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Il segno dell'apocrifo

di Alex Falzon

"Ma Sir Arthur Conan Doyle...
cos'ha a che vedere 'costui' con Holmes?

" (T.S. Eliot, Tbe Crilerion, 1929)

I

Le avventure del celebre detective creato da Conan Doyle nel lontano 1886 continuano a vivere grazie a tre fonti particolari. La prima, e la più importante, è quella del Canone ufficiale fissato dallo scrittore stesso nei 56 racconti e nei 4 romanzi brevi, li dove sono descritte tutte le idiosincrasie pertinenti a Holmes dal suo instancabile 'Boswell', il simpatico ma poco perspicace Watson. La seconda fonte, altrettanto importante,, è da rintracciarsi nell'enorme influenza che la saga ideata da Conan Doyle esercitò, a cavallo tra i due secoli, sul nascente genere giallo, dando vita ad una serie infinita di detective petulanti e presuntuosi di cui i sopravalutati Philo Vance e Hercule Poirot sono senz'altro i maggiori (peggiori?) esempi.

L'ultima, ma per questo non trascurabile, fonte è quella che si raggruppa intorno alle ormai innumerevoli opere che ripropongono la figura di Holmes ma di cui Conan Doyle NON è l'autore; è importante sottolineare subito che questo genere di scritto, in mancanza di un termine più felice, verrà d'ora in poi denominato 'Autore Secondo' in quanto egli è totalmente subordinato all'Autore Primo, cioè a Conan Doyle.

L'analisi che segue, pur tenendo conto delle prime due fonti, si basa quasi esclusivamente sulla terza, su quell'insieme di apocrifi che, a loro modo, aiutano a perpetuare l'opera di Conan Doyle (tra questi, naturalmente, si può annoverare la presente raccolta di racconti scritti da Adrian Conan Doyle e da John Dickson Carr, stampata in Italia per la prima volta nel 1966).

In cosa consiste un apocrifo su Sherlock Holmes? L'Autore Secondo deve innanzi tutto saper rendere lo spirito dell'epoca in cui è vissuto l'Autore Primo e lo stile (i gusti) di quest'ultimo; al contempo deve adattare il suo apocrifo alla sensibilità del lettore contemporaneo.

Un apocrifo degno di questo nome è quello in cui le due sensibilità si amalgamano e si trasformano in un prodotto omogeneo; questo tipo di operazione va quasi sempre a scapito dell'Autore Secondo il quale, sovrapponendo la sua opera a quella originale, disperde la propria identità nell'universo creato dall'Autore Primo (non è un caso se il più delle volte egli sostituisce in copertina il proprio nome con quello 'fittizio' del dottor Watson).

Egli, ovviamente, non può lasciarsi andare e deve anzi rassegnarsi, dal momento in cui prende in mano la penna, ad accantonare l'intuizione e l'improvvisazione; gli elementi da lui presi in prestito dal Canone devono perciò aderire con naturalezza, senza dimostrare alcuna dissonanza o dissidenza.

La saga di Sberlock Holmes può sopravvivere benissimo senza l'ausilio dell'apocrifo; lo stesso, però, non si può dire dell'apocrifo, la cui esistenza e il cui sostenimento dipendono interamente dal Canone. L'Autore Secondo sa che per quanto perfetto possa essere il suo falso, non potrà mai entrare a far parte del Canone ufficiale; egli sa altrettanto bene che la sua apparizione nell'universo di Conan Doyle è fugace, talmente fugace da non poter lasciar niente di determinante nella sua scia.

Agendo in questo modo, il falsario si presta alla fin troppo facile accusa di essere uno scrittore arido e privo di talento. L'accusa di essere poco creativo viene rafforzata ulteriormente dal fatto che il suo è un immaginario 'disciplinato', dal linguaggio 'frenato' e non motivato da una ricerca stilistica personale. Viene accusato di appropriarsi di qualcosa che, non gli spetta, di gratificarsi nella (ri)creazione del già creato, di essere un imbonitore, un ciarlatano, un ladro di idee... eppure, se riesce a realizzare le sue intenzioni, egli dimostra di essere tutt'altro che un semplice dilettante.

L'approccio dell'Autore Secondo nei riguardi del Canone è del tutto materiale, formale e tattile; lo sdrammatizza, anzi lo 'sgrammatízza', abbinando e scombinando le sue molteplici componenti strutturali. Prima ancora di essere scrittore, egli è dunque un critico giacché, dal momento in cui intende scrivere un apocrifo, egli si tramuta in un 'editore di testi', un teorico, per quanto involontario, della critica testuale.

La frequentazione diretta del Canone porta l'Autore Secondo ad ingegnarsi con i vari concetti di 'motivo','personaggio', 'immagine', 'tema' eccetera che sottintendono la filosofia della composizione di una storia di Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes protagonista. L'Autore Secondo diventa così un arbitro del segno conandoyleiano che attua quelle esclusioni e quelle inclusioni da lui ritenute necessarie per l'organizzazione della propria strategia testuale.

All'Autore Secondo, dopotutto, non interessa l'Autore Primo di per sé quanto la sua pratica letteraria; le poche tracce biografiche che possono interessarlo saranno quindi quelle pertinenti alla saga stessa (come, per esempio, la decisione presa nel 1893 di sbarazzarsi di Holmes e le ripercussioni che tale gesto ebbe sul Canone quando Sir Arthur risuscitò il personaggio 9 anni dopo).

Dissezionando il Canone, l'Autore Secondo dichiara che Conan Doyle è morto ma allo stesso tempo contribuisce a renderlo immortale poiché l'apocrifo serve soprattutto a tenere in vita un'opera appartenente al passato. Il Canone, grazie all'apocrifo, non invecchia mai ma si rafforza con ogni nuova 'interpretazione', diventando così un'opera che ha alimentato il suo tempo e che è alimentata dal tempo stesso.

II

La saga di Sherlock Holmes, rivisitata dall'Autore Secondo, diventa in questo modo una riserva incalcolabile di decodificazioni e di ristrutturazioni il cui campo di possibilità è press'a poco incommensurabile; si tramuta in un'opera aperta il cui destinatario a sua volta risulta un Produttore di testo.

Il Canone non è un'opera aperta nel senso stretto del termine perché in esso non troviamo un'ambiguità o un'impostazione -volutamente polisemica. L'universo descritto da Conan Doyle è un microcosmo ordinato il cui senso si presenta piuttosto completo, autosufficiente ed univoco. E' un'opera aperta fino al punto in cui "ogni opera d'arte, anche se prodotta seguendo una esplicita o implicita poetica della necessità, è sostanzialmente aperta ad una serie virtualmente infinita di letture possibili, ciascuna delle quali porta l'opera a rivivere secondo una prospettiva, un gusto, una esecuzione personale" (Umberto Eco, Opera aperta, Milano, Tascabili Bompiani, 1976)

Il produttore di un apocrifo ha la facoltà di attingere materiale da due fonti antitetiche ma entrambe presenti nel Canone stesso: può riferirsi sia ai 'punti fissi' (le costanti insostituibili e determinanti) sia ai 'punti mobili' (le varianti aperte all'interpretazione di chi le fruisce). I 'punti fissi' rappresentano quelle certezze innegabili ed inconfutabili che non permettono alcuna manipolazione del senso dato nel Canone (per es. la nascita, la morte e la risurrezione letteraria di Sherlock Holmes; la residenza londinese di Holmes e Watson presso la pensione della signora Hudson in Baker Street; la misoginia di Holmes eccetera eccetera); i 'punti mobili' permettono invece all'Autore Secondo di formulare delle permutazioni, delle ipotesi basate sulle lacune lasciate dal testo ufficiale (per es. Holmes spiega i motivi di quei casi irrisolti di cui Watson ha preferito tacere; si scoprono gli inediti custoditi da Watson in una cassetta blindata da lui consegnata alla ditta Cox's di Londra; eventuali avventure sentimentali di Holmes eccetera eccetera).

L'Autore Secondo deve innanzi tutto saper instaurare dei rapporti di convivenza con l'Autore Primo: non può far 'tabula rasa' del passato né tramutare i 'punti mobili' in (punti fissi' (non può, per esempio, condurre Holmes all'altare, alla follia o alla perdizione); egli non è altro che un interprete e la sua bravura dovrà manifestarsi nel modo in cui è riuscito a far emergere alcuni sensi finora rimasti latenti nel Canone.

Un produttore di apocrifi può dire di essere veramente riuscito nelle sue intenzioni se è stato capace di estrarre dalla saga di Sherlock Holmes il 'non-detto' di Conan Doyle, dimostrando così come 'anche' l'apparentemente univoco Canone si possa sdoppiare in un 'continuum' narrativo dall'esito ignoto.

Questo tipo di Autore Secondo avrà saputo cogliere le sfumature implicite nei rapporti tra opera singola (il Canone), il sistema dei generi letterari (il giallo e il feuilleton) e tra i sottoinsiemi che hanno nutrito le fonti dell'opera singola (i riferimenti intra-testuali ed extra-testuali inerenti all'Autore Primo). Scrivendo il suo apocrifo, egli avrà perciò tenuto conto del punto di vista storico, diacronico e sincronico, senza però mai perdere di vista le aspettative del destinatario attuale.

Chi è dunque il lettore ideale di un apocrifo? Costui si può suddividere in due precise categorie: quella del 'fondamentalista' e quella del lettore 'duttile'. La prima è occupata dal lettore fanatico del Canone che vuol ritrovare nell'apocrifo l'universo intatto di Sherlock Holmes, descritto in modo esatto, fedele e ridondante di tutti i luoghi comuni lasciati in eredità da Sir Arthur. Questo tipo di lettore è incontentabile perché non ammette alcuna innovazione né tollera alcuna variante, per quanto possa essere motivata e ben documentata. Un Autore Secondo che avrebbe in mente, mentre scrive il suo apocrifo, questo tipo di lettore sarebbe un masochista e allo stesso tempo dimostrerebbe di essere poco creativo in quanto si accontenterebbe semplicemente di 'plagiare' il Canone.

La mentalità del lettore 'duttile' è senz'altro più elastica e meno conservatrice; come il 'fondamentalista', anch'egli conosce il Canone a memoria ma proprio per questo vuol essere portato dall'Autore Secondo verso nuove frontiere i cui confini però sono stati originalmente tracciati dall'Autore Primo.

III

L'apocrifo mette in dubbio quel contesto culturale fondato sulla logica a due valori, quel classico 'aut-aut' che si basa su ciò che è dato empiricamente e su ciò che lo contraddice altrettanto categoricamente. Nel caso dell'apocrifo, infatti, non si tratta più di determinare ciò che è falso e ciò che è vero oppure di scegliere tra Conan Doyle e ciò che non è più 'Conan Dovle': la verità del suo discorso va rintracciata all'interno di un testo, di un altro testo, e così via, in un infinito gioco di specchi dove colui che si rispecchia non vi trova più riflessa la propria fisionomia familiare.

Ciò che rende 'reale' il falso è la messinscena letteraria percepita dal destinatario come facente parte del Canone stesso: da un lato è innegabile che l'Autore Secondo lo falsifichi (il Canone viene appunto costruito 'falsamente') mentre dall'altro non si può negare che il finto inedito ne costituisca una peculiare convalida.

Non importa che l'apocrifo sia un falso e che esso si sostituisca alla verità perché dà vita a delle istanze letterarie autonome che a loro volta generano fenomeni di scrittura percepiti come veri; anche se è possibile determinare la falsità di un apocrifo, esso agisce comunque come forza letteraria, indipendentemente dalla sua verità, anzi agisce proprio in forza della sua falsità. E' una infedeltà misurata o, se si vuole, una misura della fedeltà dell'Autore Secondo.

L'apocrifo, senza volerlo, mette in crisi quel concetto neo-idealista che privilegia il momento individuale e privato dell'atto di scrittura, attaccando alla sua radice l'idea stessa di 'invenzione d'autore'. Il produttore di apocrifi si appropria indebitamente di un materiale ritenuto sacro ed intoccabile e lo tramuta in un patrimonio comune ed interscambiabile.

L'Autore Secondo abbatte le false pretese dello Scrittore Onnisciente, ruba fuoco agli dèi ed organizza un simposio ove si consumano, tra una presunta citazione spuria e l'altra, i brandelli del Suo 'corpus' vivisezionato. Se la deificazione dell'Autore Primo rende quest'ultimo intoccabile ed immortale, l'Autore Secondo invece lo umanizza, lo rende mortale e quindi capace di ulteriori rinascite.

Quel birbone dell'Autore Secondo fa la barba al venerabile Autore Primo ed è perciò un 'trickster' letterario imparentato con tutti i bricconi divini della mitologia universale. Il nume protettore degli scrittori di apocrifi, infatti, dovrebbe essere Hermes, il dio alato che incarna il desiderio di esplorare spazi aperti e di innestare nuovi scambi culturali; il folletto mercuriale si contrappone a Hestia, la dea dello spazio chiuso e circolare che raffigura la sicurezza data dal già noto e la stabilità fissata da recinti e palizzate.

L'autore di un apocrifo può rifarsi sia a Hermes che a Hestia, a secondo del grado d'avventura che motiva le sue scelte; può, cioè, scegliere se il suo scritto avrà uno stampo tradizionale oppure se assumerà una forma sperimentale.

L'apocrifo tradizionale è ossequioso nel suo approccio al Canone e lo tratta con una specie di timorata reverenza. In questo tipo di lavoro l'Autore segue pedissequamente le tracce lasciate da Conan Doyle e si muove con una riservatezza fin troppo opprimente. E' un genere di apocrifo che può offrire grandi soddisfazioni al produttore (e in particolar modo al lettore 'fondamentalista') ma è anche quello meno innovativo e più statico. La presente raccolta di racconti di Adrian Conan Doyle (figlio minore di Sir Arthur) e di John Dickson Carr appartiene indubbiamente a questa categoria, connotata com'è dalla pura imitazione di materiale riesumato. Gli autori hanno tutte le carte in regola per affrontare quest'impresa: hanno entrambi scritto (questa volta separatamente) una biografia di Sir Arthur Conan Doyle e Dickson Carr, inoltre, è un ottimo scrittore di gialli classici all'inglese dove l'influenza del padre di Adrian è percettibile in ogni riga.

Si tratta di una raccolta indubbiamente efficace e stimolante (il racconto "I giocatori di cera" è, a dir poco, geniale e non ha nulla da invidiare al Canone); l'intervento di Dickson Carr (esperto del motivo della 'camera chiusa' di cui ci offre un'interessante variante nel racconto omonimo) si fa notare soprattutto nella ricreazione di quell'atmosfera macabra, neo-gotica e al limite estremo del soprannaturale tanto cara a Sir Arthur. I due autori, pur dando prova del loro virtuosismo mimetico, non smontano però quella 'macchina pensante' che è Sherlock Holmes ma si limitano a scorticarne la vernice superficiale, senza provocare nel lettore nessun allarme, giocosità o riflessione.

L'autore di un apocrifo sperimentale è invece colui che gioca con le strutture del Canone, equilibrandosi come un funambolo nell'interazione dei vari livelli tematici-simbolici-ideologici-formali che producono il senso della saga, da lui considerata un piacevole oggetto di studio. Non manipola il Canone ma ne circoscrive i limiti... sfrangendo dai suoi confini. E' il caso de La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer, romanzo-apocrifo pubblicato in Inghilterra nel 1975, dove l'incontro immaginario tra Holmes e Freud getta una nuova luce su tutta la saga giacché chiarisce il rapporto di amore-odio che lega Holmes al dottor Moriarty (cfr. il racconto "Il problema finale", 1893) e dimostra inoltre come alcuni eventi capitati al detective nell'infanzia abbiano poi condizionato la sua successiva vita da adulto.

Un altro apocrifo sperimentale riuscito mi sembra essere anche Lo studio in nero di Ellery Queen (1967) dove Holmes svela l'identità di 'Jack lo Squartatore' e dove gli avvenimenti che si succedono nella New York degli anni '60 aiutano a far luce su altri rimasti irrisolti nella Londra tardo-vittoriana.

L'apocrifo sperimentale è anche quel genere di scrittura che aggiorna costantemente la figura di Holmes, istituendo dei nuovi paradigmi che stanno lì non tanto per dimostrare l'immutata attualità del Canone ma quanto esso sia attualmente mutevole, ambientando nuovi racconti in contesti inediti la cui logica interna rende verosimili tali trasposizioni apparentemente assurde.

L'apocrifo sperimentale, un misto di sacro e di profano, costituisce un campo ancora più minato di quello dell'apocrifo ossequioso e tradizionale perché se risulta troppo avventizio corre il rischio di tramutarsi in una parodia involontaria del Canone Il romanzo Tbe Case of the Philosopber's Ring di Randall Collins (1980) cade in questa trappola: descrive come Holmes, sollecitato da Bertrand Russell, s'impieghi a sventare un complotto indirizzato contro Ludwig Wittgenstein, ordito niente di meno che dal sulfureo Alister Crowley! Nelle 152 pagine del romanzo Holmes ha occasione pure d'incontrare Virginia Woolf, Maynard Keynes, Lvtton Strachey ed innumerevoli altre comparse che ruotano intorno al Bloomsbury Set!

Quando riesce, l'apocrifo sperimentale si rivela essere invece un testo assai fertile e dinamico; offre maggiori soddisfazioni al lettore 'duttile' e anche all'Autore Secondo che in questo caso può veramente vantarsi di aver continuato l'opera di Conan Doyle.

IV

Il successo ottenuto dal romanzo La soluzione sette per cento ha lasciato un'impronta talmente profonda da aver influito sullo sviluppo stesso degli apocrifi che l'hanno seguito. Nicholas Meyer, involontariamente, non ha fatto altro che dare l'impulso a tutti coloro che, per motivi per niente disinteressati, hanno scelto di mettere il genio di Holmes al confronto di qualche altro personaggio famoso (in Francia, per esempio, è recentemente uscito un romanzo intitolato Marx et Sberlock Holmes (1981) dove il detective viene appunto consultato dal padre del materialismo storico). Qui, come altrove, si dà per scontato che Holmes sia stato un figlio illustre della sua epoca e perciò degno di scontrarsi solo con personaggi della sua portata; tutto ciò rende onore al detective ma non rispecchia fedelmente lo spirito del Canone perché il fascino che circonda la figura di Holmes non deriva tanto dalla potenza evocativa del nome proprio utilizzato in una sorta di blando rituale metonimico, quanto dall'atmosfera bizzarra ed esoterica che il detective amava demistificare.

E' vero che nel Canone Holmes combatte con impegno il geniale Moriarty, soprannominato 'il Napoleone del crimine', ma il motivo dell'alter-ego malefico (splendidamente usato da Nicholas Meyer) è soltanto uno dei tanti che costellano la saga intera; in altre parole gli apocrifi odierni si accontentano di farsi passare come dei semplici resoconti di tante 'cacce alla celebrità' mentre Conan Doyle non disdegnava affatto il criminale comune se il suo metodo folle di agire dava a Holmes degli spunti di normale prassi amletica.

Tutti questi apocrifi, inoltre, hanno in comune il fatto di esser scritti in forma di romanzo e non di racconto mentre Conan Doyle preferiva dare al Canone quest'ultima forma (anche i quattro 'romanzi' con Holmes protagonista - Uno studio in rosso (1887); Il segno dei quattro (1890); Il mastino dei Baskerville (1902) e La valle della paura (1915) - non sono altro che dei 'lunghi' racconti brevi che il loro autore stesso ha consegnato alle stampe sotto il titolo collettivo di Tbe Sberlock Holmes Long Stories). Lo scrivere un apocrifo in forma di romanzo è un'impresa senz'altro meno ardua in quanto richiede minor fantasia e molta capacità nell'imbottire fino all'inverosimile ogni elemento narrativo impiegato.

Un'antologia di racconti, per quanto tradizionale, come quella scritta da Adrian Conan Doyle e da John Carr richiede, come minimo, una serie continua di situazioni nuove e sempre brillanti, tanto sorprendenti quanto argute, mentre gli apocrifi odierni descrivono soltanto un paio di colpi di scena lasciando il resto della narrativa la un livello passivo e stantio. Ciascun racconto di Adrian Conan Doyle e di John Dickson Carr al confronto, costituisce lo scheletro di uno di questi romanzi futuri; la maggior parte degli apocrifi odierni non sono altro che dei racconti brevi falliti e gonfiati oltre misura che dicono in circa 200 pagine ciò che bastava dire nell'arco di 20.

L'esempio determinante di Nicholas Meyer, purtroppo, va per ora messo da parte perché rappresenta un esempio negativo che ha portato l'apocrifo ad un'impasse dal quale sembra non voler uscire; la tendenza attuale infatti rimane quella di descrivere una 'sfida tra geni' in tomi che si fanno sempre più pesanti (c'è da scommettere che presto scopriremo ciò che è 'veramente' successo tra Holmes, Lou Salomé, Nietzsche, Wagner e Cosima!)

Ristampare la presente raccolta di racconti rappresenta perciò un passo avanti verso lo sbloccamento di questa situazione. Gli apocrifi, in futuro, dovranno tener conto del racconto breve e l'Autore Secondo non dovrà più misurare il proprio intelletto contro quello di qualche eminente vittoriano ma semplicemente contro quello di Conan Doyle, dal cui Canone ci si sta allontanando sempre di più.