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Il mistero delle unghie verdastre

di J.H.Watson

da un manoscritto recentemente rinvenuto a Firenze e accuratamente tradotto da Monica Pierattelli ed Enrico Solito

Me ne stavo intento a leggere un pesante volume di chimica, quando Sherlock Holmes entrò nella stanza. Era una giornata molto grigia e piovosa, come è la regola in questo periodo dell'anno a Londra: la nebbia densa e giallastra si accumulava fuori dalle finestre del nostro appartamentino da scapoli in Baker Street.

- Mi meraviglio, mio caro Watson,... così vuole rubarmi il mestiere! -

- Mi documentavo nell'attesa - risposi un po' acidamente, visto che il mio amico non si faceva vedere da ben 2 giorni, occupato com'era su un caso di furto di aringhe ai Docks!

- Di che si tratta? - mi chiese Holmes mentre guardava con una inequivocabile cupidigia il tavolo così riccamente imbandito per la colazione (credo di aver già detto, nelle mie povere note, che Holmes era capace di saltare il pasto per giorni e giorni durante le indagini ma che recuperava poi il tempo perduto alla fine di esse).

- Stavo cercando i metodi di riconoscimento chimico dell'anilina, ma trovo la questione terribilmente complicata. Questi suoi libroni di chimica sono un maledetto enigma... Sono davvero contento che lei sia tornato. -

- Anilina: uno strano veleno per uccidere qualcuno. -

- Ma non si tratta di un omicidio... sarà bene che le spieghi dall'inizio-

Holmes afferrò la sua lunga pipa di ciliegio rosso e iniziò metodicamente a caricarla, fissandomi con uno sguardo penetrante prima di accomodarsi vicino al camino acceso.

Mi risultava strano, per una volta, essere proprio io seduto sul sedile di raso rosso di fronte a lui, e osservarlo allungarsi sulla sua poltrona, congiungere le dita, mentre mi ascoltava con lo sguardo estatico e sognante perso nel vuoto, tipico dei suoi momenti di massima concentrazione Un filo di fumo che usciva a tratti dal fornello della sua pipa era l'unico segno che Holmes concedeva al mondo per informarlo della sua esistenza.

- La storia è cominciata ieri - iniziai - quando nell'ambulatorio, al termine di una lunga giornata di lavoro, si è presentata una mia paziente, preoccupata per lo strano colore comparso sulle unghie degli alluci dei piedi della sua piccola figlia. Mi aveva invero telefonato in mattinata, come spesso capita, visto che è una mia assidua paziente, ma non ero affatto preparato allo spettacolo che poi ho avuto la fortuna di osservare personalmente. La bimba, Sara Brown (ha ora circa 3 anni), non presentava alcun sintomo di malattia conosciuta, e le assicuro che l'ho visitata molto scrupolosamente, nonostante saltasse come una indemoniata nel mio piccolo studio: è sempre stata molto attiva e vivace. Aveva però le unghie degli alluci, e soltanto quelle, di un colorito intensamente verdastro, del tutto atipico. Confesso che li per li ho anche pensato ad una soffusione emorragica, dovuta magari a scarpe troppo corte e dure (sa si tratta di povera gente, e le scarpe devono durare così a lungo...) ma mi sono dovuto ricredere perché le calzature che la bimba indossava erano tutt'altro che corte, e anzi erano particolarmente morbide. Ne d'altra parte posso pensare, conoscendo la famiglia, che qualcuno si sia divertito a pestarle gli alluci. Dunque ho concluso che non si trattava di soffusione emorragica. Come dice sempre lei se si esclude l'impossibile, quel che resta, per quanto improbabile deve essere la verità.

- E cosa ha dedotto, dunque? - chiese Holmes dopo un attimo di silenzio.

Penso che la bambina sia stata intossicata, certo non volontariamente, da qualche alcaloide presente nelle vernici delle scarpe. Ho pensato all'anilina perché avevo letto diversi articoli sul British Medical Journal a riguardo. Sulle unghie verdi o cose del genere però le confesso che non ho mai visto un rigo. Adesso forse lei può aiutarmi: ho portato qui le scarpe in questione. Può vedere, in qualche modo, se sono presenti vernici all'anilina e in quale quantità?-

Holmes si riscosse, dopo qualche secondo di assoluta immobilità e afferrò, senza una parola, le 2 piccole scarpe nere che gli porgevo.

- Hm,una bambina rachitica, vedo.-

- Mio caro Holmes, lei non finisce mai di stupirmi ! -

- Non c'è niente da stupirsi, mio caro Watson: le scarpe sono di camoscio, comprate a Londra, probabilmente in Oxford Street, di discreta qualità, anche se non nuovissime... non sono così poveri i suoi Brown oppure tengono molto alla loro figlia.-

- È vero - interloquii - soprattutto il padre è molto attaccato a Sara.-

- La bambina non viene portata quasi mai ai giardini - continuò Holmes- lo vedo dallo stato delle suole e dunque suppongo che sia di salute cagionevole: d'altra parte lei mi ha già detto che la vede molto spesso. Dunque riassumiamo: una bambina spesso malata, che non viene portata all'aperto e che tuttavia è vivace e ha voglia di giocare,e i cui genitori, pur non essendo ricchi, colmano di attenzione. Se fosse tisi non sarebbe così attiva e nei bambini di quell'età età e di quella condizione sociale la più frequente malattia cronica è purtroppo il rachitismo: mi pare ovvio.

Ma torniamo a noi. Cos'altro possiamo tirare fuori da queste scarpe? A parte il fatto che la bimba ha un piede piatto, che il padre fuma sigari Trichinopolis ed è molto alto e deve aver iniziato a bere, direi che non ho per ora altro da dire, a questo primo esame.

- Holmes! - esclamai di nuovo

- Stia buono Watson: queste 2 leggerissime bruciature che vedo sulla tomaia non possono essere dovute altro che alle piccolissime scintille di un Trichinopolis.Il padre, che ama Sara, come lei mi ha confermato, deve avere incominciato a bere, visto che fuma così vicino ad una bambina così cagionevole. Che sia poco che lo fa, lo dimostra il fatto che le bruciature sono solo due e recenti. Quanto all'altezza, se la bimba a 3 anni calza scarpe già così lunghe, deve essere davvero molto alta. È molto probabile che anche il padre lo sia... Guarda, guarda... -

- Cosa la turba Holmes?-

Il mio amico aveva afferrato la lente d'ingrandimento, che spuntava da sotto il violino nella spaventosa confusione della sua scrivania e stava osservando la punta della scarpa, con quell'aria da segugio che avesse fiutato l'usta buona, come gli avevo visto fare tante volte nel passato. Se ne stette senza rispondermi per un paio di minuti, poi osservò entrambe le scarpine contro la fioca luce del nostro lume a gas e me le riconsegnò sorridendo.

- Consigli alla sua paziente, mio caro Watson, di portare fuori un po' più spesso la sua bambina e di impedire a Sara di giocare così spesso da sola in casa. -

Lo guardai senza capire.

- Le ho detto spesso in passato che lei è un autentico portatore di luce e che io dovrei ascoltarla più spesso: le scarpe sono sufficientemente lunghe ma la tomaia della parte anteriore e soprattutto superiore della scarpe è tutta consumata. L'unica spiegazione plausibile è che la bambina, come spesso succede in questa fascia di età, soprattutto se è vivace, esile e costretta forzatamente in casa, se ne stia accovacciata per terra a giocare per delle ore. Facendo così, preme per forza la parte superiore del piede, coperta soltanto da scarpe così morbide, per terra. Le sue unghie sono sicuramente molto deboli e se questa pressione viene applicata per così tanto tempo nell'arco della giornata è chiaro che il risultato non può essere che il livido, da lei così brillantemente diagnosticato.

Lasci perdere l'anilina, amico mio, e mi faccia compagnia per la colazione: qualche novità da Sir Henry Baskerville e il suo mastino? -

Che quella brillante deduzione fosse clinicamente esatta me lo confermò la madre nel colloquio successivo. Sara effettivamente stava seduta nella posizione che era stata immaginata per ore ed ore e fu sufficiente che io comunicassi alla madre i consigli di un illustre ortopedico mio amico, che rimase sempre nell'ombra, perché d'allora la piccola non avesse mai più problemi alle sue tenere unghie.