Il sigillo

di Floriana Liuni & Brigitte Latella

"Vada immediatamente dall'Ispettore Lestrade di Scotland Yard, e lo conduca qui con una dozzina di uomini armati. La casa deve essere circondata.
Se ha abbastanza coraggio, può aiutarci: sul retro della stanza dove siamo rinchiusi c'è una porta di legno, chiusa da un semplice paletto. La apra, e vedrà che è murata da mattoni, che però non sono cementati; rimuovendoli potrà farci uscire. Non dimentichi di portare due revolver.
Se invece non se la sente, lasci tutto nelle mani della polizia.
Rispetti,
Sherlock Holmes".

La risposta a questo biglietto avrebbe avuto delle conseguenze incredibili sulla vita del mio amico Sherlock Holmes se solo... Ma andiamo con ordine.
Un ventoso mattino di marzo del 1895, avendo in programma di portare il mio ultimo manoscritto dalla dattilografa e dovendo passare vicino a Baker Street, mi recai a far visita a Sherlock Holmes.
Venne ad aprirmi lui stesso, salutandomi con la consueta cortesia; dopo di che andò a sprofondarsi in poltrona, caricò la sua pipa, e restò a fumare assorto nei suoi pensieri, come se avesse totalmente dimenticato la mia esistenza.
La stanza era impregnata di un pesante odore di tabacco, e potevo vedere l'astuccio di marocchino in cui Holmes conservava la cocaina aperto su un tavolino. Non fu difficile dedurre che il mio amico doveva trovarsi in uno dei suoi periodi di ennui.
Per qualche minuto non disturbai i suoi pensieri, e, seduto di fronte a lui, presi ad esaminare il mio manoscritto. Ma la curiosità dopo un po' mi rese impaziente: come mai sedeva lì in quello stato quando aveva appena risolto un caso alquanto complicato, e, per quanto ne sapevo, ne aveva diversi altri in lista?
- Povero Watson, - disse Holmes all'improvviso, e la sua voce mi fece quasi sobbalzare.- Non sono certo una buona compagnia stamattina. E sì che lei era venuto a trovarmi, oltre che per farmi piacere, anche per scaldarsi un po', visto che ultimamente soffre molto il freddo, e per prendersi una pausa dal lavoro, che in questo periodo la occupa molto.
- Ma come...?
- Watson, credevo che si ricordasse dei miei metodi. Le sue scarpe, amico mio, hanno le suole annerite in un modo piuttosto singolare, dal quale deduco che le ha tenute vicine al fuoco, quasi troppo vicine. E dal fatto che siano le scarpe ad essere in questo stato, capisco che non ha quasi il tempo di togliersele, tra una visita e l'altra. - Il suo tono, mentre diceva tutto questo, era stanco, quasi annoiato.
- Come al solito, ha ragione, - sorrisi io. - È vero, il lavoro mi opprime in questo periodo, ma ho comunque trovato il tempo di completare il resoconto del suo ultimo caso. Stavo appunto per portarlo dalla dattilografa.
Holmes scosse la testa.
- Sa bene che sono sempre stato contrario a queste sue pubblicazioni. Troppo romantiche, e troppo poco razionali. Inoltre credo che, sebbene sia difficile non provare ammirazione per le mie modeste facoltà, lei faccia di me un personaggio troppo perfetto, e le assicuro che questo non corrisponde affatto a verità.
Lo fissai sbalordito. Tabacco e cocaina dovevano avere una spiegazione ben grave, se si sottovalutava tanto.
- Amico mio, la vedo stupito, - sorrise tristemente Holmes, portandosi la pipa alle labbra.- Vede, da un po' di tempo qualcosa in me non va. I miei sforzi per sfuggire alla nullità della vita si rivelano sempre più faticosi e sempre meno efficaci. La noia si è impossessata di me, e non riesco a scacciarla. Sì, è per questo, - aggiunse poi, in risposta a un mio involontario sguardo all'astuccio di marocchino. - è così, nonostante il gran numero di casi che ho avuto per le mani ultimamente. Non ho ancora registrato insuccessi, ma non raggiungo più quella esaltazione mentale che è il mio stato d'animo ottimale. Temo di trovare banale anche il mio lavoro, Watson - concluse, abbattuto.
- Ma è una catastrofe!- esclamai io, balzando in piedi. - Come è possibile che l'esercizio delle sue meravigliose facoltà non la soddisfi più?
- Non me lo chieda, Watson. Ho indagato solo su e per conto di estranei, finora, ma credo di essere incapace di indagare su me stesso. Comunque lei non può aiutarmi, dottore, quindi è inutile che io continui a tediarla.
In effetti, sconvolto com'ero, non riuscivo a pensare ad una soluzione utile. D'altra parte si faceva tardi, ed era ora che andassi. Salutai il mio amico con una stretta al cuore, e mi recai dalla mia dattilografa di fiducia.
Sfortunatamente, questa mi disse che purtroppo non poteva eseguire il lavoro, e quindi mi mandò da una sua collega, dalla quale, mi assicurò, avrei ricevuto un servizio altrettanto efficiente.
Mi recai dunque all'indirizzo, e, dopo che ebbi suonato, una ragazzina vivace mi condusse su per una scala, che dava su uno stanzone nel quale trovavano posto tre donne con le loro macchine da scrivere. Da una porta in fondo allo stanzone uscì una quarta signorina sui venticinque anni che mi venne incontro.
Era vestita non troppo semplicemente, ma in modo pratico, e i capelli bruni, sebbene non acconciati in modo ricercato, erano in ordine perfetto.
Mi presentai e lei rispose cortesemente, gli occhi scuri che mi osservavano attraverso gli occhiali, con una franca stretta di mano:
- Sono Florence Lyons, dottor Watson. Mi dica, cosa posso fare per lei?
Le spiegai di cosa si trattava.
- Ma certamente. Per quando le serve?
- Oh, non è un lavoro urgente, però gradirei vederlo terminato in un mese.
- Senz'altro, si ripresenti qui tra un mese e le consegneremo il tutto dattiloscritto. In quante copie?
- Tre, - risposi sorpreso, in quanto in genere nessuno faceva copie multiple. Ma avevo pensato che ad Holmes avrebbe fatto piacere averne una copia. Ne avrei tenuta una anch'io, e avrei dato la terza alle stampe.
- Sarà fatto. - Discutemmo ancora brevemente del prezzo, che trovai perfettamente adatto al tipo e alla quantità di lavoro. Lasciai il mio recapito e il manoscritto.

Evidentemente il mio manoscritto era destinato a rimanere tale, poiché due giorni dopo, nel pomeriggio, ricevetti il seguente telegramma:

"Avvenuto stranissimo incidente. Spiacente comunicarle impossibile eseguire lavoro.
Florence Lyons".

Incuriosito, mi recai in dattilografia, dove trovai miss Lyons costernata.
- Stanotte le mie macchine da scrivere sono state letteralmente fracassate da qualcuno, - mi disse.
- Sono costretta a restituirle il suo manoscritto.
Lo ripresi, ma intanto mi venne un'idea.
- Signorina, - proposi, accennando al manoscritto, - forse il protagonista di questa storia, Mr. Sherlock Holmes, potrebbe aiutarla a far luce sull'accaduto.
Miss Lyons mi parve interessata, così le raccomandai di attendermi di lì a una mezz'ora insieme al mio amico.
In tutta fretta mi recai in Baker Street, dove trovai Sherlock Holmes occupato in un esperimento chimico a cui credo non stesse prestando molta attenzione. Gli spiegai il caso della dattilografa, e Holmes, sebbene non entusiasta, decise di venire.
- Se non altro, - commentò, - sarà un diversivo, anche se temo si risolverà in qualcosa di banale.

Miss Lyons ci venne incontro attraverso lo stanzone, in quel momento vuoto.
- Buongiorno, dottor Watson. Mr. Sherlock Holmes, presumo, - affermò, guardando il mio compagno dritto negli occhi.
Sherlock Holmes le strinse la mano, e vidi che rimase colpito quanto me dalla sua stretta sicura, e da quello sguardo diretto, così poco comuni tra le donne del nostro tempo. Ma la sorpresa passò fulminea sul suo volto, che subito tornò assente come poco prima.
- Da questa parte, - fece strada miss Lyons, e ci introdusse in una stanza che conteneva un grande armadio.
Questo armadio era spalancato, e lasciava vedere quattro macchine da scrivere, di cui tre sfondate dalla parte di fronte, come se sottoposte a diversi colpi, e una che mostrava di aver subito lo stesso trattamento, ma senza rompersi come le altre.
- Ogni sera ,- spiegò miss Lyons, - alla chiusura dell'ufficio, le macchine da scrivere vengono riposte in questo armadio, di cui io sola ho la chiave, così come della porta dell'ufficio. Stamattina, entrando, ho visto questo sfacelo, e la cosa curiosa è che né la porta né l'armadio presentano segni di scasso. -
- Ha controllato le finestre? - chiese Holmes.
- Una per una. Si chiudono dall'interno, ma dal momento che erano tutte perfettamente a posto, non credo che qualcuno sia entrato da fuori. -
Credetti di vedere l'accenno di un sorriso sulle labbra del mio amico, e io stesso non potei fare altrimenti, sentendo la dattilografa parlare come chi si trovi davanti Omero in persona, e voglia dimostrargli la propria abilità nel comporre poesie.
- La polizia è già stata qui? - domandò Holmes.
- E a che pro? - rispose lei. - Il mio non è certo un caso per cui le forze dell'ordine si scomoderebbero. Non c'è stato furto né effrazione né danni, salvo quelli alle macchine da scrivere. Tutto ciò che ho potuto fare, stamattina, è stato spiegare la faccenda alle impiegate, avvisare i clienti della mia impossibilità a soddisfarli, e cercare di farmi un'idea sull'accaduto, finché il dottor Watson mi ha gentilmente segnalato il suo nome.
- Così, ha cercato di farsi un'idea. Ammirevole, da parte sua, - commentò Sherlock Holmes con un sorrisetto sardonico. Quindi prese ad esaminare le mensole dell'armadio per poi portarsi accanto alle finestre, scrutando con attenzione il pavimento sotto di esse. Improvvisamente si chinò sotto la finestra più vicina all'armadio e raccolse qualcosa da terra, mettendoselo sul palmo della mano, ed osservandolo minuziosamente attraverso la lente.
Nel frattempo, miss Lyons seguiva attentamente ogni suo movimento.
Dal pavimento, Holmes passò alla porta.
- Chi entra di solito in questa stanza? - domandò.
- Solo io, - rispose miss Lyons.
- È sicura che nessuna delle sue impiegate potrebbe avere accesso a questa camera?
- Sicurissima. In questa stanza teniamo la cassaforte, e a nessuno tranne me è concesso entrare. Durante il giorno la porta viene chiusa a chiave, e la chiave resta nella mia tasca.
- E nulla è stato preso dalla cassaforte?
- Assolutamente nulla.
- Mmm. Mi dica, lei non ha l'abitudine di aprire le porte sospingendole senza usare la maniglia, vero?
- Uso sempre le maniglie.
- Lo immaginavo. Allora non può certo essere stata lei.
- Lo credo bene, - obiettai io. - Perché mai dovrebbe aver voluto ammaccare le sue stesse macchine da scrivere?
- Penso che Mr. Holmes volesse dire che non sono stata io a lasciare le impronte che stava analizzando sulla porta, - replicò miss Lyons al posto del mio compagno. Questi la fissò un momento con le sopracciglia aggrottate, poi tornò a nascondere la faccia dietro la lente.
Dopo la porta, esaminò ancora meglio le macchine da scrivere, e in particolare quella non seriamente danneggiata. La rivoltò su tutti i lati, finché esclamò:
- Ah, eccolo!
Sotto il tocco delle sue dita, la macchina si aprì come uno scrigno, rivelando un doppio fondo. Holmes ne esaminò l'interno con la massima attenzione, e ad un certo punto la portò accanto alla finestra per poter infilare i suoi occhi in chissà che angolino nascosto.
Dopo diversi minuti, parve soddisfatto.
- Questa macchina è nuova, - affermò.
- Sì. è stata acquistata solo tre giorni fa, - confermò miss Lyons
- Chi l'ha comprata?
- Mia sorella, ma in realtà avrebbe dovuto farlo la stessa impiegata che doveva usarla. Era stata assunta da poco, e doveva prendere servizio proprio ieri. Però non si è più presentata.
- Qual è il suo nome?
- È Mrs. Blackstone, la moglie del fabbro che ha la bottega qui sotto casa. Non è molto esperta, ma l'ho assunta perché ultimamente la sua famiglia non naviga in buone acque, finanziariamente parlando.
- E sua sorella, tornando con la macchina appena acquistata, non ha avuto l'impressione di essere seguita, non ha notato nulla di strano?
- Se così fosse, me l'avrebbe certamente detto, - rispose miss Lyons.
Sherlock Holmes la scrutò in viso.
- Lei si fida ciecamente del suo personale?
- Come sarebbe a dire? Crede forse che Mrs. Blackstone sia coinvolta?
- Non posso dirlo con certezza finché non avrò raccolto dati sufficienti. Sarebbe così gentile da fornirmi l'indirizzo del negozio dove è stata comprata la macchina da scrivere?
- Subito .- Essa scomparve per qualche secondo, per poi ricomparire con un pezzo di carta in mano. - Ha qualche idea sul colpevole? - domandò poi. - Ho capito che ritiene sia stato un uomo piuttosto alto e molto robusto, ma ha idea di chi sia?
- Da cosa l'ha capito? - fece il mio amico, quasi contrariato.
- Chi ha sfondato le macchine in questo modo deve avere una gran forza; e le impronte che lei stava esaminando sulla porta erano molto più in alto di quelle che avrebbe lasciato qualcuno della mia statura.
- Mmm, certo, chiunque lo avrebbe notato, - convenne Holmes. - Vede, miss Lyons, io credo che il caso sia più complicato di quanto possa apparire. La sua macchina conteneva un documento estremamente riservato, che doveva essere ben nascosto, e che probabilmente aveva attinenza con una nostra colonia indiana, dato il sigillo che portava. Il destinatario di questo documento e l'autore dello scasso non sono la stessa persona, e questo me lo dice il fatto che, se così fosse, probabilmente lo scassinatore avrebbe conosciuto la particolarità di questa macchina, che come ha visto si apre anche senza essere scassinata, e l'avrebbe individuata a colpo sicuro tra le quattro. L'uomo che è entrato qui stanotte, anzi, per la precisione stamattina presto, è un uomo molto nervoso, un disperato, direi, che ha sfondato tutte le macchine quasi alla cieca. Inoltre, come lei ha giustamente detto, si tratta di un uomo alto almeno un metro e ottanta, robusto, e, aggiungo, con una barba nera, di cui ho trovato qualche pelo.
A queste parole la dattilografa trasalì.
- Qualcosa non va? - domandò Holmes.
- No, proceda pure.
- Il mandante desiderava mantenere l'incognito, perciò si è servito di costui. Probabilmente quest'uomo doveva acquistare la macchina al posto di sua sorella, e deve averla pedinata per scoprire il suo indirizzo.
- Lei ha visto il documento? - chiese lei, dubbiosa.
- No. Era l'obiettivo dello scasso, infatti è l'unica cosa che è sparita da questa stanza, che pure conteneva la cassaforte.
- E come fa allora a sapere della sua attinenza con una colonia indiana?
Holmes aprì la macchina premendo un invisibile pulsante e ci mostrò il porta documenti a fisarmonica fissato dentro il suo doppio fondo.
- Vede qui? - disse, sollevandone un lato. - Il documento era chiuso con della ceralacca, ed evidentemente è stato sigillato con un sigillo appena coniato, perché il simbolo su di esso si è molto nettamente impresso sulla cera. Così nettamente che i contorni sono rimasti stampati all'interno del porta documenti.
Miss Lyons prese la lente di Sherlock Holmes e l'accostò disinvoltamente al punto indicato.
- Ha ragione, questo è uno stemma. Rappresenta un elefante e una spada.
- Esatto, - confermò Holmes, riprendendosi la lente con aria un tantino imbarazzata. - Inoltre, le posso dire con certezza che uno stemma del genere non esiste: è stato coniato apposta, ed è probabilmente usato come parola d'ordine tra i nostri uomini. L'elefante potrebbe simboleggiare l'India, e la spada deve avere qualche relazione con lo scopo di questo carteggio.
- Una rivolta? - suggerì miss Lyons.
- O forse un contrabbando d'armi.
- Mr. Holmes, l'importante è che lei trovi i responsabili, perché voglio essere risarcita del danno e riprendere al più presto il mio lavoro.
- Ne ha tutte le ragioni. Finora le posso solo dire che si tratta di persone abbastanza influenti da poter reclutare collaboratori in diversi ambienti, ad esempio chi ha costruito la macchina e chi l'ha portata al negozio per la vendita, per non parlare di chi le ha fatto visita. D'altra parte, la situazione è gestita nello stile di un affare internazionale, con tanto di carteggio e di sigillo ufficiale, il che mi fa pensare che chi vi è coinvolto sia abituato a muoversi in tali ambiti. Probabilmente c'è di mezzo qualche nome eccellente della politica.
In quel momento udimmo dei passi leggeri sulle scale.
- Arriva qualcuno - dissi io.
- È mia sorella Violet - replicò sicura la dattilografa, andando ad aprire la porta. Io e Holmes ci guardammo in faccia e la seguimmo in anticamera.
Poco per volta la nuova arrivata comparve dalle scale. Dapprima il capello di foggia alquanto stravagante, poi il viso, circondato da lunghi riccioli biondi non acconciati. Era piuttosto alta per essere una donna, cosa sottolineata ancor più dall'abbigliamento alquanto insolito, anche se non certo dimesso. Portava con sé una sorta di valigia, che riconobbi essere la custodia di uno strumento musicale.
- Ciao Florence, - salutò la nuova arrivata. - Ma... oggi non è giorno di ferie?- domandò, accennando a me e Holmes.
- Questi sono il dottor Watson e Mr. Holmes. Signori, mia sorella, Violet Lyons.
Nonostante l'aria stravagante, la riverenza che ci rivolse fu inappuntabile.
- È forse accaduto qualcosa di grave?- domandò apprensiva miss Violet Lyons, conosciuta l'identità del mio compagno. - Sapete, manco da stamattina. Impegni con l'orchestra...
Miss Florence le spiegò brevemente la situazione.
- È strano, - si stupì quella. - Eppure, Mr. Holmes, ora che ci penso, stamattina, verso le quattro, mi è parso di sentire dei rumori strani.
- Avevo immaginato un orario del genere, - replicò il mio compagno. - Non ha pensato di controllare?
- Se avessi immaginato cosa stava succedendo, sarei venuta subito giù e avrei sistemato quel mascalzone!- esclamò lei con l'espressione di chi fa sempre seguire l'azione alle parole. - Ma vede, le nostre camere sono al terzo piano, ed è facile da lì confondere qualsiasi rumore con quello delle prime carrozze.
Il campanile batté le ore, e gli occhi verdi di miss Violet si spalancarono.
- È già così tardi? Devo sbrigarmi...!
- Se tu non perdessi tempo a litigare con i componenti dell'orchestra, o per lo meno con quelli della sezione archi..., - la rimproverò lievemente la sorella.
- Come fai a sapere che...?
- Hai delle macchie di resina sul polsino sinistro della tua camicia, che è tutto stropicciato. Dal momento che sei mancina, la resina sull'arco tu la metti con la sinistra, quindi non ti sei macchiata da sola, ma qualcuno ti ha sporcata in quel modo, altrimenti sarebbe stato il polsino destro ad essere macchiato. Il fatto che è stropicciato mi dice che è stato stretto, e ne ho la conferma dal fatto che le macchie di resina mi fanno intravedere la forma di un pollice. Stavate addirittura venendo alle mani? - concluse miss Lyons.
Confesso che se quelle parole non fossero state pronunciate da una voce femminile avrei creduto di sentir parlare il mio amico Holmes. Lo guardai, e vidi che il lieve sarcasmo di poco prima era scomparso dal suo volto, e che i suoi occhi penetranti scrutavano miss Florence con un'espressione che non gli avevo mai visto, ma che certo non aveva nulla a che vedere con l'apatia di poche ore prima.
- No, mi hanno fermata in tempo, - rispondeva intanto miss Violet. - Ma quell'insolente uno schiaffo se lo meritava! È un vero peccato che mi abbiano bloccata!
- Ma tu avevi fretta, mia cara.
- Cielo, tu mi fai chiacchierare, col tuo solito giochetto! - Miss Violet ci salutò frettolosamente, salì al piano superiore e ne ridiscese di corsa qualche secondo dopo, seguita dallo sguardo di miss Florence.
- Mi scuso per la stravaganza di mia sorella. Sapete, gli artisti...
- Mi è parso di capire che sua sorella suona il violino - rimarcò Holmes.
- Oh, sì, e anche molto bene. Adoro ascoltarla suonare, anche se preferirei si dedicasse meno alla musica italiana o francese e si concentrasse su quella tedesca, che è molto più profonda. Credo che nulla aiuti ad esplorare il proprio animo più delle note di Bach.
- Condivido in pieno la sua opinione, - sorrise Sherlock Holmes. - Vede, anch'io mi diletto a suonare il violino, e prediligo le arie tedesche.
- Ed è anche un ottimo improvvisatore, - aggiunsi io.
- Davvero? - Per la prima volta da quando eravamo in sua presenza, miss Florence Lyons sorrise, di un sorriso franco che rendeva luminoso il suo viso serio. Lungi dall'accorgersene, il mio cinico compagno interruppe bruscamente la conversazione.
- Bene. Sarà ora di andare.
- Non volete fermarvi per il the?
- Grazie, miss Lyons, ma preferirei andare subito al negozio dove ha acquistato la sua macchina da scrivere, - tagliò corto Holmes, senza guardarla negli occhi, e dirigendosi verso l'attaccapanni, dal quale prese cappello e cappotto.
- Aspetti! - lo fermò Miss Florence - Crede che io e mia sorella corriamo qualche pericolo?
- Spero di no, - rispose lui, aggrottando le sopracciglia. - Comunque avete chi vi protegge, dato che c'è un uomo in casa. Inoltre, lei non è affatto una sprovveduta, almeno a giudicare dalla sua abilità nell'applicare i miei metodi.
Miss Lyons si guardò intorno con la fronte corrugata.
- Un uomo in casa? - si meravigliò quasi tra sé. - Ah, è per il fucile! - esclamò poi, indicandone uno appoggiato alla parete. - Veramente era di mio padre, ma ora è Violet ad usarlo.
- Miss Violet sa usare un fucile? - mi stupii io.
- Già. Nostro padre era un ufficiale, e l'ha sempre trattata come il figlio maschio che non ha mai avuto.
- Può essere una fortuna, - replicò Sherlock Holmes, guardandola di sottecchi.
- Non ne sono molto convinta, - sospirò lei. - Ma cosa diceva riguardo ai suoi metodi?
- Credo che Holmes si riferisca al fatto che abbia dedotto il litigio di sua sorella dalla macchia sulla manica, - intervenni io.
- Quello? E cosa c'entra col suo metodo? - gli chiese miss Lyons, sorpresa.
Poiché egli non rispondeva, io proseguii.
- Pensavo che avesse letto i miei resoconti sulle imprese del mio amico qui presente e da lì avesse imparato...
- Sono spiacente, ma non so di cosa stia parlando. È una vita che faccio quel gioco. Conosco Mr. Holmes unicamente da quello che ho letto sui giornali. Purtroppo non ho tempo di dedicarmi al tipo di letteratura di cui lei si occupa, dottor Watson.
Ne rimasi un po' deluso. Le labbra sottili di Sherlock Holmes, invece, si piegarono in una specie di sorriso quasi divertito.
- Arrivederci, miss Lyons. Per qualsiasi cosa, lei conosce il mio indirizzo. Sempre che io non mi faccia vivo prima.
- La ringrazio. Credo che le farò visita stasera stessa.

Uscimmo in strada, dove Sherlock Holmes chiamò subito una carrozza.
- Come mai tutta questa improvvisa fretta? - chiesi.
Il mio amico non rispose, impegnato com'era a tentare nervosamente di accendersi la pipa.
- Questi suoi sbalzi d'umore non sono affatto normali. Amico mio, so che non è il momento per una predica, ma devo chiederle di controllarsi con la cocaina, se non vuole che...
- Ha ragione, Watson, non è il momento per le prediche, - mi interruppe secco Holmes, riuscendo finalmente ad accendersi la pipa.
- Mi dica, - aggiunse poi, - lei ha mai provato la sgradevole impressione che qualcuno sia capace di leggerle nel pensiero?
- Tutti i giorni, da quando conosco lei, - risi io.
- Già, - fu la sua risposta, prima di sprofondare nel silenzio. Dopo qualche minuto, tentai di farlo parlare chiedendogli cosa pensasse di miss Lyons, che personalmente avevo trovato molto interessante, ma mi rispose con un mugugno tale da togliermi la voglia di fargli altre domande, e restammo in silenzio finché non fummo giunti al negozio.
Una volta entrati, chiedemmo del commesso, al quale mostrammo la macchina da scrivere.
- Questa macchina è stata venduta in questo negozio? - chiese Sherlock Holmes.
- Sicuro, - confermò il commesso. - Me la ricordo bene. è un pezzo molto particolare, non fabbricato in serie, che ci è stato portato qui per la vendita, per espresso desiderio niente meno che di Lord Duringham, dal suo segretario in persona. - Lord Duringham era un deputato molto influente. Holmes annuì, confermato nella sua ipotesi.
- Ma che le è successo? Un pezzo così pregevole, fa male il cuore vederlo in questo stato! - Il commesso era inorridito, come davanti allo scempio di un'opera d'arte.
- Oh, un incidente, - rispose Holmes con noncuranza. - Si ricorda per caso chi l'ha acquistata?
- Oh, sì. Questa macchina mi era appena arrivata quando, poco dopo l'apertura del negozio, si è presentata una signorina, molto graziosa ma vestita in modo alquanto strano, che l'ha acquistata.
Ci scambiammo un'occhiata. Certamente parlava di miss Violet.
- Ah, e ora che ci penso, subito dopo che lei è uscita, è apparso un tipo ancora più strano che ha chiesto di quella stessa macchina. Quando gli ho detto di averla appena venduta, per poco non mi ammazzava. Si è precipitato fuori, e poi non l'ho più visto.
- Era un tizio alto, con la barba, robusto?
- No, signore. Era piuttosto basso, non aveva la barba ed era scuro in volto. Vestiva in maniera piuttosto esotica, credo provenisse dall'Oriente.
- Certo, avrei dovuto immaginarlo, - mormorò Holmes a denti stretti.
- Ricorda qualcosa di particolare in lui, oltre al fatto che sembrasse orientale?
- Mi lasci pensare... Ah! Ricordo che all'anulare sinistro portava un anello che ha attirato la mia attenzione perché era piatto e rotondo, molto grosso.
- Probabilmente aveva sopra incisa qualche genere di iscrizione..., - disse Holmes con aria distratta, guardandosi le unghie.
- No, signore, era un disegno molto ben marcato. Un elefante e una spada.
A queste parole, gli occhi del mio amico si accesero improvvisamente.
- Benissimo, Mr.....
- Winthorp, signore. Mi chiamo Winthorp.
- Bene, Mr. Winthorp. La ringrazio per la cortesia, e arrivederci.
- Ma...non vuole lasciarmi la macchina? Posso ripararla!
- Un'altra volta, grazie.

- Siamo sulla pista giusta, Watson, - annunciò Sherlock Holmes, quando fummo in carrozza, fregandosi le mani con un largo sorriso. - Mi ero sbagliato pensando che lo scassinatore fosse la stessa persona che doveva acquistare la macchina, ma il fatto che fosse invece un indiano, e che portasse al dito un distintivo così vistoso giova molto di più alle nostre indagini. Vedrà che seguendo l'elefante arriveremo ad acciuffare i criminali. Intanto è confermata l'ipotesi che siano coinvolte la politica e l'India; resta da definire se si tratti di una rivolta o di un contrabbando d'armi. Come vede, lo scasso alla dattilografia era solo la punta di un iceberg: quello che c'è sotto è di gran lunga più grosso e più interessante.
- Sono contento di sentirla tanto entusiasta, Holmes, - rimarcai io. - Eppure questo non mi sembra nemmeno il più notevole dei casi che le siano capitati.
- Ha ragione, - convenne lui. - Eppure il mio interesse è risvegliato. Mah, in fin dei conti è una contraddizione della minima importanza, come domandarsi se sia la terra a girare intorno al sole, o viceversa. L'importante, ora, è risolvere il caso, e più che mai essere a casa prima che miss Lyons arrivi in Baker Street. Ci ha promesso di venirci a trovare, ricorda? E ho idea che sarà una visita piuttosto interessante.

Non appena fummo rientrati a Baker Street dopo essere passati per l'ufficio del telegrafo (Sherlock Holmes doveva spedire un telegramma), il mio compagno si diresse difilato verso lo scatolone dove conservava i giornali vecchi, tirò fuori una copia del Daily Telegraph, e si mise a sfogliarlo attentamente.
- Cosa sta cercando? - domandai.
- Ricordavo di aver letto un articolo che potrebbe esserci utile...ma dov'era? Ah, eccolo.
Mi porse il giornale. L'articolo, risalente ad una settimana prima, annunciava l'arrivo in visita dell'attendente del governatore britannico in ...stan, un indiano di nome Sherib, e il suo soggiorno al Grosvenor Hotel. Al suo arrivo, era stato accolto da uno dei deputati più influenti della Camera, Lord Duringham, il quale si era distinto per alcuni discorsi in Parlamento contro i severi provvedimenti predisposti nei confronti dei ribelli dello stesso ...stan. Questa era sempre stata una provincia molto irrequieta, percorsa da fremiti rivoluzionari, che però si era improvvisamente calmata dopo la recente nomina di Sir Seymour a governatore.
L'attendente sarebbe partito il martedì successivo, ovvero due giorni dopo.
- Che ne pensa, Watson?
- Mah, non saprei. Il fatto che si nomini Lord Duringham e un attendente indiano ha attinenza col caso, ma non ci vedo nulla di più di una coincidenza.
- Può essere come dice lei, dottore, ma forse no, - replicò lui.
In quel momento si udirono i passi di due persone sulle nostre scale, e subito dopo fu bussato alla porta.
- Ecco miss Lyons che ci rende visita, - commentò Holmes mentre io aprivo la porta.
Effettivamente, era proprio lei.
Era accompagnata, con mio grande stupore, da un uomo barbuto, alto circa un metro e ottanta e molto muscoloso. Al vederlo, Holmes non si scompose minimamente, limitandosi ad accendersi l'ennesima pipa della giornata, e facendoli accomodare. La poltrona parve scomparire sotto l'enorme figura dell'uomo barbuto.
- Buonasera, miss Lyons. L'autore dello scasso, presumo, - aggiunse poi, rivolto all'uomo, che ebbe un balzo di sorpresa.
- Come lo sa?- chiese, guardando nervosamente ora il mio compagno ora la dattilografa.
- Mr. Blackstone, - rispose quest'ultima - Mr. Holmes aveva già in mente il suo ritratto.
- Devo chiederle, miss Lyons, - esordì Sherlock Holmes quando tutti ci fummo accomodati, in un tono a metà tra il comprensivo e il risentito, - come mai non mi ha reso partecipe dei suoi dubbi su Mr. Blackstone. Lei sa bene che non posso aiutarla se non mi dà completa fiducia.
- Mi dispiace, ma il mio era solo un sospetto, e non intendevo farle il nome di un innocente. Quando lei mi ha descritto il possibile autore dello scasso, se ricorda, sono trasalita: mi era venuto in mente Mr. Blackstone, che, tra l'altro, è il fabbro dal quale ho acquistato le serrature del mio ufficio, che sono di un tipo particolare, e che quindi poteva benissimo essere capace di aprirle senza chiavi.
- Eccellente, miss Lyons. Ho pensato ad una simile eventualità quando avete varcato la soglia, per questo non ho avuto dubbi sull'identità di quest'uomo. Ma ciò non toglie che lei sia stata molto imprudente, quindi la prego, la prossima volta che avrà un'idea del genere, di comunicarmela immediatamente.
Lei stava per replicare, ma Holmes la bloccò con un imperioso gesto della mano.
- Ora sono curioso di sentire cos'ha da raccontarci Mr. Blackstone. Ci dica tutto, senza trascurare nulla.
- Ieri sera, poco prima della chiusura, - cominciò il fabbro, - si è presentato un tizio un po' strano alla ferramenta. In verità, stavo per chiudere, ma ultimamente i clienti sono così pochi che non me la presi affatto per quella visita così tarda. Pensai subito che quel signore fosse un indiano: era vestito come un orientale, e portava un grosso anello piatto al dito, con qualcosa inciso sopra. Mi disse se volevo guadagnare qualche soldo, e io risposi di sì, pensando che volesse farmi un grosso ordine per serrature, chiavi o altro. Invece mi propose ciò che sappiamo. - Qui si interruppe, guardando vergognoso il pavimento, mentre Holmes, dalla sua poltrona, lo scrutava attento, tra il fumo blu della sua pipa.
- Mr. Holmes, io non ho mai avuto a che fare con la giustizia, e non avevo la minima intenzione di cominciare, tanto più che si trattava di scassinare la casa di miss Florence, che conosco da lungo tempo. Ma avevo bisogno di soldi, e in fin dei conti dovevo solo rubare un pezzo di carta nascosto in una delle macchine da scrivere. Miss Florence non avrebbe subito alcun danno, o almeno così credevo. Così ieri notte, verso le quattro di mattina, sono entrato nella dattilografia aprendo le serrature che ben conosco con un passepartout adatto, e sentendomi in quel momento un vero ladro. Mi innervosii, e quando trovai le macchine da scrivere mi scordai ciò che mi era stato spiegato per aprire quella giusta, così cominciai a scardinarle tutte con un coltello a serramanico, che dovetti usare a mo' di scalpello a suon di pugni sulle tre macchine che non erano quella che cercavo. Feci questa operazione accanto alla finestra, poiché, data l'ora, era abbastanza chiaro per vedere senza accendere fiammiferi, ma non abbastanza per essere visto da fuori.
- Sì - interruppe Holmes. - Anche prima che miss Violet mi confermasse di aver udito dei rumori di mattina presto, avevo immaginato che lei avesse scelto un orario del genere, appunto per la ragione che mi ha detto. Infatti non ho trovato tracce dei colpi inferti alle macchine sulla mensola dell'armadio, né resti di fiammiferi; ma ho trovato diverse schegge metalliche accanto ad una delle finestre.
- La quarta macchina finalmente si aprì, - proseguì Mr. Blackstone, - e vi trovai il documento che cercavo. Lo presi, richiusi la macchina e scappai più in fretta che potevo. Dovevo recarmi nella hall del Grosvenor Hotel, dove avrei trovato un servitore di quell'indiano ad attendermi. Nessuno, all'albergo, mi chiese nulla su cosa volessi da quel tizio; probabilmente è abituato a ricevere visite ad orari strani. Trovai il servitore; questi mi condusse nella stanza dell'indiano, che mi stava aspettando, e al quale consegnai il documento. Davanti a me ruppe il sigillo...
- Che sigillo era, lo ha visto? - chiese Holmes con gli occhi brillanti.
- Un elefante con sotto una spada. La stessa incisione, notai, dell'anello che l'indiano portava al dito.
Holmes annuì soddisfatto.
- Ruppe il sigillo, - riprese Blackstone, - e lesse il foglio. Poi scambiò qualche parola, per me incomprensibile, con i diversi uomini presenti nella stanza non so se come servi o guardie del corpo (credo che quest'indiano sia una specie di pascià); quindi appallottolò il foglio e lo gettò nel fuoco. Dopo di che mi diede il denaro promesso, senza una parola, e uscì con tutto il suo seguito, lasciandomi solo.
Io ero lì, Mr. Holmes, col denaro in mano e la coscienza sporca; mi prese la curiosità di sapere cosa ci fosse scritto in quel documento che aveva causato la mia disonesta avventura. Mi accostai al camino, per vedere se fosse rimasto qualche frammento tra la cenere. Fortunatamente il foglio, oltre ad essere caduto abbastanza lontano dal fuoco, era stato appallottolato e pressato piuttosto forte, così che le fiamme non avevano potuto attaccarlo efficacemente. Lo presi, lo riaprii e lo lessi, ma francamente non capii nulla.
- Cosa c'era scritto?
- L'ho qui con me, - e, così dicendo, trasse di tasca un foglio spiegazzato e bruciacchiato, su cui si leggeva questo incomprensibile messaggio:


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121

- E questo è tutto, - concluse Blackstone.
- Una domanda, - fece Sherlock Holmes. - Come mai sua moglie non si è più presentata al lavoro dopo che miss Lyons l'aveva assunta?
- Non ho mai voluto che accettasse, - rispose il fabbro. - Mia moglie non ha mai lavorato, e se aveva deciso di cominciare ora era per la nostra precaria situazione finanziaria. L'ho convinta a fingersi malata per qualche giorno, per ritardare l'inizio del suo lavoro, e, quando ho avuto i soldi dall'indiano, l'ho persuasa a non andarci affatto.
- Capisco. E cosa l'ha spinta a venire a raccontarmi la sua storia?
- È stata miss Florence.- Il fabbro la guardò, ma riabbassò subito gli occhi. - È venuta da me qualche ora fa con la scusa di domandare notizie di mia moglie, e ha finito per farmi confessare tutto. D'altra parte, la mia coscienza mi impediva di tacere.
- Bene, - Sherlock Holmes appoggiò la pipa sul tavolo, e fissò la dattilografa con espressione indefinibile.
- Devo ringraziarla, miss Lyons, perché il suo aiuto è stato determinate per le indagini. Tuttavia sono costretto a chiederle di non prendere più, d'ora in avanti, simili iniziative, soprattutto senza avvertirmi. La faccenda può rivelarsi più pericolosa del previsto, e non è prudente da parte sua mettere a repentaglio la sua sicurezza solo per mostrarmi quanto è brava.
- Io non devo mostrare nulla a nessuno, tantomeno a lei, - ribatté miss Florence Lyons alzandosi in piedi con occhi lampeggianti di sdegno. - E mi dispiace se lei vuole sentirsi padrone assoluto della situazione, perché io non ho intenzione di starmene con le mani in mano, almeno finché sarò personalmente implicata in questo caso. Non ci terrei a... mostrarle la mia bravura se non mi trovassi in condizioni di non poter più lavorare, e se non volessi tornare a farlo al più presto.
Holmes riprese la sua pipa, distogliendo lo sguardo da lei. Notai che comprendeva, credo per la prima volta in vita sua, di avere torto.
- Le domando scusa, - disse. - Capisco le sue ragioni. Ma le assicuro che ho in mano le fila della storia, e che tutto sarà concluso in 24 ore.
- Molto bene.- Miss Lyons si dispose ad andar via, così come il fabbro che, come me, aveva assistito alla scena piuttosto imbarazzato.
- Sa una cosa, Holmes, - commentai io quando i due se ne furono andati. - Secondo me, se mai lei dovesse decidere di sposarsi, miss Lyons avrebbe proprio la tempra adatta per diventare sua moglie.
Il mio amico, che si era languidamente sprofondato in poltrona, scattò a quelle parole.
- Se è un altro dei suoi tentativi di farmi apprezzare una rappresentante del gentil sesso, come ha già più volte fatto in altre occasioni, è fuori strada, Watson. Si goda pure le sue gioie coniugali, e non tenti di convincere anche me a cercarle. A proposito, poiché è piuttosto tardi, Mrs. Watson la starà aspettando, quindi sarà bene che lei vada. Stanotte cercherò di decifrare quel foglio, e per domani a quest'ora spero che tutta questa storia sia finita.
Così mi vidi messo alla porta. Prima di chiudermi l'uscio alle spalle, notai che Sherlock Holmes si stava accendendo un'altra pipa.

A mezzanotte una violenta scampanellata mi fece sobbalzare nel letto. Aperta la porta, mi trovai di fronte uno Sherlock Holmes mai così entusiasta.
- Disturbo, Watson?
- Si può sapere cosa...
- A dopo le spiegazioni. Mi spiace non averle dato molto tempo per riposare, ma mi farebbe molto felice se volesse venire con me a Reigate.
Al solito acconsentii, e cinque minuti dopo ci trovavamo su una vettura di piazza.
- Holmes, cosa significa questa levataccia?
- Che ho decifrato il messaggio, mio caro Watson. Stiamo andando nella casa di campagna del governatore Seymour.
- A fare cosa?
- A scoprire dove sono nascoste le armi destinate alla prossima rivolta in ...stan.
- Ma che cosa sta dicendo?
- Le espongo la mia teoria. L'...stan è una terra inquieta che solo ultimamente, con la nomina di Sir Seymour a governatore, si è calmata. Circostanza strana, perché lei conosce meglio di me la tenacia degli indiani, e sa che non li si può domare con la semplice nomina di un nuovo governatore. Facciamo quindi finta che questo governatore sia per qualche motivo gradito ai ribelli, ad esempio, perché è un ribelle egli stesso.
- Come può un governatore britannico essere un ribelle?
- Chiunque voglia instaurare una dittatura personale è un ribelle contro l'impero. Ma mi lasci finire, Watson. Poniamo che Seymour voglia aiutare la ribellione indiana contro la Gran Bretagna allo scopo di imporsi come dittatore. Per questo ha sicuramente bisogno di appoggi, di complici, che gli forniscano da un lato copertura politica in patria e dall'altro i mezzi materiali per poter combattere. Armi, per intenderci. E ho motivo di credere che questi appoggi vengano dal grande Lord Duringham, che si è tanto prodigato in Parlamento a gettare acqua sul fuoco per la ribellione in ...stan, nonché a fornire a Seymour le armi di cui le parlavo. Quindi, l'attendente Sherib viene a Londra, ufficialmente in visita. Duringham gli invia un messaggio accuratamente camuffato nella macchina da scrivere di miss Lyons, avvisandolo che le armi saranno disponibili il tale giorno, in modo che egli possa controllarle e portarle via con sé al suo ritorno in India, dove potranno essere distribuite ai ribelli. Quello che mi sembra assurdo è che Sherib abbia fatto un viaggio così lungo per procurarsi qualche fucile, ma può darsi che l'assurdità stessa di ciò serva a non suscitare sospetti sul vero scopo di questa visita.
- Ha le prove di ciò che dice?
- Eccole. - Holmes tirò fuori un foglio su cui era trascritto il messaggio in codice portatoci da Blackstone.
- Come le ho detto, ho decifrato il messaggio. Si tratta di un codice abbastanza comune, ma complicato dal fatto che va letto a righe alternate, e che gli elementi sono disposti col metodo cosiddetto "a siepe". L'ultima riga è un aiuto alla lettura; dato che il messaggio è composto di lettere e numeri alternati, 121 significa che, data la prima lettera, la sua "traduzione" si trova avanzando nell'alfabeto del numero di lettere indicato. Data la seconda e la terza, bisogna retrocedere del numero indicato; data la quarta, avanzare; data la quinta e la sesta retrocedere, e così via. Ora le mostro la prima riga.

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8s4c3n5h5k2i4v4l3c7m4h3

Le coppie da considerare sono: t8, s4, v2, q3, n5, l5, g5, k2, h3, w4, v4, z8, f3, c7, d3, p4, h3. I caratteri esclusi sono stati inseriti a caso, per sviare la lettura. Da t deve andare avanti di 8 lettere, e ottiene b. Da s e da v deve andare indietro rispettivamente di 4 e 2 lettere, e ottiene o e t. Da q deve andare avanti di tre lettere, e ottiene t. Da n e l deve retrocedere di 5 lettere per entrambe, e ottiene i e g. e così via. Questa prima riga dice "Bottiglie arrivate". L'intero messaggio recita: "Bottiglie arrivate. In partenza martedì sera. Controlla vino. Magazzino dietro villa. Cancello del raggio".
- Mi sembra più incomprensibile di prima
- Per nulla, Watson. "Cancello del raggio", ovvero Ray Gate, quindi Reigate. La villa di Sir Seymour, guarda caso, si trova lì. E ho ricevuto un telegramma dal migliore oste di laggiù, che occasionalmente collabora con me, il quale mi informa che stamane l'attendente Sherib ha ordinato un centinaio di bottiglie del vino preferito dal governatore, con l'intenzione di portarle via in India. Solo che, stranamente, non ha chiesto casse per il trasporto, dicendo di aver già provveduto diversamente. Le è più chiaro, ora? Evidentemente, le casse in cui viaggeranno le bottiglie saranno tali da poter nascondere le armi.
- Ma il messaggio non parlava di armi.
- No, ma se la mia teoria è esatta, le armi sono l'unico tassello mancante.
Dopo un viaggio di più di tre ore arrivammo a Reigate. Cominciavo fastidiosamente a risentire della mancanza di sonno; non così il mio compagno che, sensi all'erta come un segugio, riuscì a trovare una carrozza che ci portasse alla villa di Sir Seymour.
- A quest'ora non dovrebbero esserci sorveglianti - bisbigliò Sherlock Holmes quando fummo giunti al muro che cintava la villa. Scavalcatolo, ci trovammo nel giardino. Avevamo appena messo piede a terra, quando due grossi mastini ci galopparono incontro abbaiando furiosamente. Lesto, Holmes trasse di tasca un involto: conteneva due grosse bistecche che buttò ai cani, i quali le azzannarono avidamente, accucciandosi tranquilli.
- Per fortuna avevo previsto la loro presenza. Mi venga dietro, Watson, e stia attento a dove mette i piedi.
Aggirammo la casa, e scoprimmo, dietro le stalle e piuttosto discosta dall'edificio principale, una costruzione che poteva benissimo essere il magazzino che stavamo cercando. Holmes vi girò intorno, e scoprì una porta chiusa da un paletto di legno, la cui apertura si rivelò murata, e un'altra sul lato opposto, chiusa da un grosso lucchetto. Tirato fuori un lungo ferro, Sherlock Holmes cominciò ad armeggiare con la serratura finché riuscì a farla scattare e ad aprire la porta. Davanti a noi si apriva un locale ampio in cui era custodito un po' di tutto. I muri erano pieni di mensole su cui erano impilate ogni sorta di cianfrusaglie; in un angolo, attrezzi da giardino; in fondo allo stanzone, accanto ad una grossa porta d'acciaio (che lì per lì mi sembrò fuori luogo in un posto del genere), erano allineati alcuni barili; e, soprattutto, ciò a cui corsero subito gli occhi del mio compagno, in un angolo erano accuratamente accatastate una decina di casse che, viste da vicino, rivelavano sul coperchio uno stemma impresso a fuoco: un elefante e una spada.
- Ci siamo! - esclamò Holmes, trionfante. Si accostò ad una delle casse e, estratto un piede di porco dalla giacca, la aprì, facendo attenzione a non danneggiarla. Tra strati di paglia da imballaggio trovò due file di bottiglie; ma non gli fu difficile scoprire il doppio fondo in cui erano nascosti diversi fucili.
- Ed ecco l'ultima prova, - commentò soddisfatto. Richiusa con cura la cassa, cominciò ad esaminare lo stanzone e gli altri locali che componevano l'edificio, finché, tempo dopo, non dichiarò che potevamo tornare al nostro appartamento.

Varcammo il portone di Baker Street che era già giorno fatto. Appena entrati, Mrs. Hudson ci intercettò e, piuttosto sorpresa, ci informò che miss Florence Lyons era di sopra e ci stava aspettando.
La trovammo, infatti, nel nostro salottino. Non appena ci vide entrare, si alzò in piedi e ci venne incontro con aria piuttosto preoccupata.
- Deve riferirmi un altro brillante exploit? - ironizzò Holmes, senza però sorridere, intuendo un motivo importante.
- Non mi permetterò più di interferire in questo caso, dal momento che lei si ritiene autosufficiente, - gli rispose per le rime miss Lyons. - Sono qui per avvertirla che Mr. Blackstone stanotte non è tornato a casa. Mrs. Blackstone è molto preoccupata perché questo è fuori dalle abitudini di suo marito.
- Può darsi che non sia il caso di allarmarsi, - replicò Sherlock Holmes. - Comunque, ora torni da Mrs. Blackstone. Il dottor Watson e io vedremo di...
- Mi spiace, ma un impegno improrogabile mi terrà fuori Londra tutto il giorno. Ad ogni modo, c'è mia sorella a fare compagnia a Mrs. Blackstone e ad attendere notizie. Io sarò di ritorno stasera, e verrò senz'altro a chiedervi eventuali novità.
- Capisco, - Holmes si portò alla finestra, voltandoci le spalle.
Miss Lyons restò qualche istante in attesa che egli aggiungesse qualcosa, ma poiché ciò non accadde, si congedò e uscì.
- Cosa intende fare? - domandai allora.
Sherlock Holmes si accese la pipa, pensieroso.
- Aspettare, per ora. E sperare che nessuno finisca nei guai. - Udii appena le sue ultime parole, che finirono masticate insieme al bocchino della pipa.

Trascorremmo circa un'ora ingannando l'attesa, io immerso nella lettura del Times, e il mio compagno in quella di un trattato sugli assassinii per avvelenamento nelle corti dell'antica Roma. Notai però che voltava le pagine un po' troppo lentamente.
Infine, proprio mentre Holmes stava decidendo di andare di persona a cercare notizie di Blackstone, udimmo qualcuno salire frettolosamente i nostri 17 scalini, e bussare alla porta. Era miss Violet, pallida e col fiato corto.
- Scusate se arrivo così all'improvviso, ma dovevo assolutamente riferirvi la notizia che ho appreso a casa di Mrs. Blackstone, - disse, cercando di riprender fiato, dopo averci salutato.
- Mr. Blackstone è tornato? - domandai, offrendole una sedia.
- No, dottor Watson. L'ispettore Lestrade di Scotland Yard, accompagnato da due agenti è venuto a casa di Mrs. Blackstone per informare la povera donna...che suo marito è stato ucciso.
Non potei trattenere un'esclamazione di sgomento. Sherlock Holmes si alzò lentamente in piedi, impallidendo.
- Come è successo?- domandò.
- L'hanno trovato in Bridle Lane, sull'asfalto, accoltellato.
- Il pugnale è stato rinvenuto?
- No. Ma hanno trovato un grosso anello d'oro, piatto e rotondo, con un elefante e una spada marcatamente incisi.
Holmes aggrottò le sopracciglia.
- Dove lo hanno trovato?
- In pugno a Mr. Blackstone. Deve aver avuto una colluttazione con chi l'ha ucciso, così ha spiegato l'ispettore Lestrade.
- Cosa ci faceva Mr. Blackstone in Bridle Lane?
- Credo fosse andato a trovare un amico, o almeno questo è ciò che sapeva Mrs. Blackstone.
- Capisco. Mi ascolti, miss Lyons. Torni immediatamente a casa, ed eventualmente prenda la signora con sé. Appena sua sorella sarà tornata, la avverta di non muoversi di casa per nessuna ragione. Non si allarmi; è per evitare di esporvi a qualunque pericolo, in attesa che la faccenda sia risolta.
- Ad ogni modo, siamo armate, - sorrise miss Violet. - E comunque, riferirò il suo messaggio a mia sorella .- Altro sorriso. Francamente mi sfuggiva il motivo di quell'espressione maliziosa.
Quando miss Lyons se ne fu andata, Sherlock Holmes si lasciò cadere nella sua poltrona, mettendosi una mano sugli occhi.
- Lei ha idea di cosa significhi tutto ciò? - chiese, con voce funebre.
- Quell'uomo è stato ucciso dall'attendente indiano, - risposi.
- è stato ucciso perché ha parlato, Watson. E con chi ha parlato?
- Con lei. - La mia voce era divenuta fioca per la paura. Cominciavo a capire.
- Con me, nonché in presenza sua e di miss Florence .- Sherlock Holmes si affondò il viso tra le mani. - E io che mi lamentavo della monotonia della mia vita!
- Lei crede che sia noi due che miss Lyons siamo in pericolo?
- Ho paura di sì, Watson. E soprattutto ho paura dell'imprudenza di miss Lyons.
- Cosa faremo ora?
Holmes si accese la pipa. Davvero, non ricordavo di averlo mai visto fumare tanto prima d'allora.
- Non credo sia prudente muoversi di qui, ora come ora. Forse sarà meglio aspettare che Lestrade venga a chiederci aiuto per il caso dell'assassinio del fabbro, cosa che quasi certamente avverrà in giornata.

Per tutto il giorno, Holmes non toccò cibo e, nonostante le mie insistenze, non fece altro che fumare furiosamente e andare in continuazione dalla poltrona alla finestra.
Verso le nove di sera, si decise ad esaminare un'altra richiesta d'aiuto giunta nel pomeriggio, "per distrarsi". Ma, mentre apriva la lettera, udimmo la porta d'ingresso sbattere e , poco dopo, dei passi sulle scale. Vidi Holmes impallidire.
- È lei, santo cielo! - mormorò tra i denti, stringendo la lettera. - E nemmeno sa il rischio che corre!
Bussarono alla porta e io aprii. Era miss Lyons.
- Ma lei proprio non sa cosa sia la prudenza! - esclamò Sherlock Holmes, vedendola. - Sua sorella non le ha detto di non muoversi di casa?
- Buonasera anche a lei, Mr. Holmes, - replicò lei, ricordandogli di non essere stata salutata, e stupita non meno di me di quella veemenza. - Torno adesso dalla stazione, e non ho visto mia sorella per tutto il giorno. Posso sapere cosa succede?
- Mr. Blackstone è stato ucciso, - rispose Holmes recuperando la sua freddezza. - Ed è mia opinione che tutti i presenti in questa stanza siano votati alla stessa sorte, se non si guardano le spalle, - aggiunse, grave.
Miss Florence era visibilmente impallidita.
- Cosa devo fare? - chiese con voce fioca ma non tremante.
- Avevo raccomandato a miss Violet di non muoversi di casa e di convincere lei a fare lo stesso. Non immaginavo certo che lei avrebbe pensato bene di venire prima qui da me che da sua sorella. Ora le dico di seguire il mio consiglio e di aspettare che i criminali siano presi. A questo penserò io.
Sherlock Holmes prese il cappotto e la pistola, e mi disse di fare altrettanto.
- Andiamo, Watson. Accompagneremo miss Lyons a casa.
- Non è necessario che venga anche lei, Mr. Holmes, - ribatté fermamente la dattilografa. - Credo che tra il lei e il dottor Watson, sia proprio lei il bersaglio più appetibile. Il dottore sarà una scorta sufficiente.
- Sarò più sicuro venendo con voi.
- E da quando è così apprensivo nei miei confronti? - chiese miss Florence con due occhi che sembravano spilli.
- Miss Florence, - rispose Sherlock Holmes, che per uno scherzo della luce mi sembrava arrossito, - è mio preciso dovere preoccuparmi dei miei clienti.
- Certo, i clienti prima di tutto, - replicò fredda lei, aprendo la porta. - Comunque, lei è in pericolo quanto me, ed esporsi senza motivo agli assassini mi sembra un'assurdità. Per di più, lei ha da fare, - aggiunse, accennando alla lettera che Holmes aveva appoggiato sul tavolino, - e l'ultima cosa che voglio è che la sua preoccupazione per me debba distoglierla dal suo lavoro. Le ripeto che il dottor Watson mi sarà più che sufficiente.
- Come vuole. Allora, dottore, ci vediamo più tardi. Arrivederci, miss Lyons.
Non nascondo che questo piccolo diverbio mi aveva lasciato non poco sorpreso. Quando fummo in strada, osservai miss Florence camminare a testa alta e labbra strette, e ne ebbi tanta soggezione che non osavo parlarle.
- Perdoni se il mio amico le è sembrato un po' cinico, - le dissi infine, dopo un lungo silenzio, mentre aspettavamo una carrozza.
- No, lo capisco, - mi rispose, e la sua voce era tutto tranne che offesa. - Mr. Holmes mette il proprio lavoro al di sopra di tutto, e non credo sia giusto distoglierlo da esso, se non lo vuole. Sarebbe come tagliargli le ali. Evidentemente, si sente più libero di esprimersi se la persona che ha davanti è un cliente, piuttosto che un amico, o qualcosa di simile. - Le ultime parole finirono in un soffio.
- Gliel' ha detto lui? - mi stupii io.
- No. Lo si capisce da molte cose, - rispose. - Ad esempio, prima di farmi entrare, Mrs. Hudson si è detta stupita di vedermi tornare per la terza volta in pochi giorni, e ha detto che di solito nessuno di coloro che si rivolgono a Mr. Holmes torna per due volte di fila. Questo mi fa pensare che abbia molti clienti, ma, a parte lei, nessun amico. Il che significa che preferisce i rapporti umani che coinvolgono la mente a quelli che coinvolgono il cuore, come se il sentimento lo rendesse meno libero. Eppure l'una cosa non esclude l'altra, e francamente mi dispiace molto che non lo capisca, - concluse, scuotendo la testa.
Stavo per replicare a questa sintesi del carattere di Sherlock Holmes, quando una carrozza si fermò davanti a noi. Aprii la portiera per far salire miss Lyons, ma improvvisamente mi sentii tirare dentro da braccia robuste. La bocca mi fu tappata da due grandi mani, in modo che non potessi chiamare aiuto. Lo stesso trattamento fu riservato a miss Lyons, ed entrambi fummo sbattuti in una angolo della carrozza con due uomini a tenerci fermi. Non appena la carrozza fu partita, un colpo alla nuca mi fece perdere i sensi.

Quando tornai in me, mi ritrovai in una stanza lunga e stretta, immersa in un'oscurità quasi totale. Non appena i miei occhi poterono distinguere qualcosa nel buio, notai che la stanza aveva le mura interamente di mattoni, senza alcuna finestra, e che l'unica entrata era una solida porta d'acciaio che si apriva solo dall'esterno. Non c'era via di fuga.
Miss Lyons giaceva ancora a terra supina, priva di sensi. Cercai di metterla su un fianco perché non soffocasse, ma il mio tentativo la svegliò. Si guardò intorno strizzando gli occhi, cercando di distinguere qualcosa nel buio.
- Cos'è successo?
- Ci hanno rapiti, temo.
- Devono avermi pedinata fino a Baker Street.
- Già.
- È una fortuna che Mr. Holmes non sia venuto con noi. Troverà certo il modo di farci uscire.
- Lo spero, miss Lyons, - risposi, cercando di sembrare convincente. Non sapevo da quanto tempo eravamo lì dentro, ma era certo, se eravamo destinati a fare la fine di Blackstone, che non ci saremmo rimasti a lungo.
Delle voci, fuori dalla porta, parlavano un idioma indiano quasi incomprensibile. Potei cogliere qua e là qualche parola che rivelava l'intenzione dei nostri rapitori di eliminarci il giorno seguente, e mi sentii gelare il sangue. Miss Lyons, seduta sul pavimento e ignara, guardava dritto davanti a sé.
Improvvisamente udii i nostri guardiani gridare il chi va là; seguì uno scalpiccio di piedi che si allontanavano, poi delle voci in lontananza. Dopo qualche minuto, lo scalpiccio riprese e si avvicinò alla porta. La chiave girò rumorosamente nella serratura; la porta si aprì, e sulla soglia distinsi due sagome basse e robuste, e una alta e longilinea. Era Sherlock Holmes.
- Holmes! - gridai balzando in piedi. - Hanno preso anche lei?
- Non esattamente. Io faccio parte di un contratto. Io so molte più cose di lei, miss Lyons, perciò prenderò il suo posto, - aggiunse poi, porgendole le mani per aiutarla ad alzarsi. Dalla mia posizione, vidi che così facendo le passava un pezzetto di carta piegato, lo stesso biglietto con cui ho aperto questa storia.
- Mi lasciano andare senza fare storie? - si stupì la ragazza.
- Lei è una giovane donna indifesa e qui intorno non c'è altro che campagna, - sorrise Sherlock Holmes a sopracciglia inarcate. - Che danno può mai recare a questi signori, che leveranno le tende domattina presto?
Miss Florence sorrise di rimando.
- Sapevo che sarebbe arrivato.
- Da cosa l'ha capito? - domandò Holmes, senza sarcasmo e senza lasciarle le mani.
Miss Lyons gli bisbigliò qualcosa che lo fece scoppiare a ridere.
I guardiani intanto davano segni d'impazienza.
- Ora vada, miss Florence.
- Spero che lei abbia i suoi motivi per fare ciò che fa.
- Infatti.
Miss Lyons uscì dalla stanza. La porta si richiuse, e ritornammo nell'oscurità.
- Holmes! - esclamai. - Finché era fuori potevamo ancora sperare, ma qui dentro...!
- Sì, Watson, - disse allegramente il mio amico, frugandosi in tasca in cerca della pipa. - Mi biasimi pure, perché questa è la prima azione deliberatamente irrazionale che compio in vita mia.
- Cosa ha in mente?
- Voglio verificare se miss Florence è effettivamente la persona che lei crede che sia, - rispose Sherlock Holmes, sedendosi a terra e cominciando tranquillamente a fumare.
- Non capisco da dove prende tutta questa allegria, - feci io, quasi risentito.
- Se si riferisce alla mia risata di poco fa, ho paura che stessi ridendo di lei, dottore.
- Di me?
- Sì. Mi divertiva il fatto che, prima del rapimento, lei fosse talmente preso dal discorso di miss Florence da non accorgersi affatto che io vi seguivo da vicino, mentre miss Florence ne era perfettamente conscia. "Le sue scarpe nuove scricchiolano", ha detto. Dio mio!
- Lei ci seguiva? - Decisamente, negli ultimi giorni mi stupivo sempre più spesso.
- Certo. Non ero sicuro che vi sarebbe capitato qualcosa, ma ho ritenuto opportuno seguirvi. Quando la vostra carrozza è arrivata, ho visto che il cocchiere era un indiano, e ho pensato fosse giunto il momento. Ho aspettato che vi rapissero, poi, attaccato dietro la carrozza, vi ho seguiti fin qui.
- E perché non ha fatto nulla per aiutarci? - chiesi, scandalizzato.
- Da solo non avrei potuto far nulla, - rispose lui alzando le spalle. - E poi era il solo modo di scoprire il covo dei rapitori, anche se lei stesso potrebbe sospettare dove ci troviamo.
- Ovvero?
- A Reigate, dietro la porta blindata del magazzino di Sir Seymour. È da qui che le armi saranno prelevate per essere imbarcate.
- Bene! - esclamai furioso davanti alla sua calma. - E come conta di impedirlo, se si trova qui?
- Abbia fede, - sorrise Holmes. - Si faccia una dormita. Abbiamo ancora qualche ora.
Mi sedetti appoggiando la schiena la muro, e rimasi in attesa. Non posso descrivere i pensieri che mi passavano per la testa: un misto di paura e di speranza, di fiducia e di risentimento, che sulle prime mi impedirono di dormire. Ma la calma di Sherlock Holmes cominciava a contagiarmi, e man mano che mi tranquillizzavo, cadevo nel sonno.
Fui svegliato da un rumore sommesso e costante, e dalla polvere che mi cadeva in faccia. Aprii gli occhi, e vidi Holmes osservare il muro alle mie spalle. Mi voltai, e vidi con sorpresa che dei mattoni venivano rimossi, creando un'apertura nel muro.
- Mr. Holmes! Dottor Watson! - chiamò piano una voce, da cui riconobbi miss Lyons.
Balzammo in piedi e ci accostammo all'apertura.
- Miss Lyons...è proprio lei? - feci io.
- E chi altri? Presto, aiutatemi a togliere i mattoni.
In fretta, tutti e tre aprimmo nel muro una breccia sufficiente a farci uscire. Una volta fuori nella notte, miss Lyons ci tese due pistole.
- Mia sorella è di guardia all'ingresso, e la casa è circondata.
- Molto bene.
- Raggiungiamo l'ispettore Lestrade, prima che ripassi la sentinella. Ad un segnale, Violet sfonderà la porta, e potrete attaccarli di sorpresa.
- Sono contento che sia venuta, miss Lyons - disse il mio amico. Lei non rispose.
Holmes ed io ci affrettammo verso il luogo dove Lestrade era nascosto. Miss Lyons ci seguiva. Ad un tratto si sentì un urlo e uno scalpiccio di piedi, poi due colpi di pistola dietro di noi e un tonfo metallico.
- Miss Florence! - gridammo spaventati Holmes ed io, e voltandoci vedemmo un uomo a terra, ferito ad una mano e ad una gamba, che si lamentava, il suo fucile poco lontano, e la dattilografa con un revolver in mano, ancora tremante per il rinculo dell'arma.
- Tutto bene? - domandò il mio amico. - Non sapevo che anche lei sapesse usare le armi.
- Nemmeno io, - rispose miss Lyons raccogliendo da terra il fucile della sentinella. - Su, andiamo.
Raggiungemmo Lestrade, che ci salutò con aria tronfia di scherno.
- Dunque è stato rapito, Mr. Holmes? - ridacchiò. Il mio amico non fece in tempo a replicare, perché nel frattempo avvertimmo una certa agitazione all'interno del magazzino. I colpi di pistola dovevano aver allarmato i rapitori.
Senza perdere tempo, miss Violet diede l'allarme, e intanto fece saltare la serratura della porta d'ingresso con una fucilata. Contemporaneamente, l'ordine d'attacco di Lestrade risuonò nell'aria; la porta fu sfondata, gli uomini di Scotland Yard irruppero nel magazzino, Holmes ed io con loro.
Riparandoci alla meglio tra le cianfrusaglie accatastate nel magazzino, ingaggiammo una disordinata sparatoria con una decina di indiani armati di fucili, ma anche di pugnali e di forti braccia che, all'occorrenza, non esitavano ad armarsi di rastrelli, badili e bottiglie. Alla nostra destra avevamo due agenti di Scotland Yard, uno appiattito dietro una cassa, e l'altro appoggiato alla meglio su un barile. Alla nostra sinistra potevamo vedere miss Violet, barricata dietro ad una pila di oggetti coperti da un telone. Io e Holmes, armati dei revolver che ci aveva fornito miss Florence, non potemmo contribuire molto alle forze schierate con noi, in quanto tutti gli altri erano dotati di fucili, alcuni dei quali estremamente potenti e precisi. Per un momento, con tutte quelle pallottole che fischiavano fin troppo vicino a noi, mi sembrò di essere di nuovo sul fronte, in Afghanistan.
La confusione fu indescrivibile; da entrambe le parti non erano stati risparmiati né colpi né forze, e solo dopo che il fumo delle pistole si fu dissolto potei distinguere il pavimento ingombro di ogni sorta di oggetti, diversi feriti tra gli agenti e gli indiani, nonché miss Violet col suo fucile in mano, ansante, spettinata e ferita a un braccio. L'attendente Sherib si arrese e si lasciò portare via.
- Può essere soddisfatto, Lestrade, - commentò Sherlock Holmes più tardi, osservando il viavai di agenti che portavano via le casse incriminate e i feriti. - Cosa ha deciso a proposito di Lord Duringham e del governatore Seymour?
- Prenderò provvedimenti oggi stesso, - dichiarò solennemente Lestrade.- Del resto, Mr. Holmes, un po' è anche merito suo. Ma le confesso che se quella miss...come si chiama?
- Miss Florence Lyons, - gli venne in aiuto il mio compagno, sorridendo.
- Se quella miss Lyons non mi avesse mostrato il biglietto scritto di suo pugno, l'avrei creduta una pazza. Svegliarmi in piena notte per dirmi che Sherlock Holmes è stato rapito... mi dica se non doveva sembrarmi assurdo!
Holmes ridacchiò.
- Devo chiederle un favore, Lestrade. Per una volta vorrei una ricompensa per il modesto aiuto che le ho fornito.
- Di che si tratta?
- Vorrei l'anello trovato in mano al povero Mr. Blackstone.
- Oh, bè, - borbottò Lestrade traendolo di tasca e soppesandolo con rimpianto. - Deve valere un bel po', ma non glielo rifiuto di certo.
- Dov'è Florence? - gridò miss Violet correndoci incontro preoccupata.
- Sono qui, - rispose una voce sulla soglia, e subito vidi una scia dorata passarmi davanti alla velocità di un siluro, e miss Violet appesa al collo della sorella.
- Ero rimasta fuori. Le sparatorie non fanno per me, - commentò quest'ultima, come se stesse parlando del tempo.
- E tuttavia, miss Violet, - si intromise Sherlock Holmes, - sua sorella se la cava piuttosto bene con la pistola.
- Davvero? Bè, buon sangue non mente! - sorrise orgogliosa miss Violet.
- Ma tu sei ferita! - esclamò Florence, notando preoccupata il sangue sulla manica del vestito di Violet.
- Non è nulla di grave, - rispose sua sorella, alzando le spalle. - Penso che potrò suonare comunque.
- In ogni caso sarà meglio che il dottor Watson ci dia un'occhiata, - disse Sherlock Holmes. - Ah, miss Florence, dimenticavo.- Trasse di tasca l'anello col sigillo. - Penso che questo valga le sue quattro macchine da scrivere.
In quella, poco dopo che ebbi fasciato alla meglio il braccio di miss Violet, un agente venne a chiedere di lei per un parere sui fucili, e di me per alcuni feriti. Uno in particolare aveva una brutta ferita alla tempia, così andai a prendere alcune lenzuola destinate al carcere, da tagliare a strisce come bende, che mi dissero trovarsi in una carrozza accanto al magazzino. E fu mentre rovistavo nella carrozza che udii il seguente scambio di battute tra miss Florence Lyons e Sherlock Holmes.
- Dunque è per questo che ha lasciato che fossi io a liberarla - diceva la dattilografa.
- Esatto, miss Florence - confermò Holmes.
- E ora che intende fare del consiglio del suo amico?
- Oscar Wilde direbbe che i buoni consigli sono fatti per non essere seguiti.
Miss Lyons esitò.
- E cosa dice Sherlock Holmes?
- Che ogni consiglio ragionevole è il benvenuto, - replicò il mio amico. - Il dottor Watson mi ha creato fama di misogino, e tendenzialmente ha ragione. Ma la sua presenza, miss Florence, potrebbe essere molto preziosa, come ho potuto constatare in questi giorni. Perciò...
Improvvisamente, le parole di Sherlock Holmes si fermarono, e per un lungo, interminabile istante entrambi tacquero. Dalla carrozza non potevo vedere la causa di quel prolungato silenzio; preoccupato, stavo per affacciarmi quando udii Miss Florence parlare, quasi sottovoce.
- La prego di non chiedermi altro, Mr. Holmes, - disse. - Sarò sempre pronta a offrirle la mia collaborazione, ma non mi chieda, dopo averla liberata, di imprigionarla ancora.
- Molto bene, - fu la secca conclusione di lui. - La ringrazio e le auguro buona giornata, miss Lyons.
- Arrivederci, Mr. Holmes.
I passi di miss Lyons si allontanarono frusciando sull'erba; poi, silenzio assoluto.
Scesi dalla carrozza con le lenzuola sotto il braccio, e mi accingevo ad allontanarmi senza far rumore quando una voce tagliente, la voce del mio amico, mi sorprese alle spalle.
- Dunque aveva ragione lei, dottore - disse.
Mi voltai, e non vidi che una sagoma longilinea appoggiata al muro del magazzino, stagliata contro i primi raggi del sole, che proiettava un lungo filo di fumo grigiastro verso il cielo ancora sonnolento dell'alba.
Solo più tardi mi ricordai la nostra conversazione in Baker Street riguardo a Miss Lyons; ma allora non risposi nulla, e mi allontanai in fretta, con una specie di fredda, acuta puntura al cuore.