volta in modo molto evidente.
Quando i protagonisti della tragedia sparirono dalla stanza, Holmes e io balzammo fuori del nascondiglio.
"Watson! Blocchi subito quella porta! Non abbiamo tempo da perdere!"
Holmes, dopo aver sfilato la giacca al morto, cercò febbrilmente le lettere relative al ricatto ai danni di lady Brackwell. Le trovò subito e, immediatamente dopo, mentre i servi di Milverton cercavano di sfondare la barriera provvisoria con la quale avevo cercato di bloccare l'ingresso alla stanza, cominciò a buttare nel focolare tutte le altre carte che si trovavano dentro la cassaforte.
Quando i servi riuscirono a sfondare la porta, io mi ero già calato giù dalla finestra; Holmes mi seguì dopo qualche secondo.
Mi sentivo in trappola! Per fortuna nessuno aveva fatto i conti con Jones e Hurrington, il cui aiuto risultò decisivo. Ingaggiarono una breve colluttazione con tre dei servi che erano giunti dall'ingresso principale della villa, ed ebbero la meglio abbastanza agevolmente.
"Di qua!" la voce di Holmes risuonò distintamente e, agitando la giacca del morto, ci fece da guida nel giardino fino a un muro alto circa due metri. Holmes e io lo scavalcammo immediatamente, mentre i nostri atletici collaboratori agivano da retroguardia contro un paio di servi che ci stavano raggiungendo. Anche in questo caso Jones e Hurrington ebbero la meglio, e dopo un minuto ci ritrovammo tutti insieme al di là del muretto. Riuscivamo, però, ancora a distinguere le grida di allarme della servitù di Milverton.
Con un fischio Jones chiamò Wilkies che sopraggiunse con la carrozza a spron battuto. Ci dileguammo in un batter d'occhio.
Ripreso il mio sangue freddo dopo un paio di minuti, non potei esimermi dal domandare perché Holmes avesse preso quella giacca. Per tutta risposta, il detective scucì l'interno della giacca e tirò fuori alcuni fogli.
"Ecco i fogli mancanti che cercava il Colonnello! LE MAPPE ORIGINALI DELLE RETI IDRICA, FOGNARIA E DEL GAS DI TUTTA LONDRA!"
Prevenendo le nostre prevedibili domande, il detective spiegò: "Quando il segretario si era incuriosito sul fatto che Milverton si ostinasse a indossare questa giacca, avevo dedotto che essa rappresentasse qualcosa di più di un normale indumento."
Hurrington intervenne: "Le nostre più sincere congratulazioni, Mr. Holmes! Il nostro supervisore non aveva alcun dubbio sulla riuscita dell'operazione. Adesso, però, lei dovrà consegnarci quei documenti."
"I patti prevedevano che fossi io stesso a consegnare il tutto accompagnato da voi." I due collaboratori annuirono.
Tornammo in centro, ma all'altezza di Oxford Street Holmes fece fermare la carrozza. "Mi rincresce, Watson, ma devo farla scendere. Da qua può arrivare a Baker Street anche a piedi!"
Scaricato come un ferro vecchio! Un comportamento da parte di Holmes davvero inqualificabile! Mentre m'incamminavo verso la nostra pensione, mi arrovellavo il cervello sulla segretezza di quell'operazione.
Chi era quel Milverton, in realtà? E quel Colonnello? E quei suoi sorrisi di ammiccamento rivolti al nostro nascondiglio erano solo un parto della mia immaginazione, o ci avevano realmente teso una trappola? Se non altro quest'ultimo punto spiegherebbe le strane parole del segretario. Sembrava che avessero voluto permettere alla donna di andar via indisturbata dopo la sua vendetta e, successivamente, addossare a noi la colpa del delitto o, quanto meno, sferrare pubblicamente un duro colpo all'immagine di Sherlock Holmes.
Ero da poco ritornato a Baker Street, quando Holmes arrivò. Stavo per protestare energicamente per il suo comportamento, ma il detective prevenne il discorso: "Le devo le mie scuse più profonde per il mio atteggiamento nei suoi confronti, ma questa faccenda ha risvolti che vanno ben oltre la normale dinamica dei casi da noi risolti fino ad ora."
Fingendomi rassegnato, gli esposi ciò che avevo intuito nel frangente.
"Bravo Watson! Sono contento che lei abbia fatto tesoro dei miei metodi di lavoro. Le garantisco che quella era davvero una trappola per noi. Milverton era stato mandato a Baker Street come esca. Il Colonnello era a conoscenza di tutti i movimenti della gente che gravitava a Appledore Towers, e sono anche sicuro che sospettasse della vera identità di Escott. Quello che non aveva previsto era la presenza dei nostri collaboratori. Evidentemente, non sanno che anch'io ho delle buone conoscenze nei posti che contano.
Tuttavia, ci sono dei dettagli che dovranno rimanere segreti ancora per qualche tempo. Mi rincresce per i suoi lettori." Touché!
"Però il suo aiuto, Watson, sarà prezioso nella ricerca della donna che ha ucciso Milverton!"
Al che io balzai dalla sedia: "Ma è un'impresa impossibile, Holmes! Non abbiamo alcun indizio, e lei lo sa molto bene!"
"Ahimè!" rispose il detective. "Avevo appena terminato di elogiarla e lei ripiomba nella mediocrità che contraddistingue il volgo, Watson! Rifletta con calma e vedrà che sarà in grado anche lei di trovare qualche appiglio per la nostra indagine"
"E come, Holmes? A me quella donna è sembrata uno spettro venuto da chissà dove..."
"Lei vede, ma non osserva, amico mio! E, aggiungo, lei sente ma non ascolta! Cerchi di ricordare! Il marito si era suicidato 5 anni fa con un colpo di pistola: un episodio che dovrebbe essere stato menzionato dai giornali di quel periodo.
Poi, la pistola era di fabbricazione italiana, non britannica, e apparteneva ad una collezione specifica: anche questo è un dettaglio della massima importanza. Quante persone, a Londra, hanno come hobby questo tipo di collezionismo? Non molte, mi creda!
Altro indizio fondamentale: lei ha osservato le scarpe della donna, Watson?"
Cercai di ricordare: "Sì, mi sembrava che avessero un tacco particolare, ma non so dirle altro...".
"Allora le dico che si tratta di scarpe molto costose, ma adatte ad essere indossate in zone di campagna, perché il tacco è basso con base larga, mentre quelle usate in città sono dotate di un tacco più alto e a base stretta. Quindi, la nostra dama velata è una nobildonna della countryside londinese."
Ancora una volta rimasi folgorato dalle deduzioni del detective. Però, questa mi sembrava una traccia misera per approdare a una soluzione di qualsiasi tipo.
"A questo punto occorrerà trovare un nobile della countryside, con l'hobby della collezione di armi da fuoco, morto suicida cinque anni fa. Ricerca che condurremo sia setacciando il materiale in mio possesso, sia andando a visionare le copie del Times di quel periodo. Ma dobbiamo cominciare subito, Watson!"
"E come, senza nemmeno aver dormito..."
"Mi rincresce, Watson, ma sono costretto a chiederle un sacrificio supplementare. Ovviamente lei può rifiutarsi, ma se ha realmente a cuore quest'indagine, cerchi di assecondarmi."
Sherlock Holmes è sempre stato un mago nel coinvolgere la gente nei casi da lui indagati e risolti, e fu così anche quella volta. Accettai di rinunciare al mio sonno con immenso dispiacere, non privo, però, di quella curiosità che da parecchie ore mi aveva pervaso.
Chiesi lumi in merito a quell'urgenza tale da non consentirci di perdere neanche un minuto.
"Dobbiamo arrivare prima di Scotland Yard, Watson! ORDINI SUPERIORI!"
Da parte dello "sconosciuto", probabilmente, ma perché?
Consultammo tutti gli annuari della High Society di Londra, che Holmes teneva nella sua biblioteca e, fra gli altri, balzò alla nostra attenzione un nome che sembrava rispondere ai nostri requisiti. La conferma venne alla sede del Times, quando leggemmo la notizia del suicidio di Lord Alfred Clarence. Avevamo trovato l'indizio che cercavamo!
"La misteriosa donna velata è la vedova di Lord Clarence!" esclamò Holmes. "Anni fa circolavano molte dicerie su questa donna, Watson! La donna si chiama Janet Soblinsky. Ai suoi tempi era una delle più belle donne della capitale. Faceva la cantante e l'attrice di teatro e si diceva che avesse anche una relazione con Mr. David Ashley, regista del Drurylane. Tutti gli uomini altolocati della città spasimavano per lei. Fino a quando Lord Clarence riuscì a far breccia nel suo cuore. Lei ricambiò il suo amore ma non interruppe la sua relazione con Mr. Ashley, al quale, peraltro, doveva tutto, dal momento che era stato l'artefice del suo successo.
La donna, infatti, era di umili origini, perché figlia di un immigrato russo che lavorava a Londra come muratore. Venne notata dal regista solo per un caso fortuito, mentre lavorava come cameriera da Simpson's, e da allora cominciò la sua fortuna.
Si sposò con Lord Clarence, il re delle corse dei cavalli. La sua tenuta di White Horse, nella zona di Tuffnell Park, è una delle più note di tutta l'Inghilterra. All'inizio la Soblinsky accettò il matrimonio per una questione di convenienza, ma ben presto si rese conto della genuinità dell'amore che il lord nutriva per lei. Per i primi due anni di matrimonio (Lord Clarence le aveva permesso di continuare il suo lavoro di attrice) la Soblinsky condusse una vera e propria doppia vita: due affetti, due amori, due uomini condivisi in maniera mirabile, Watson! Il tutto condotto in modo occulto, almeno apparentemente, nel senso che nessuno aveva le prove di tutto questo, anche se le dicerie fioccavano.
Non so come fosse possibile una cosa del genere, ma questo dovrà spiegarmelo lei un giorno o l'altro."
Annuii con notevole disappunto.
"Al termine di una sua tournée di due mesi in Francia, lei si ritrovò in stato interessante. Il marito non ebbe alcun dubbio che il figlio fosse suo, ma più di qualcuno aveva cominciato a vociferare che quella gravidanza fosse dovuta alla sua relazione con Mr. Ashley. Fatto sta che la nostra indiziata cessò di fare l'attrice - in tutti i sensi, aggiungo io - e si ritirò a vita privata. L'unico ruolo che ha interpretato da allora è stato quello di Lady Clarence. Una vita vissuta all'ombra del marito, rivelandosi moglie devotissima e madre esemplare. La coppia ha anche un'altra figlia."
"Quest'ultima è proprio figlia del lord, o mi sbaglio?" Aggiunsi.
"No, non sbaglia, Watson!" rispose Holmes, con un pizzico di ironia. "Almeno non dovrebbe, visto che le dicerie cessarono dal momento in cui lei abbandonò il teatro. Mr. Ashley sembrava proprio scomparso dalla sua vita."
"O forse non era proprio scomparso del tutto, dal momento che Milverton era venuto in possesso di lettere compromettenti..." intervenni.
"Esatto, Watson! Come siano venute in possesso del ricattatore lo ignoro, però si può ugualmente formulare qualche ipotesi. Lei ricorda quando morì Mr. Ashley?"
"Lo ricordo benissimo: novembre 1881! Si mobilitò tutto il mondo culturale e artistico inglese, perché Mr. Ashley era una figura di rilevo. E allora, Holmes, io dedurrei che qualcuno, scartabellando fra gli effetti personali del regista, avesse trovato delle lettere compromettenti sulla relazione con Lady Clarence; possibilmente qualche lettera dove la donna avesse accennato alla reale paternità di quella gravidanza sospetta. Materiale che si rivelò una bomba per la mondanità londinese, e oro per Milverton."
"Bravo Watson! Questo spiega anche il significato dell'espressione pronunciata dalla donna davanti a Milverton 'Un errore di gioventù che ho pagato oltre misura'. Ci sono tanti altri dettagli da chiarire, ma per questi ci serviremo della collaborazione della nostra vedova. Andiamo a farle visita, prima che Lestrade venga a Baker Street."
In quel momento sopraggiunse Mrs. Hudson con un telegramma di Scotland Yard.
"Mrs. Hudson, faccia finta di averlo ricevuto quando noi eravamo già andati via. Prevedo, infatti, che saremo di ritorno sul tardi. La prego di fare come le ho detto, perché la faccenda in questione è di vitale importanza."
La governante non proferì parla alcuna e promise di rispettare gli ordini impartiti dal detective.
Erano le due del pomeriggio quando prendemmo una carrozza e, dopo un'ora, arrivammo alla tenuta di White Horse. Al cancello demmo le nostre generalità a un'inserviente e, dopo un minuto, fummo ricevuti da Lady Clarence.
Una casa bellissima, in puro stile vittoriano. Al di là dell'edificio si potevano notare un vasto appezzamento di terreno con le famose scuderie e una sorta di percorso a ostacoli per preparare i cavalli alle competizioni. L'interno della casa, però, rivelava un'atmosfera di smobilitazione: diversi quadri e soprammobili di valore erano stati tolti dalle loro posizioni originarie, come testimoniavano i vuoti che risaltavano sui muri e sui mobili.
Lady Clarence ci accolse nel salotto: bellissimo anche quello, ma si potevano notare un divano e due poltrone avvolte da stuoie, come se dovessero essere portate via da un momento all'altro. Alla nostra destra spiccava un pannello rosso con la famosa collezione di armi del Lord, anche se in quel pannello era evidente un vuoto: quello dell'arma usata per uccidere Milverton!
La figura della donna si stagliava al centro della stanza: alta, ben proporzionata, capelli biondi, occhi azzurri, un volto maturo, avviato verso la cinquantina, un'espressione triste, le cui rughe rivelavano i colpi dell'avversa fortuna, ma la bellezza originaria, ad uno sguardo attento, traspariva ancora in modo mirabile. Sfido che la donna, ai tempi, avesse avuto schiere di spasimanti!
Accanto a lei un giovane di circa 25 anni, anch'egli alto e biondo, il cui volto rivelava buona parte dei tratti somatici derivanti dalla madre.
"Siamo onorati della visita di un così famoso investigatore, ma devo avvertirla, Mr. Holmes, che lei mi coglie in un momento delicato, perché sto per traslocare. Pertanto, non avrò molto tempo da dedicarle."
"Il fattore tempo è un discorso relativo, Signora! Dipenderà tutto dalla sua disponibilità a collaborare."
"Cosa... vorrebbe dire, Mr. Holmes?"
"Verrò subito al dunque, Signora, e la pregherei di prestare la massima attenzione a quello che le dirò." Il detective si sedette su una delle poltrone rimaste libere e cominciò: "Lei sa che il re dei ricattatori, Charles Augustus Milverton, è stato assassinato ieri notte nella sua abitazione di Appledore Towers. Gradirei conoscere da lei ulteriori dettagli in merito a questa vicenda!"
"MA COME..." farfugliò la donna.
"SE NE VADA!" urlò il figlio, brandendo l'attizzatoio del caminetto (situato alla nostra sinistra). Holmes, con un balzo felino, bloccò i movimenti del giovane, mentre io mi occupavo di Lady Clarence.
"Vi conviene assecondare le mie richieste, perché solo io potrò evitarvi ulteriori guai!" disse Holmes, con un tono di voce severa, ma al contempo rassicurante.
La donna si lasciò abbandonare su una poltrona, e disse:
"Posso chiedere come Lei e la Polizia siete arrivati a me, Mr. Holmes?"
"Io ho agito per conto mio. La Polizia, a quest'ora, sta ancora brancolando nel buio, e dubito che arriveranno alla soluzione tanto rapidamente, salvo qualche suggerimento che potrebbe anche non arrivare mai se Lei collabora nel modo che Le proporrò io. E adesso si calmi e mi ascolti molto attentamente!"
Holmes raccontò in breve cosa aveva visto e come aveva dedotto la sua identità. Lady Clarence e il figlio ascoltarono a bocca aperta e, al termine del racconto, commentò: "La sua fama non è affatto una leggenda urbana, Mr. Holmes. Meno male che alla Polizia non hanno gente intelligente come Lei. E adesso, come posso collaborare con Lei?"
"Mi dica tutta la verità sulle ragioni del ricatto di Milverton!"
La donna ci lanciò un breve sguardo interlocutorio, poi, con l'espressione di chi nutriva fiducia nei confronti dei suoi interlocutori, ci parlò brevemente del suo passato e confermò quanto esposto poc'anzi sulla sua doppia relazione e sulla gravidanza sospetta. Il suo racconto confermò che il figlio apparteneva a Mr. Ashley!
"Posso chiedere perché lei volle inizialmente continuare la relazione con Mr. Ashley, malgrado fosse già sposata?" interruppi io.
"Purtroppo queste sono faccende che vanno al di là di una semplice relazione d'amore. Il matrimonio con Lord Clarence era per me la soluzione ideale per uscire da una situazione di continui sacrifici. Il teatro mi aveva dato fama e gloria, ma a prezzo di notevoli fatiche. Tuttavia, per me, figlia di un immigrato russo, costretta fin da piccola ai lavori più onerosi, trovarmi di colpo alla ribalta è stato uno shock e, contemporaneamente, un'aperta rivincita nei confronti di questa società odiosa. Ma, giovane com'ero, non avevo capito che il teatro era diventato come una prigione dorata: mi aveva dato tutto, ma non potevo più distaccarmene. Per continuare a esprimersi a certi livelli, una bella donna ha bisogno di un tutore; e voi capite bene che la bellezza, in questi casi, si rivela un'arma a doppio taglio.
Mio figlio è stato il deus ex machina che ha risolto quell'amletica situazione."
"Ci dica come Milverton è arrivato a Lei, Signora! È questo il punto cruciale della nostra indagine!" chiese Holmes, con l'espressione di chi aveva fretta di giungere alla soluzione.
"Avevo intuito la paternità di quella gravidanza, e inviai una lettera a David per informarlo dell'evento e della mia decisione irrevocabile di lasciare per sempre il teatro. Dopo un mese una fitta corrispondenza, anche David si rese conto dell'impossibilità di continuare a vivere una situazione del genere. David mi fece un'ultima visita, dove mi promise che avrebbe conservato gelosamente quelle lettere.
Tre mesi dopo la sua morte, un telegramma arrivò qui a White Horse. 'Sono in possesso di documenti molto importanti che la riguardano. La prego di venire venerdì a Appledore Towers alle quattro del pomeriggio. Charles Augustus Milverton.'
Rabbrividii alla vista di quel telegramma, dal momento che quel nome era già da tempo sulla bocca di tutta la Londra bene. Intuii che era venuto in possesso della corrispondenza che David e io ci eravamo scambiati in quel periodo cruciale.
La visita nella dimora di quell'odiosissimo individuo confermò le mie paure: era venuto in possesso di quelle lettere grazie all'attor giovane della compagnia. Quest'ultimo, cercando di mettere ordine fra gli effetti personali di David, che costituiscono patrimonio del Drurylane, scoprì casualmente quelle lettere e ne informò un intermediario del ricattatore. L'attore venne ricompensato profumatamente e lasciò il teatro, e per me cominciò l'inferno. Mi propose un ricatto di \A3 8000, che io non possedevo. Cercai di convincerlo, di supplicarlo, mi buttai a più riprese in ginocchio umiliandomi come non avevo mai fatto in vita mia, ma egli fu irremovibile. Alla fine gli proposi che il giorno dopo gli avrei consegnato tutti i miei risparmi, \A3 4000, pur di non far scoppiare lo scandalo. Milverton mi indirizzò un bieco ghigno, e si dichiarò d'accordo con la mia proposta.
Il giorno dopo gli consegnai i soldi, ma egli, dopo una settimana, fece pervenire quelle lettere a mio marito. FU UN FULMINE A CIEL SERENO! Confessai tutti i dettagli di quell'errore di gioventù, confidando sulla benevolenza di mio marito, dal momento che erano passati tanti anni, ma in quell'occasione egli si fece sopraffare dal suo orgoglio di nobile: non poteva sopportare l'idea che quel ramo della famiglia non avesse una futura discendenza pura. Pazzo di rabbia, rinnegò il nostro matrimonio, trattandomi come la più infame delle sgualdrine, prese la carrozza e si diresse dal suo notaio.
Anch'io ero furiosa contro quell'infame doppiogiochista. Presi anch'io una carrozza e mi diressi con mio figlio a Appledore Towers, decisa a tutto. Milverton si aspettava una mia visita, e dopo essersi fatto beffe di me, sostenendo che la cifra che gli avevo offerto era irrisoria, mi buttò fuori dalla sua dimora, facendo picchiare mio figlio dai suoi servi.
Ritornai affranta a White Horse. Mio marito mi aspettava con impazienza assieme al notaio. Mi fecero leggere il testamento: tutto il patrimonio era stato lasciato a mia figlia, mentre mio figlio aveva ottenuto solo la gestione delle scuderie, e la possibilità di intascare i proventi delle scommesse dalle corse alle quali quei cavalli avrebbero partecipato. Io ero stata privata di tutto! Avrei avuto il permesso di vivere in questa casa fino a quando mia figlia non avesse raggiunto la maggiore età. E quel giorno arriverà domani.
Mio marito non disse altro da quella sera. Per due giorni fece un continuo viavai fra la sua stanza e la biblioteca, poi la sera del terzo giorno intraprese l'ultimo viaggio con questa pistola." Ed estrasse un'arma da una borsetta che teneva accanto a sé. "Con questa ho ucciso Milverton, e d'ora in poi sarà la mia fedele compagna! Forse un giorno servirà anche a me per l'ultimo viaggio!"
Quest'ultima affermazione mi aveva davvero sconcertato. Non so come riuscii a mantenere il sangue freddo necessario per continuare ad ascoltare l'interrogatorio di Holmes. Per lui, invece, si trattava di routine investigativa.
"Adesso, Signora, dovrà essere così gentile da parlarmi dei suoi rapporti con il famoso Colonnello, di cui non faccio nome, che le ha permesso di consumare la sua vendetta."
Mentre io ribollivo di rabbia per quell'ennesimo atteggiamento di segretezza, la donna fece un profondo respiro, deglutì e spiegò:
"Ho conosciuto il Colonnello sei mesi fa durante un ricevimento organizzato da Lord Malmoral in occasione del suo sessantesimo compleanno. Lord Malmoral era un grande amico di mio marito, e rimase molto vicino alla nostra famiglia anche dopo il suicidio di Alfred. Devo dire che nessuno seppe mai le vere ragioni di quel suicidio, che venne ufficialmente attribuito alla sua mania per le corse dei cavalli. Mio figlio inventò una storia, in base alla quale Alfred si uccise in seguito ad un'ignobile truffa ai suoi danni in merito all'acquisto di un puledro dal pedigree favoloso che, invece, alle corse, dove egli aveva puntato una fortuna, si rivelò un brocco. Mi riferisco al fallimento del Derby di Birmingham, proprio un mese prima del suicidio. La storia risultò credibile.
Al ricevimento, conobbi il Colonnello e ne fui immediatamente colpita: che gentiluomo! Facemmo subito amicizia, e devo dire che ha subito colmato il vuoto che il suicidio di Alfred aveva creato in me."
A quelle parole l'espressione di Lady Clarence si fece languida, e questo dimostrava, fin troppo chiaramente, che era innamorata del Colonnello.
"Tre mesi fa Mr. Ingham, l'esecutore testamentario di mio marito, informò mia figlia del contenuto del testamento, e questo mi procurò un'ulteriore mortificazione: mia figlia mi rinnegò come madre e, malgrado le mie suppliche, e tutto l'amore che le ho sempre profuso, ricevetti solo frasi piene di odio e di rancore nei miei confronti. Impose a me e a mio figlio di allontanarmi da casa il giorno in cui sarebbe diventata maggiorenne, cioè domani."
Holmes la interruppe: "Immagino che lei si confidò dell'accaduto con il Colonnello."
"Esatto, Mr. Holmes! Il Colonnello prese a cuore la mia vicenda, e mi promise che mi avrebbe aiutata. Mi parlò dell'attività di ricattatore di Milverton, e disse che anch'egli lo odiava per un torto che gli aveva fatto poco tempo prima."
"Le parlò in dettaglio di quel torto?" domandò il detective.
"No!" rispose seccatamente Lady Clarence. "Su questa sua vicenda personale ha sempre mantenuto il più stretto riserbo. Tuttavia, mi disse che, se avessi voluto vendicarmi, mi avrebbe fornito il suo aiuto e, per dare un segno tangibile della sua disponibilità, mi promise che mi avrebbe ospitato in un suo appartamento situato a Montague Street. È là dove mio figlio e io ci trasferiremo domani! Vuole che le descriva anche di come abbiamo preparato l'esecuzione alla quale lei ha assistito, Mr. Holmes?"
Holmes esitò un attimo e poi, in preda ad un impulso nervoso, disse, con mia grande sorpresa: "No, Signora! Non credo che quel dettaglio mi sarà di grande aiuto. Invece la prego di rispondermi a un'ultima domanda: 'Il Colonnello le ha mai parlato di un certo Professore?'"
"No!" rispose Lady Clarence, dopo aver riflettuto per qualche secondo. "Direi che è la prima volta che lo sento nominare."
"Benissimo, Signora!" esclamò Holmes, alzandosi di scatto dalla poltrona. "La sua collaborazione è stata preziosissima. Le auguro ogni bene per la sua nuova vita. Andiamo, Watson, che abbiamo ancora tanto da fare!"
"Manterrà la promessa di non denunciarmi, Mr. Holmes?" chiese la donna, con voce tremante.
"Certo, Signora! Io ho una sola parola! Del resto, non sono un poliziotto ma solo un consulting detective, e certe faccende non rientrano fra i miei compiti. Piuttosto, sia attenta alle sue nuove relazioni sociali, e non si faccia coinvolgere in situazioni pericolose."
E ci allontanammo senza proferire ulteriori parole.
In carrozza, Holmes mi chiese: "Lei è curioso di sapere perché io abbia deciso di non denunciarla, non è vero, Watson?"
Risposi: "Senz'altro, Holmes! Però credo di capire che, in fondo, questa donna ha tolto dalla circolazione un pericolosissimo delinquente."
"Sì, anche se il vero pericolosissimo delinquente va cercato altrove. Piuttosto, Lady Clarence è rimasta coinvolta in qualcosa più grande di lei, e il Colonnello, dandole la possibilità di vendicarsi di colui che aveva causato la sua rovina, l'ha legata a sé in maniera indissolubile. Voglia il cielo che quella donna non sia costretta a subire ulteriori conseguenze del suo ennesimo errore."
Holmes, quindi, aveva avuto pietà di lei, e aveva deciso di non aggravare ulteriormente la sua situazione.
"D'altronde" aggiunse "non è compito mio sostituirmi a quegli imbecilli di Scotland Yard. E adesso, Watson, la prego di lasciarmi tranquillo fino al nostro arrivo a Baker Street, perché devo studiare il modo migliore per affrontare Lestrade."
Un'ora dopo, tornati a Baker Street, trovammo Lestrade ad aspettarci. Era il ritratto vivente dell'impazienza!
"Era ora, Mr. Holmes! Lei non immagina quanto io abbia bisogno del suo aiuto in questo momento!"
"Un caso scottante, immagino!" rispose Holmes con incredibile faccia tosta.
"Lei ha mai sentito parlare di Charles Augustus Milverton?"
"Sì! Il nome non mi è nuovo. Ho saputo che ha ricattato molta gente altolocata della città. C'è chi darebbe non so cosa per vederlo morto. E allora?"
"Allora si da il caso che il desiderio di quelle persone sia stato esaudito." Esclamò Lestrade in preda ad un'eccitazione incontrollabile, quasi a voler accusare il detective di scarsa attenzione al fatto. "Ieri notte è stato assassinato nella sua abitazione di Appledore Towers!"
"Ma no! Non mi dica!" disse Holmes, facendo finta di cascare dalle nuvole. "A questo punto sono curioso di conoscere i dettagli della vicenda. Watson, questa potrebbe essere una buona fonte d'ispirazione per i suoi racconti."
Non badai a quella battuta, perché ero veramente curioso di sapere quale posizione avrebbe preso Holmes a riguardo, data la sua tacita complicità in quel delitto.
Lestrade cominciò il suo racconto: "Alle dieci del mattino eravamo già a Appledore Towers. Il segretario di Milverton, l'uomo addetto a sbrigare le sue pratiche burocratiche in merito alle mostre e le aste d'arte e, presumo, anche per quanto riguarda i suoi ricatti, ha raccontato che, verso mezzanotte, Milverton ricevette una signora per un colloquio privato, contrariamente a quelle che erano le sue abitudini. Infatti, era solito andare a letto presto e liquidare tutti quelli che lavoravano per lui dopo le otto di sera. Invece, ieri Milverton impose al segretario di rimanere alzato fino a quell'ora, perché si trattava di una faccenda troppo importante. Al termine del colloquio, il segretario accompagnò la signora al cancello..."
"Un attimo, Ispettore! La signora era venuta a trovare Milverton da sola o accompagnata da qualcuno?"
"Il segretario ha detto che quella donna era venuta da sola, in carrozza. Non è stato in grado di fornirmi le sue generalità, sulle quali Milverton aveva imposto il più rigido riserbo, ma me la ha descritta in dettaglio."
La descrizione fatta da Lestrade corrispondeva perfettamente a quella di Lady Clarence.
"Al termine del colloquio, il segretario accompagnò la signora al cancello, dove l'attendeva la carrozza, e quando tornò udì dei colpi di pistola echeggiare dallo studio di Milverton. Assieme ai servi, si precipitò immediatamente verso lo studio, ma la porta era sprangata. La sfondarono e videro due individui mascherati, che avevano assassinato Milverton e bruciato tutte le sue carte. I due individui si calarono dalla finestra dello studio in giardino, dove li attendevano due loro complici, che riuscirono ad avere la meglio sugli altri servi accorsi. Per farla breve, quei quattro individui riuscirono a fuggire, scavalcando il muro di cinta."
Lestrade provò a descrivere i quattro individui, sulla base dei racconti della servitù.
"Riconosco che è una descrizione troppo generica, Mr. Holmes. Tuttavia, sono in possesso di un altro indizio. Alcuni giorni prima era stato assunto un idraulico di nome Escott, che si era fidanzato con la cameriera di Milverton e che, dopo qualòche giorno, sparì. La mia ipotesi, Mr. Holmes, è che questo Escott sia stato mandato in avanscoperta dagli assassini di Milverton per acquisire adeguate conoscenze sulla casa e le abitudini del ricattatore e della servitù. La visita di quella donna aveva creato un contrattempo agli assassini, che però sono egualmente riusciti nel loro intento. Lei che ne pensa?"
"Quella di Escott potrebbe essere una pista da seguire, ma a me sembra di notare qualche contraddizione nel racconto del segretario. Costui vi ha riferito che, uditi gli spari, si precipitò verso lo studio assieme ai servi. Ma i servi, allora, erano ancora in servizio? Non erano stati già liquidati alcune ore prima? Questa tempestività, considerato anche l'elemento sorpresa degli spari, mi sembra eccessiva. I servi le hanno detto se erano vestiti normalmente, o erano ancora in abito da notte?" spiegò Holmes.
Lestrade aggrottò le ciglia: "No! Non l'ho chiesto! È un particolare che non avevo considerato!"
"E questo mi sembra comnprensibile da parte sua, Ispettore, dal momento che tutti i suoi indizi sono esclusivamente basati sul racconto del segretario. Ma siamo sicuri che egli non sappia qualcos'altro su cui ha, finora, volutamente taciuto?"
"Mr. Holmes, quando potrà unirsi a noi per le indagini?" chiese Lestrade, in preda ad un'eccitazione incredibile.
Holmes rifletté un attimo, e disse: "Mi sembra che questo sia un lavoro adatto più alla Polizia che a un consulting detective come me. D'altronde, non le nascondo che quel Milverton era solo un emerito farabutto. Anch'io ho sentito storie di gente rovinata, o che si è addirittura suicidata per colpa dei suoi ricatti, e mi sembra logico che avrebbe fatto, prima o poi, una fine del genere. Per cui, in questo caso, le mie simpatie vanno all'assassino e non alla vittima."
"Allora" mormorò Lestrade, con un tono di voce disperato "deduco che questa volta lei non collaborerà alle indagini, non è così?"
"Non collaborerò direttamente, è vero, ma sarò a vostra disposizione per qualsiasi tipo di consiglio. La invito a non perder tempo e a battere la pista finché è calda."
"All right!" sospirò l'ispettore "Ma mi tenga aggiornato nel caso di altre ipotesi." E scese le scale della nostra pensione in gran fretta.
Quando Lestrade si allontanò, chiesi a Holmes: "Secondo lei, corriamo il pericolo che la Polizia risalga a noi, se è vero che ci era stata tesa una trappola a Appledore Towers?"
"In teoria sì, Watson! Ma io ho la sensazione che Lestrade non potrà più interrogare quel tipo. Chi muove le fila di questa vicenda è troppo potente per tutti."
Prima che potessi intervenire, Holmes si infilò il soprabito e disse: "Non mi aspetti per la cena, Watson! Il mio compito in merito a questo caso non finisce qua."
L'ennesimo gesto di segretezza da parte del detective non mi scompose più di tanto, perché ero stremato dalle fatiche precedenti. In quel momento, infatti, decisi che sarebbe stato meglio, per me, abbandonare qualsiasi tipo di lavorio intellettuale e godere i piaceri di un buon sonno ristoratore.
Mi risvegliai di buon mattino. Holmes era già su e stava facendo colazione.
"Si sbrighi, Watson! Sono sicuro che fra non molto dovremo ricevere nuovamente Lestrade."
Infatti, dopo una quarantina di minuti, l'ispettore giunse trafelato a Baker Street. Queste testuali parole furono il suo buongiorno: "Mr. Holmes! Ho bisogno del suo aiuto, perché rischio di non capirci più nulla!"
Tirò fuori una lettera con l'emblema del governo britannico.
"Questo è un invito perentorio da parte del Ministro degli Interni ad archiviare il caso Milverton, senza condurre alcun tipo di indagini. E non è tutto, Mr. Holmes! Ho seguito la pista del segretario, ma mi è impossibile continuare, e sa perché?"
"Immagino che lo abbiano ucciso!" rispose Holmes, con l'aria di chi sapesse già tutto.
"Esatto! Il suo cadavere è stato rinvenuto due ore fa in un vicolo di Montague Street." rispose Lestrade. Poi, come riavutosi da uno shock, esclamò:
"Ma lei come lo sa, Holmes? Le sue doti sono arcinote, ma quest'ultima affermazione, unita al suo precedente rifiuto ad unirsi alle nostre indagini, mi induce a sospettare che lei ne sappia molto di più di quanto non voglia ammettere."
"Le ho già detto, e lo ribadisco, che non voglio occuparmi di questo caso. Le ho anche spiegato come la penso, per cui è inutile da parte sua insistere." ribatté il detective.
"Ma quello che lei mi dice è... gravissimo. Si tratta di favoreggiamento di un crimine o, nella migliore ipotesi, di rifiuto a collaborare per la giustizia. Io potrei citarla in tribunale per questo."
Holmes si alzò dalla sedia, molto lentamente, come se stesse per prepararsi a un combattimento, poi disse, con voce suadente ma, al contempo, severa: "Isp. Lestrade, le rammento che lei non ha nessuna prova concreta per dimostrare la veridicità delle sue affermazioni. Inoltre, lei sa che, nei casi in cui vi siete avvalsi della mia collaborazione, ho quasi sempre agito nell'ombra, lasciando a voi il merito di tutto. Un simile atteggiamento da parte sua avrà come risultato quello di interrompere la nostra collaborazione per sempre."
Lestrade rimase folgorato dalle parole di Holmes per qualche secondo, ma subito dopo si ricompose, fece un profondo respiro e disse: "Mr. Holmes, lei è un ricattatore peggiore di Milverton! D'altro canto, questa lettera mi impone di abbandonare questo tipo di indagine, per cui devo rispettare la sua volontà. Le auguro buona giornata, e spero un giorno di conoscere la verità su questo caso."
"Da parte mia" puntualizzò Holmes, in modo deciso "ci sarà il più assoluto riserbo, Ispettore!"
Lestrade fece un sorriso di ammiccamento: "Questo lo immagino, ma io confido sempre nella penna del Dr. Watson."
E si allontanò dalla nostra pensione. Al che Holmes, rivolgendosi a me, disse: "Mio caro Watson, il mio riserbo va esteso anche a lei. Un giorno le rivelerò tutto, ma intanto la prego di non farmi altre domande a riguardo."
Nei giorni successivi, i giornali riportarono che Appledore Towers venne confiscata, e il ricavato dell'asta delle opere d'arte di proprietà di Milverton servì per istituire un fondo di indennizzo per le vittime di Milverton, che sarebbe stato condotto nel più rigoroso anonimato. Pare, però, che molte delle presunte vittime preferirono non avvalersi di quel beneficio, forse per non "guastare" ulteriormente la loro immagine...
Sono passati parecchi anni da quando scoppiò il caso Milverton, ma solo ora Holmes si è deciso a rivelare i dettagli che per tanto tempo mi sono stati nascosti. Voi lettori avete già intuito che il Colonnello in questione era Moran e che il Professore era Moriarty. Ma ora eccovi il resto della storia.
"Lo sconosciuto che era venuto a Baker Street era suo fratello Mycroft?" domandai, seduto sulla poltrona accanto il camino.
"Esatto, Watson! E, conoscendo le rigorose abitudini di mio fratello, lei può immaginare la gravità di quel caso e il motivo di tutta quella segretezza. Quelle mappe che Milverton aveva trafugato all'insaputa di tutti, Moriarty compreso, erano e sono un'autentica bomba. Pensi alle loro potenzialità in mano a una potenza nemica. E lei sa che l'Europa sta attraversando un brutto periodo, perché ho paura che la situazione politica attuale sia foriera di venti di guerra. Quella vicenda richiese l'intervento del Governo in persona, che utilizzò mio fratello come mediatore e coordinatore. A proposito, lei ricorda i nostri collaboratori di allora?"
"Sì!" risposi. "Jones e Hurrington!"
"E metta anche il vetturino Wilkies. I primi due erano ufficiali dell'esercito britannico, ufficialmente in licenza in quel periodo, mentre il terzo era un tenente delle guardie della Regina, venuto per supervisionare le nostre mosse."
"Incredibile!" dissi, aggrottando le ciglia in senso di stupore. "Ma quel Milverton, cos'era in realtà? Troppa gente importante si mise in azione contro un semplice ricattatore..."
"MILVERTON ERA UN UOMO DI MORIARTY! Con la sua attività, avvalendosi della collaborazione di valletti, cameriere, e altra gente della lower class al servizio di nobili e altra gente di rango, teneva sotto controllo parecchia gente importante, disposta a pagare forti somme per evitare scandali che avessero potuto minare le loro posizioni di privilegio. Una piccola parte finiva nelle tasche di Milverton, il resto andava a Moriarty che, così, poteva mantenere la sua rete di terrore su tutta la città e finanziare i suoi progetti. Moran, che era continuamente a contatto con gente della upper class, captava i loro umori e, eventualmente, approfittava della situazione per far passare qualcuno di loro dalla parte di Moriarty, qualora non fosse stato in grado di pagare, o fosse finito in rovina. Possiamo dire che Moran procurasse a Moriarty nuovi, influenti e motivati collaboratori, come nel caso di Lady Clarence."
Io aggiungo che, in quell'ultimo caso, dobbiamo tirare in ballo altre motivazioni, di natura sentimentale. Ma questo è un campo sconosciuto per il detective...
Ad ogni modo, si trattò di un caso all'insegna delle tre M (Moriarty, Moran, Milverton), indicativo del marcio che esisteva nel nostro paese fino a qualche anno fa. Epoca in cui l'Inghilterra era una nazione all'apogeo della sua potenza, ma il cui tessuto sociale era intriso da paradossali e insanabili contraddizioni. Forse la nuova epoca alla quale ci stiamo affacciando porterà dei cambiamenti, anche se il discorso ora rischia di farsi troppo complicato...