L'avventura della scatola nera
Sul finire dell'estate del 1893, ancora
profondamente addolorato per la recente morte della mia cara Mary, la cui perdita aveva
riacutizzato la ferita apertasi alla scomparsa del mio insostituibile amico Sherlock
Holmes, dovetti fronteggiare una delle più terribili prove della mia pur movimentata e
avventurosa vita. I mie nervi scossi e il mio corpo reso assai fragile dagli eventi di
quel triste periodo dovettero sopportare emozioni così forti che temetti per la mia
salute e per la mia stessa vita. Il caso della scatola nera, che mi trovai ad affrontare
in perfetta solitudine, e le strane apparizioni che mi turbarono durante le indagini
furono sul punto di travolgermi. In più di una circostanza fui sul punto di abbandonare
il caso e il pacifico studio di Kensington per fuggire in qualche luogo solitario; ma il
profondo rispetto che ho sempre nutrito per Mycroft Holmes e il cordiale legame umano che
la morte del suo geniale fratello in questi anni ha fatto accrescere mi hanno trattenuto
dal farlo.
Accadde tutto senza il minimo preavviso. Una calda e limpida mattina di fine agosto un
ragazzino con il viso sporco e i capelli arruffati si introdusse nel mio studio di
Kensington mentre ero intento a smaltire la scarsa corrispondenza di quei giorni. La
domestica mi guardò come volesse scusarsi per non aver saputo trattenere in anticamera
quello strano visitatore. - Cosa c'è? -, chiesi in tono burbero.
La domestica abbassò gli occhi, mentre il ragazzino, fatto un passo in avanti e rimanendo
in assoluto silenzio, tese in avanti la mano destra, nella quale tratteneva una busta
gualcita su cui campeggiava, a chiare lettere, il mio nome e il mio indirizzo. Presi la
busta con un gesto quasi rabbioso e, lasciati scivolare due scellini di mancia nella mano
del ragazzino, richiusi la porta dello studio e sedetti nella comoda poltrona al lato del
mio tavolo da lavoro.
Osservai la busta attentamente: era di carta elegante e assai costosa. Chi l'aveva scritta
doveva essere una persona facoltosa e, a giudicare dalla grafia, anche pignola. La
spiegazzatura, dunque, doveva essere opera di quel fanciullo malmesso che era stato
incaricato di fare da postino. A parte questo, non rintracciai nessun altro indizio che
potesse dirmi chi fosse il mittente di quel misterioso messaggio. Ero agitato e sudavo
abbondantemente, ma per fortuna ero ancora capace di ragionare. La cosa più logica,
pensai, era di aprire la busta e verificarne il contenuto. Le poche righe che occupavano
il foglio, di carta altrettanto elegante e costosa, erano state vergate in fretta e
trasudavano ansia, il che, nonostante avessi chiaramente riconosciuto la firma
tratteggiata in calce, finì per inquietarmi assai più dell'anonimato della busta:
VENGA AL D.C. IL PRIMA POSSIBILE.
È QUESTIONE DELICATISSIMA.
EVITI DI FARSI PEDINARE.
M.H.
Rimasi esterrefatto. Perché Mycroft Holmes, che in più di un'occasione
aveva dimostrato di non essere meno geniale del fratello, chiedeva il mio aiuto? Perché
tanta segretezza? Perché confidare in me per un incarico che si annunciava tanto
delicato?
La mia frequentazione con Sherlock Holmes, le avventure che avevamo affrontato insieme, i
casi che gli avevo visto risolvere con apparente semplicità e sufficienza, l'esposizione
del filo logico che egli aveva seguito per svelare quei misteri mi avevano portato ad
interessarmi di criminologia e anche ad affrontare, per la verità con scarso successo,
alcune indagini, ma questa chiamata mi appariva davvero al di là delle mie forze. Mycroft
Holmes non chiedeva certo aiuto per una bazzecola qualsiasi.
Rimuginai a lungo sul da farsi, e alla fine decisi che avrei rinunciato all'incarico.
Sarei comunque andato al Diogenes Club per parlare di persona con Mycroft, perché la
stima e il rispetto che nutrivo per lui mi impedivano di affidare il mio diniego ad una
fredda lettera. Mi abbottonai la giacca, misi il cappello e, preso il bastone da
passeggio, uscii in strada.
Fermai la prima carrozza, mi accertai che nessuno fosse in vista e sedetti comodamente sul
sedile dei passeggeri. Quando giunsi all'ingresso del Diogenes Club, il mio orologio da
taschino segnava le dieci in punto. Gli ampi e accoglienti saloni del Diogenes non avevano
cambiato aspetto in quegli anni, e anche i suoi soci continuavano ad osservare la rigorosa
regola del silenzio di un tempo. Mycroft Holmes si trovava in un salottino appartato,
sprofondato in una soffice poltrona di pelle. Aveva l'aria assorta, quasi preoccupata, ma
appena entrai il suo viso si aprì in un sorriso largo e sincero.
- Si accomodi, dottor Watson - disse senza preamboli indicandomi la poltrona che si
trovava proprio davanti a lui. - Mi perdonerà se l'ho convocata con tanta urgenza e in
così gran segreto, ma siamo di fronte ad un caso molto delicato le cui indagini e la cui
soluzione hanno bisogno di rimanere coperte dal massimo segreto. Anche un solo indizio che
diventasse pubblico provocherebbe uno scandalo tale da travolgere non solo il nostro
governo, ma la stessa monarchia.
- Veramente, non capisco molto bene la questione - dissi balbettando. - E poi, non capisco
il perché si rivolga a me per un caso tanto delicato.
- Le devo senz'altro delle spiegazioni, ma sappia che ho chiesto il suo aiuto perché lei
è l'unica persona che possa garantire al paese la discrezione e la lealtà di cui questo
caso necessita. Inoltre, caro Watson, lei è stato assai intimo del più grande
investigatore del mondo, ne ha respirato il suo metodo di ragionamento e i suoi
comportamenti e, dunque, nessuno meglio di lei può affrontare il mistero con il quale
siamo alle prese.
- Sono confuso... non credo...
- Su, Watson, si rilassi. Senza di lei non ne caveremo le gambe.
- Ecco..., ma esattamente di cosa si tratta? - chiesi solleticato nel mio amor proprio da
così tante adulazioni.
Il tono di Mycroft Holmes si fece ancora più serio e grave di quanto non lo fosse stato
fino a quel momento:
- Si tratta... della Regina in persona.
Non so dire l'espressione che mi si dipinse sul volto, ma credo d'essere sbiancato in modo
preoccupante, perché Mycroft Holmes ebbe un sussulto improvviso e accennando ad alzarsi
ordinò a gran voce un bicchiere d'acqua.
- No grazie, lasci perdere l'acqua - dissi dopo aver fatto un respiro profondo e aver
riacquistato un minimo di padronanza di me stesso; - vada pure avanti.
Mycroft Holmes andò a chiudere la porta del salottino, tornò a sedersi comodamente nella
poltrona e, accesa una sigaretta, ricominciò a parlare con il suo tono grave e senza
sbalzi:
- Siamo di fronte ad un caso incredibile. Ci troviamo alle prese con un ladro tanto
ingegnoso e sprezzante del pericolo da aver avuto il coraggio di compiere un furto nel
chiuso degli appartamenti reali.
- Ma cosa ha rubato? - chiesi con foga, preso dalla smania della curiosità.
- Si è volatilizzata una piccola e pregiatissima scatola di mogano nero, un vero
capolavoro dell'artigianato africano, dentro il cui scrigno, la cui chiave è custodita
dalla Regina in persona, Sua Altezza conserva una lettera riservatissima di cui nessuno,
fino a questa mattina, conosceva l'esistenza. Ora, è certo che ieri sera intorno alla
mezzanotte la lettera si trovava ancora al suo posto, ma è altrettanto vero che stamani
alle sette essa era scomparsa insieme alla scatola che la custodisce. È scattato subito
l'allarme e il primo ministro ha affidato a me il compito di ritrovare la scatola e il suo
prezioso contenuto. Come ben immagina, però, io non posso espormi. Se lo facessi
attirerei troppe attenzioni e la segretezza della missione sarebbe vanificata con
conseguenze tragiche per la nazione. Lei, invece, è insospettabile. Da tempo non è più
sotto la luce dei riflettori, si è ritirato a vita privata e, se non commetterà colpi di
testa, nessuno immaginerà che proprio lei sta indagando su questa delicatissima
questione.
Finito di parlare, Mycroft Holmes chiuse gli occhi e aspirò con lentezza calcolata il
fumo della sigaretta.
- Comprendo la gravità della situazione, ma non riesco a vedere come potrei rendermi
utile -, dissi dopo aver riflettuto invano sulla misteriosa vicenda.
- Watson, lei deve assumere il caso e risolverlo, non abbiamo altra alternativa -, disse
in tono imperioso Mycroft Holmes.
Accesi un sigaro Dunhill, un piacere che raramente mi concedevo, e riflettei a lungo. Non
giunsi però a nessuna conclusione, perché ero talmente colpito da quella insolita
richiesta, e sentivo così forte il peso della responsabilità, che la mia mente era come
obnubilata da una nebbia umida e impenetrabile. Mi sentivo talmente impotente che stavo
rimuginando il modo di rinunciare energicamente all'incarico, quando, come volesse
prevenirmi, Mycroft Holmes tornò a parlare:
- Nonostante le grandi difficoltà del caso, non vorrà negare un servigio così
importante e prestigioso a Sua Altezza Reale e alla nazione tutta. Se vuole ascoltarmi, le
fornirò alcuni elementi che spero potranno esserle di aiuto. Come le ho detto, la lettera
scomparsa si trova in un forziere che soltanto la Regina, a meno di forzarlo, può aprire.
Lo stesso forziere si trovava in una stanza il cui accesso è consentito, oltre a Sua
Maestà, alla sola dama di compagnia, Lady Cecily Carlyle. Quest'ultima ha dichiarato, su
richiesta di Sua Maestà stessa, di non essere entrata in quella stanza da almeno due
giorni...
- Quindi - lo interruppi, - dobbiamo dedurne che qualcun altro si sia segretamente
introdotto nella stanza, abbia arraffato il forziere e sia poi riuscito a fuggire
indisturbato. - Sì, deve essere andata così...
- A proposito - lo interruppi ancora -, perché la lettera scomparsa con il forziere è
così importante?
- Il contenuto della missiva mi è del tutto ignoto. Sono stato informato soltanto sul
fatto che si tratta di uno scritto strettamente personale datato 1859. Non sono davvero in
grado di dirle altro.
Ero sconsolato di tanta povertà di informazioni, ma mi sembrò che Mycroft Holmes fosse
sincero circa il contenuto della lettera. Mi alzai dalla poltrona con l'aria assorta e
distante e non ricordo di aver salutato il mio amico prima di uscire dalle silenziose e
intriganti sale del Diogenes.
Rientrato a Kensington, incaricai la domestica di annullare le visite dell'ambulatorio e
di non essere disturbato, se non per motivi della massima urgenza. Nel tragitto dal
Diogenes Club fino a casa avevo maturato l'idea che quell'intricato enigma richiedeva
concentrazione, tranquillità e solitudine. Era necessario restare appartati e non esporsi
se non in caso di estrema necessità. Del resto, era assolutamente fuori luogo e
antiproducente pensare di recarsi a Palazzo Reale o convocare a qualsivoglia indirizzo
Lady Cecily Carlyle per informarsi da lei dei possibili movimenti o delle possibili
stranezze che si fossero verificati negli appartamenti reali in quegli ultimi giorni. Ero
in un vicolo cieco e per quanto mi tormentassi e mi lambiccassi il cervello non riuscivo
ad individuare il filo logico della vicenda. Perché, con tante cose assai più preziose
da rubare a Palazzo reale, il ladro aveva scelto di portare via proprio il forziere con
quella vecchia e misteriosa lettera? Quale movente lo aveva spinto a quell'impresa?
Qualcuno aveva forse commissionato quel furto tanto incredibile? Non trovai risposta a
nessuna di queste domande. Non esisteva, o almeno mi pareva non esistesse, il punto debole
da cui avviare l'indagine. Sentii una nostalgia terribile di Sherlock Holmes, dei suoi
silenzi quasi ascetici durante i quali il suo cervello analizzava i fatti, li sezionava in
minuti particolari e ricomponeva le tessere del mosaico; mi mancavano, in quel momento le
sue fumate laboriose, i suoi improvvisi guizzi che gli accendevano gli occhi annunciando
il suo trionfo, la soluzione del mistero. E subito, fui travolto da un dolore acuto;
sapevo fin troppo bene che il mio amico era morto tragicamente per liberare l'umanità dal
flagello della più elevata mente criminale che mai il mondo avesse conosciuto e ora, ecco
i risultati: i criminali d'ogni sorta potevano scorrazzare impuniti per le vie di Londra e
arrivare addirittura a colpire il simbolo più alto dell'Impero. Prostrato e amaramente
deluso delle mie inette capacità investigative, mi abbattei sulla poltrona come in trance
e, di lì a poco, mi addormentai.
Fu allora che accadde la cosa più incredibile che mai mi sia capitato di affrontare. Fu
un evento talmente straordinario che al solo ricordo, ancora oggi, a cose ormai chiarite,
stento a mantenere un atteggiamento di distacco.
- Dottor Watson, lei mi delude - disse d'improvviso una voce gracchiante, quasi metallica.
- Che cosa succede? - borbottai a stento.
- Caro amico, questo non è davvero il momento di dormire, né, tantomeno, di fare
domande. Si procuri una copia del Times e legga attentamente la pagina della politica
estera -, disse ancora la voce metallica.
- Chi parla? chi siete?
- Fate ciò che vi ho detto e rimanete calmo.
La voce cessò di parlare d'un tratto e proprio in quel momento mi svegliai di
soprassalto, con il cuore che mi batteva all'impazzata, il respiro affannato e la fronte
madida di un sudore freddo che mi faceva tremare. Chi diavolo poteva aver parlato nel
deserto del mio studio? E, soprattutto, dove si nascondeva il padrone di quella voce
agghiacciante? Ispezionai lo studio in preda ad una eccitazione irragionevole, ma dovetti
arrendermi di fronte all'evidenza della mia perfetta solitudine. Dovevo aver sognato;
dovevo essermi lasciato suggestionare da quello stato di tensione nervosa che sembrava
volermi soffocare da quando Mycroft Holmes mi aveva affidato quello strano e misterioso
caso. Eppure, chi aveva parlato mi aveva suggerito di leggere il Times e questo, per
essere un sogno, era decisamente una stramberia bella e buona. Ero in uno stato
confusionale che mi faceva addirittura tremare le mani, ma sogno o chissà quale altra
diavoleria decisi che la cosa migliore fosse proprio quella di seguire le indicazioni
suggeritemi dalla voce che mi aveva parlato poche decine di minuti prima. Andai al tavolo
da lavoro, presi la copia del Times che la domestica aveva comperato di prima mattina e
l'aprii alla pagina della politica estera. Lessi attentamente ogni titolo e ogni articolo
finché, giunto ad un trafiletto di spalla che parlava della visita a corte di una
delegazione di dignitari sudanesi rimasti fedeli all'impero britannico nonostante il
governo del teocratico Mohammed Ahmed Mahdi, non scorsi il nome di Lady Cecily Carlyle.
Appresi così che la dama aveva guidato la delegazione sudanese nella visita degli
appartamenti reali e che l'incontro tra la Regina e quei barbari sempre sul punto di
allearsi con i rivoltosi di Mahdi si era risolto nel migliore dei modi. All'incontro era
infatti seguita una cena e una serata di gala che si era protratta fino a tarda notte.
Ecco la traccia che cercavo, mi dissi. Fingendo un incontro cordiale, qualcuno di quei
barbari doveva aver approfittato dell'ospitalità della Regina per compiere il crimine che
avrebbe fatto precipitare la crisi latente in cui si dibatteva il Sudan. Ma subito, il mio
entusiasmo si trasformò in cocente delusione. Ripensando al genio di Sherlock Holmes e
alla stessa intelligente sagacia di cui era dotato suo fratello Mycroft, il quale certo
non mi avrebbe scomodato per così poco, mi sovvennero le parole con le quali, tante
volte, il mio grande amico aveva spento la mia smaniosa eccitazione ogniqualvolta avevo
creduto, nel corso di un'indagine, di averne individuato la soluzione: "Troppo ovvio,
mio caro Watson, è tutto troppo ovvio per essere vero".
Di nuovo, fui vinto da un violento stato di prostrazione. Mi abbandonai pesantemente sulla
poltrona e chiusi gli occhi nel tentativo di concentrarmi e di dipanare l'inestricabile
matassa con la quale ero alle prese. Ma fu un'applicazione vana.
- Legga ancora; legga attentamente - tornò a dire la voce gracchiante.
Ebbi un sussulto che sembrò squarciarmi il petto. Questo volta non dormivo, ed ero anche
certo che quella voce non era frutto della mia immaginazione, per altro mai molto fervida.
Tornai a perlustrare ogni angolo dello studio, ma nulla indicò una qualsivoglia presenza
umana oltre la mia. Ero angosciato, tremavo come una foglia, e il sudore cominciava a
scorrermi in rivoli gelati lungo la schiena. Dovetti sorreggermi al tavolo per non cadere
e, appena raggiuntala, abbandonai il mio corpo stremato al caldo abbraccio della poltrona.
Le tempie mi martellavano al ritmo ossessivo di quella voce gracchiante che continuavo a
sentir ronzare nelle orecchie. Chiusi gli occhi, accesi un sigaro e cercai di non pensare
a niente.
Lentamente, il respiro tornò regolare e sentii crescere le forze fino a rendermi di nuovo
padrone dei miei gesti e dei miei pensieri. Tornai allora a rileggere il Times, ma nessuno
degli articoli di politica estera colpirono la mia immaginazione né mi suggerirono una
traccia da seguire. Solo l'inserzione del Circo Russo che era appena arrivato in città e
che si era accampato nei pressi di Regent's Park attirò, a più riprese, la mia
attenzione. Il circo è uno spettacolo piacevole e affascinante, e il suo richiamo è, per
me, irresistibile. In quel momento, però, non avevo tempo da perdere in simili bazzecole.
Del resto, non vedevo come avrebbe potuto essermi di alcun aiuto in quel micidiale e
strampalato caso che mi stava rovinando la salute. Così, tre ore più tardi, dopo molte
sigarette fumate, la mia indagine non era progredita di un passo, ed era talmente grande
la delusione che provai che mi sentii come una mosca rimasta intrappolata nella tela
vischiosa di un ragno.
Quella sera, dopo aver rifiutato la cena che la domestica mi aveva preparato con mille
attenzioni, forse per la disperazione di trovarmi in tale stato di impotenza, o forse per
l'attrattiva, latente ma inaggirabile, dello spettacolo circense, uscii di casa e,
chiamata una carrozza, raggiunsi il piccolo villaggio di giocolieri e domatori che animava
rumorosamente le vicinanze di Regent's Park. Lo spettacolo era già cominciato, ma
stranamente non ebbi voglia di entrare ad assistervi. Oltrepassai il tendone e mi
inoltrai, invece, nel bel mezzo dell'accampamento.
Il villaggio improvvisato, disposto a semicerchio alle spalle del tendone, era un
pullulare di fuochi e di costumi sfavillanti. Dalle gabbie delle tigri, a tratti, giungeva
il ruggito spettrale delle belve. In uno spiazzo tra due carrozzoni, un gruppo di
saltimbanchi stava provando la difficile costruzione di una torre umana, mentre poco
distante, davanti ad una carrozza più inghirlandata delle altre, tre nani si inchinavano
continuamente e urlavano:
- Viva la Regina, viva Sua Maestà, la sovrana del circo.
Era deprimente osservare le loro figure deformi e sgraziate atteggiarsi in simili
salamelecchi, ma lo facevano con così tanta convinzione e allegria da risultare, alla
fine, piacevole il guardarli. Poi, d'un tratto, si irrigidirono; la porta del carrozzone
si aprì e lasciò uscire una figura tozza, abbigliata di uno splendido vestito da far
invidia a quelli in uso a corte, che si muoveva con la grazia di una vera regina. Ora i
nani si inchinarono ancora più platealmente, si disposero in parata davanti alla donna e,
dopo un suo cenno, si avviarono in corteo verso l'ingresso degli artisti che si trovava
sul retro del tendone. Il mondo della finzione, quello del teatro come quello del circo,
è un toccasana per il morale dei tristi e dei depressi, e quella piccola recita dietro le
quinte aveva finito col mettermi di buon umore. Così, per il bene della mia salute,
decisi di mettermi in attesa del loro ritorno.
Avevo appena lasciato il centro del vialetto per sedermi su un ciocco di quercia posto tra
due carrozze vicine a quella della Regina, quando un rumore concitato di passi, come di
qualcuno che volesse mettersi a correre da un momento all'altro, mi mise in allarme.
Nascosto dall'oscurità, vidi la figura di un uomo robusto, alto almeno sei piedi e del
peso di almeno ottanta chilogrammi, avanzare a passo veloce voltando la testa ora a destra
ora a sinistra come cercasse qualcosa. Finalmente, giunto al carrozzone della Regina, si
fermò e, data un'occhiata indagatrice intorno a sé, ne salì i tre scalini di legno,
depositò un pacchetto in un vaso di fiori, aprì la porta e penetrò all'interno della
casa viaggiante.
Attirato da quel singolare comportamento e da quella intromissione in casa d'altri, uscii
dal mio nascondiglio, sfiorai il calcio della pistola per farmi coraggio e mi avvicinai ad
una delle piccole finestre del carrozzone per osservare i movimenti di quello sconosciuto.
Stava rovistando ogni angolo della casa viaggiante, mettendo a soqquadro l'armadio, il
letto, le casse da viaggio e ogni altra cosa che ne completava l'arredamento.
Improvvisamente, da un piccolo baule dal quale aveva tirato fuori gettandoli sul pavimento
alcuni scialli ricamati e altre camicette di raso bianco, lo sconosciuto portò alla luce
una scatola nera, di legno lucido, impreziosita dal regale stemma di Sua Maestà la Regina
d'Inghilterra. Ero incredulo e felice al tempo stesso. Il caso, la fortuna, o magari un
sesto senso che non sapevo di possedere, mi avevano portato, dopo tante e atroci
tribolazioni, nel luogo giusto al momento giusto. Adesso, si trattava di intervenire per
impedire che la scatola si volatilizzasse di nuovo con tutte le complicazioni che avrebbe
comportato. Impugnai la pistola, feci un gran respiro ed entrai come una valanga
all'interno del piccolo appartamento viaggiante.
- Lasci pure la scatola e non si muova - urlai. - Non sarebbe la prima volta che sparo
contro un essere umano.
L'uomo non si voltò, né si lasciò sfuggire un suono. Depose con calma la scatola nera
su una sedia che si trovava sul suo fianco sinistro e alzò le mani in segno di resa, ma
quando stavo per avvicinarmi con l'intenzione di legargli le mani e i piedi con dei lacci
di stoffa che nel frattempo avevo raccolto dal pavimento ingombro di ogni genere di
vestiario femminile la sua figura imponente si girò di scatto e, quasi travolgendomi,
raggiunse la porta del carrozzone e si dileguò nel buio correndo come un toro inferocito.
Rialzatomi, stavo per lanciarmi al suo inseguimento, ma prima ancora di essere uscito da
quelle anguste quattro pareti mi fermai e voltai lo sguardo verso la sedia su cui lo
sconosciuto aveva appoggiato la scatola nera fonte di tutti i guai di quella afosa
giornata. Il piccolo forziere era al suo posto. Lo recuperai, deciso a filarmela verso il
Diogenes Club il più in fretta possibile, ma quando fui per scendere i gradini del
carrozzone gettai lo sguardo sul vaso di fiori che era stato oggetto delle attenzioni
dell'uomo che mi era sfuggito sotto il naso e scorsi, sotto le foglie dei gerani, un
borsello di pelle di daino che si rivelò essere pieno di monete d'oro. In quel momento
ebbi paura che qualcuno potesse accorgersi di me o che lo sconosciuto potesse tornare sui
suoi passi e senza più preoccuparmi di dover assicurare il delinquente alla giustizia
misi in tasca il borsello, strinsi forte nella mano destra il forziere della Regina e
raggiunsi in fretta il piazzale antistante l'ingresso del circo dove stazionavano una
mezza dozzina di carrozze in attesa della fine dello spettacolo. Salii sulla prima della
fila e detti l'indirizzo del Diogenes Club.
Di quel viaggio non ricordo assolutamente nulla, ma alle 10,15 di quella sera, dodici ore
dopo aver ricevuto l'incarico di recuperare la scatola nera della Regina, mi presentai,
euforico, nel salottino nel quale la mattina avevo incontrato Mycroft Holmes. Egli era
sempre seduto nella stessa poltrona di pelle e mi accolse con un saluto appena accennato e
lo sguardo tra il sorpreso e l'interrogativo.
- Ecco la scatola della Regina - dissi tutto d'un fiato. - Ed ecco anche i soldi che,
penso, dovevano servire per ricompensare il ladro o chi deve aver fatto da tramite fra il
ladro e il destinatario finale. Purtroppo i criminali...
- Un bel lavoro; davvero un bel lavoro, Watson - mi interruppe Mycroft Holmes con un
sorriso così incredulo e limpido che non avevo mai visto su quel volto sempre privo di
espressioni.
- I criminali sono fuggiti - ripresi, - ma forse avvertendo Scotland Yard...
- Adesso i criminali non ci interessano - disse bruscamente Mycroft Holmes.
Stavo per ribattere qualcosa, ma Mycroft Holmes non me ne diede il tempo.
- Ora, se volete scusarmi - disse, - dovrei riconsegnare il forziere alla sua legittima
proprietaria. Sappiate che avete reso un servigio impagabile alla Corona e alla nazione
intera. Al momento opportuno riceverete la giusta ricompensa per la vostra fedeltà e
lealtà, ma ricordate di mantenere la vicenda avvolta nel più assoluto segreto.
Buonanotte, dottor Watson, e grazie ancora di cuore.
Se un anno fa Sherlock Holmes non fosse ricomparso nelle circostanze che ben conosciamo, e
se non avessi avuto la pazienza di attendere ancora un anno prima di chiedere lumi, dubito
che sarei mai venuto a sapere il perché il caso della scatola nera fosse stato ammantato
di tanta segretezza negli ambienti del governo inglese. Finalmente, tre giorni fa, dopo
aver fatto luce sulla barbara fine del Capitano di lungo corso, il mio impareggiabile
amico, ancora di buon umore per il risultato di quell'indagine che aveva messo alla prova
molte delle sue insuperabili qualità di detective, accennò come per celia al caso della
scatola nera.
- Ho saputo che nel '93 ve la siete cavata altrettanto bene anche voi -, disse smettendo
di suonare il violino e sedendosi comodamente in poltrona.
- Veramente i malfattori l'hanno fatta franca -, mi schermii nascondendo a stento una
certa irritazione.
- A volte l'importante non è consegnare alla giustizia il criminale, ma evitare che il
crimine intrapreso giunga alle estreme conseguenze e voi, mio caro Watson, siete
perfettamente riuscito in questa impresa. La nazione ve ne sarà grata in eterno.
- Senza dubbio, sono stato molto fortunato, ma ancora non capisco il motivo per cui mi sia
meritato così tanta gratitudine, oltre il cospicuo assegno che Sua Maestà mi ha fatto
accreditare sul conto in banca -, dissi mostrando a Sherlock Holmes il biglietto di
ringraziamento che la Regina mi aveva fatto recapitare pochi giorni dopo il ritrovamento
del prezioso forziere.
Il mio amico lanciò un'occhiata distratta al cartoncino vergato con lettere d'oro, si
accese una sigaretta e, socchiusi gli occhi, sprofondò in una qualche misteriosa e
profonda riflessione.
- Non vi siete lasciato ingannare dalla visita dei dignitari sudanesi - disse
d'improvviso, - ma devo confessarvi che non siete stato molto brillante nella conduzione
dell'indagine.
Lo guardai con aria perplessa, ma non riuscii a dare voce a nessuna delle decine di
domande che mi ingombravano la testa.
- Se ben ricorda, Watson - riprese egli in tono rilassato e tranquillo, - le avevo
consigliato di leggere attentamente la pagina politica del Times...
- Ma... dunque, eravate voi? - riuscii appena a sussurrare.
Holmes annuì con un sorriso istrionico che gli fece lampeggiare gli occhi come avesse
appena definito la soluzione di un caso che lo aveva preso fino alla spossatezza. Io ero
in preda ad uno strano stato di irrequietezza, avvertivo un misto di gioia e di rabbia che
non mi consentiva di rimanere calmo come avrei voluto, di formulare le domande in modo
chiaro e sereno.
- Perché non vi siete fatto vedere?.. Dovete spiegarmi... io non capisco...
- D'accordo, ma ora calmatevi - disse Holmes preoccupato di vedermi così turbato. - Vi
spiegherò tutto per filo e per segno. Ero appena arrivato in Egitto dal lontano Tibet,
quando in una taverna del porto di Alessandria un informatore dei servizi di Sua Maestà
mi recapitò un messaggio di mio fratello Mycroft con il quale mi allertava intorno ad una
strana intensificazione delle attività degli agenti segreti di Francia e Prussia in
territorio africano. Fu proprio per seguire un agente prussiano, il cui governo era
intenzionato a rinfocolare le tensioni ai confini con la Rodesia, che raggiunsi la
Danimarca e, da lì, l'Inghilterra. Ma appena giunsi a Londra, dovetti ben presto
rinunciare all'inseguimento dell'agente prussiano, perché, per quanto ben travestito, e
per quanto considerassi ormai possibile il mio rientro in patria senza incorrere in alcun
tipo di pericolo, il colonnello Moran si era già messo sulle mie tracce. Riuscii ad
avvertire Mycroft della mia fuga, ma non potei fornirgli alcuna informazione sui possibili
pericoli che la presenza dell'agente prussiano poteva rappresentare per il paese. In
qualche modo, riuscii anche a liberarmi dei segugi assoldati da Moran e in attesa
dell'oscurità, che mi avrebbe consentito di riprendere la via del mare verso l'Africa,
non trovai miglior nascondiglio dell'armadio dei cappotti invernali nel vostro studio di
Kensington.
- Questo spiega la vostra presenza e il vostro parlarmi mentre dormivo - dissi con aria di
soddisfazione, anche se provai una certa vergogna per aver dimenticato di perlustrare
proprio gli armadi delle giacche e dei cappotti. E per celare l'imbarazzo chiesi: - Ma
come sapevate di cosa mi stessi occupando in quel momento?
- Quando rientraste dal Diogenes Club e vi chiudeste nello studio - riprese a raccontare
Holmes con il suo tono suadente, - non faceste altro che farfugliare ad alta voce della
scatola nera e della necessità di ritrovarla per il bene della Regina. Mi bastò
riflettere con attenzione sui fatti e sulle parole da voi pronunciate e su quello che ero
riuscito a leggere sul Times mentre eravate fuori casa per giungere alla possibile
soluzione del caso. Non potevo però scoprirmi, né potevo illustrarvi nel dettaglio tutti
i fatti in mia conoscenza; vi sareste agitato più di quanto non lo foste e il sapere a
cosa sareste andato incontro, inoltre, avrebbe potuto mettere inutilmente a repentaglio
l'incolumità della vostra persona. Così, aspettai che vi addormentaste e vi suggerii di
leggere il Times.
- Vi posso assicurare che il vostro parlare senza mostrarvi ai miei occhi ha comunque
rischiato di uccidermi -, dissi con tono di rimprovero.
- Posso ben immaginarlo - acconsentì il mio amico, - ma non avevo scelta. Comunque,
quando iniziaste a leggere il Times, temetti che la visita dei dignitari sudanesi, visti
anche i continui scontri tra il nostro esercito e i rivoltosi di Mohammed Ahmed Mahdi,
potesse trarvi in inganno, ma foste bravo a non cadere nella trappola. E altrettanto
bravo, anche se credo che questo sia accaduto a causa della vostra indole giocherellona,
foste a soffermarvi sulla pubblicità del Circo Russo. Ma proprio a questo punto - disse
sogghignando e rivolgendomi uno sguardo carico di ironia, - avete, mio caro Watson,
peccato di superficialità, rischiando di vanificare il recupero della scatola della
Regina.
- Veramente, io...
- Amico mio - mi interruppe Holmes in tono di rimprovero, - vi siete fermato
all'apparenza, ignorando di indagare l'esistenza di quei dettagli senza la scoperta dei
quali anche il caso più semplice rischia di rimanere senza soluzione.
Sherlock Holmes si fermò per accendere una sigaretta e non gli sfuggì il mio sguardo di
stupore.
- Capisco la vostra sorpresa - disse tornando ad usare il tono suadente di poco prima, -
ma se mi ascolterete con attenzione converrete sulla mia osservazione. La grande scritta
che annunciava gli spettacoli del Circo Russo attirò la vostra attenzione, ma voi,
pensando forse che una pubblicità non possa rivestire importanza in un'indagine di
polizia, passaste oltre ignorando di leggere la parte restante dell'annuncio che tra le
tante attrazioni dello spettacolo includeva il numero della Regina del circo, il
travestimento meglio riuscito di Yuri Bodonov, il celebre trasformista ucraino che in
passato si è guadagnato la notorietà sulle cronache dei giornali di mezza Europa per
aver messo a segno straordinari furti di gioielli.
- Volete dire che lui...
- Sì, Watson: è lui il misterioso ladro che ha trafugato da Buckingham Palace la scatola
nera di Sua Maestà. Lo ha fatto su commissione dell'agente prussiano che stavo inseguendo
e che non ho potuto fermare per i motivi che vi ho esposto.
- Ma come ha fatto a compiere il colpo? -, chiesi con aria incredula.
- È accaduto proprio durante la visita dei dignitari sudanesi - disse Holmes aspirando
una lunga boccata di fumo dalla sigaretta. - Non tutti i "nobili" africani che
sono arrivati in Inghilterra per incontrare la Regina sono fedeli dell'impero. Alcuni di
loro, anzi, sostengono, anche se in gran segreto, le attività dei rivoltosi con grandi
quantità di denari. Yuri Bodonov non ha dovuto far altro che corrompere uno di loro con
la promessa che questo sarebbe servito ad indebolire l'impero britannico e prendere il suo
posto nella delegazione. Una volta dentro il palazzo, perfettamente travestito come solo
lui sa fare, il nostro criminale non deve avere avuto difficoltà a defilarsi e portare a
compimento il suo disegno.
- E l'agente prussiano?
- Lui - riprese a spiegare Holmes - entrò in scena la sera in cui voi, pur brancolando
nel buio, vi siete recato proprio nel luogo in cui avrebbe dovuto compiersi la fine del
disegno criminale così ben congegnato. Devo ammettere che avete avuto un bel coraggio ad
affrontarlo. L'agente Ludwig è di una prestanza fisica eccezionale e il modo con cui lo
affrontaste mi impressionò favorevolmente; non sono sicuro che sarei riuscito a fare
altrettanto con altrettanto sangue freddo.
- Holmes, volete dire che voi eravate lì e avete lasciato che agissi da solo? - esclamai
con rabbia sentendo tornare il tremito di paura di quella sera. - Sono addirittura
infuriato...
- Su, si calmi Watson - mi interruppe Holmes con la voce più languida di cui fu capace. -
Non dovete volermene per non essermi mostrato. Il caso che stavate affrontando era
talmente delicato che se fossi uscito allo scoperto anche solo per dirvi che ero lì
vicino a voi avremmo corso il rischio di mandare tutto per aria. Comunque - riprese ora
con un tono di voce più professionale, - non avevo altra scelta che seguirvi. Quando
usciste dal vostro studio per dirigervi al circo eravate così nervoso e angosciato da non
potervi lasciare agire in perfetta solitudine. Se per un qualche motivo, anche banale,
aveste fallito nell'impresa, mi sarei reso complice del peggiore disastro politico e
militare che avrebbe investito la nostra patria. Rimanendovi vicino, anche se in
incognito, avrei invece potuto intervenire in qualsiasi momento, qualora se ne fosse
presentata la necessità, scongiurando così quei pericoli di cui Mycroft vi aveva
parlato.
- Beh, ammetto che è stato un comportamento non così spregevole come avevo pensato in un
primo momento - dissi accendendo una sigaretta e abbassando lo sguardo. - Ma volete
spiegarmi quale era il compito dell'agente Ludwig?
Holmes sorrise soddisfatto e riprese a spiegare:
- Egli doveva lasciare a Bodonov i soldi pattuiti per il furto, recuperare la scatola
nella casa viaggiante dove lo avete sorpreso e portarla alla sua ambasciata, da dove, ne
sono sicuro, avrebbe in fretta raggiunto la Prussia. Se il piano fosse riuscito, le
tensioni e le scaramucce che l'esercito britannico e prussiano vivevano quasi
quotidianamente in Sudafrica si sarebbero ben presto trasformate in guerra aperta. A quel
punto, il contenuto della scatola nera sarebbe stato giocato dai prussiani come arma della
sicura vittoria. La rivelazione del segreto contenuto nella scatola avrebbe minato
dall'interno la credibilità di Sua Maestà e, di conseguenza, del governo inglese. Ciò
avrebbe provocato sconvolgimenti politici tali che la guerra con la Prussia sarebbe
senz'altro passata in secondo piano sia per le istituzioni imperiali, che per l'opinione
pubblica. Ma per fortuna, il vostro intervento è risultato provvidenziale.
Ero incredulo e al tempo stesso ammirato delle capacità logiche e di ragionamento di quel
segugio che tutto il mondo ci invidiava. Era stupefacente come, pur essendo braccato,
avesse in così poco tempo dipanato la matassa di quel dannato intrigo.
- Devo confessarvi che sono stupito della semplicità con cui avete risolto il caso -
dissi con una sincera enfasi mentre osservavo l'espressione di compiacimento che il mio
complimento stampava sul viso emaciato di Holmes. - Però, c'è ancora un punto che non mi
è chiaro e che voi, come vostro fratello Mycroft, continuate a non chiarire: cosa
conteneva la scatola nera della Regina?
- Questo, mio caro Watson, è un segreto - disse il detective sornionamente. - Si
accontenti di sapere che il forziere custodiva alcune lettere di carattere strettamente
personale.
- Lettere d'amore, signor Holmes? -, ebbi l'ardire di chiedere mentre il mio amico si
accendeva un'altra sigaretta.
- Certamente, lettere non consone da riceversi per una donna sposata che ha sempre fatto
professione di una ferrea rigidità morale.
- Allora...
- Niente supposizioni, la prego, Watson. Fra cent'anni, quando i vostri lettori potranno
conoscere il resoconto del caso della scatola nera, certi particolari che oggi potrebbero
suscitare uno scandalo dalle conseguenze irreparabili per la Corona e la nazione potranno
forse apparire, nel caso in futuro cada il segreto reale su questi documenti, come
questioni irrisorie trattate con un eccesso di puritanesimo di un'epoca troppo buia e
bigotta. Ma noi viviamo in quest'epoca, mio caro Watson, e inoltre - aggiunse tornando al
suo violino - non spetta a noi giudicare la vita privata dei nostri simili, foss'anche
quella della Regina.