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Un italiano a New York

di Enrico Solito

Già molti di voi lo sanno. Ma il mio innato e smisurato narcisismo mi impone a farlo sapere a tutti"a parte gli scherzi l'invito che ho ricevuto a novembre a partecipare, primo italiano, alla esclusiva cena dei Baker Street Irregulars a New York per la notte tra il 5 e il 6 gennaio è chiaramente un omaggio a tutta la nostra associazione, e non a me personalmente: è più che giusto dunque che io relazioni a tutti voi questo straordinario avvenimento.

Potete immaginarvi le mie reazioni a novembre. Forse potete immaginarvi la tensione che cresceva col passare del tempo, ma non so se poi potete immaginarvela fino in fondo, visto che il sottoscritto ha una fottuta paura degli aereoplani. Metteteci poi il maledetto Moriarty che ha fatto precipitare le condizioni del tempo fino a far chiudere gli aeroporti di New York il fine settimana prima della mia partenza e avrete il quadro completo.

Ho fatto un ottimo viaggio, contrariamente a quel che pensavo: l'eccesso di paura precedente mi ha anestetizzato durante il volo. New York era piena di neve e il primo impatto è stato con un traffico impazzito: oltre due ore per arrivare in città. Sono arrivato all'albergo, scelto dagli amici francesi, che si è rivelato una specie di stamberga ad Harem, zeppa di persone, diciamo, della cui moralità avevo qualche motivo per dubitare. Non sono di gusti difficili, ma stavo, vi assicuro, per mettermi a piangere. Era tardi, ero stanchissimo: il ritardo del taxi per arrivare in città rischiava di farmi saltare la "lecture" su Sherlock Holmes bibliofilo. Esco, tento di chiamare un taxi ma non ne passa uno. Mi arriva vicino un bestione alto due metri e mi chiede se voglio un taxi. Al mio timido sì mi invita a seguirlo in una stradina buia.

Amici, l'ho seguito: o la va o la spacca, mi son detto. Era una bravissima persona, un taxista appunto, che stava prendendo servizio. A quel punto ho capito che la sorte era girata e tutto sarebbe andato alla grande: e così è stato. Mezz'ora dopo assistevo alla lecture in un club privato vagamente vittoriano, nel centro di Manhattan e mi presentavo a Mike Whelan - presidente degli Irregulars, o come dicono loro, "Wiggins"( un omone alto due metri pure lui e una faccia da americano doc: una persona cordialissima ed aperta) - alla sua gentilissima moglie Rose Ann e ai vari Irregulars, tanti che mi girava la testa ricordarli. A un certo punto ho riconosciuto il nostro comune amico e socio onorario Hirayama e ci siamo presentati: non so dirvi che effetto strano stringere la mano a un giapponese conosciuto solo via internet, e farlo così lontano da casa mia e anche dalla sua!

Una cosa che mi ha colpito, e che credo dovremmo imitare, è che ad ogni convenuto veniva distribuito un grosso numero di gadget e pubblicazioni: ma solo una di queste era quella ufficiale dei BSI, tutti gli altri essendo dei regali, delle pubblicazioni in proprio, fatte dai soci come regalo di Natale per tutti gli altri, e con tanto di firma!

Il piatto forte del week end era venerdì sera, alla cena. C'era la cena dei soci e degli invitati-pochissimi- cui io partecipavo, e l'altra cena, quella di tutti gli sherlockiani esclusi. Gongolando, mi aggiravo nella biblioteca della Union Club, il club di Lincoln, con migliaia di volumi sugli stati dell'Unione e diorama di battaglie ed eserciti di tutto il mondo: e con amici di tutto il mondo mi salutavo e scambiavo due parole nel mio inglese approssimativo. Devo confessare: ero così estasiato, il mio sorriso a trentadue denti pressoché fisso, che non capivo un granchè di quel che mi dicevano. Si è creato un piccolo circolo franco-italo-giapponese finchè non siamo andati a cena.

La cena: eravamo a piccoli tavoli tondi, setto o otto per tavolo, sotto le bandiere a stelle e strisce e un enorme ritratto di Abraham Lincoln. Con me c'erano solo americani, tra gli altri Peter Blau: sono stati tutti cordialissimi. Tra una portata e l'altra letture, quasi tutte scherzose, e perfino pezzi cantati, dai vari membri. Thierry de St Johannis, l'amico francese che è stato con noi a Sesto, ha fatto recitare a tutti il cerimoniale dei Musgrave"inutile dire che ho mangiato benissimo, e ancor più inutile aggiungere che non me ne importava niente. Una enorme foto in bianco e nero scattata con la macchina al magnesio della fine 800 del Club testimonia del mio stato confusionale e della mia euforia.Alla fine la nomina dei nuovi membri, nel tripudio e le urla dei fino allora compostissimi signori e signore vestite in lungo. E al mio tavolo, a mezzanotte, ho fatto brindare tutti alla salute del nuovo Presidente dello USIH, Gianluca, che in quel momento assumeva la pienezza dei suoi poteri.

Finito? Macchè! Dopo io e i francesi - i miei ciceroni a New York- ci siamo trasferiti alla cena "non ufficiale" dove tutti fumavano, ballavano e facevano una confusione del diavolo, fino alle tre del mattino. La gente che ho conosciuto! La mattina successiva all'Algonquin Hotel, dove dimoravano la maggior parte dei congressisti, c'era un piccolo mercato di materiale holmesiano. Mi sono morso le mani per non aver portato qualcosa di nostro, e poi me le sono legate per impedirmi di rovinarmi: lo avete mai visto voi uno STUD originale? Ma c'era di tutto. I francesi avevano portato la bozza del libro di Cagnat e vi assicuro che hanno fatto furore: c'erano spille, libri, perfino statuine e stampe, calendari, deerstalker" Io mi sono ricordato di avere tre figli e un cane da sfamare e mi sono controllato, ma è stata dura.

Pomeriggio: coktail, in un altro club in stile vittoriano (credo che abbiano fatto il massimo in una città in cui una casa del 1940 ha una targa fuori che lo indica all'attenzione del pubblico") . Io pensavo a un crodino o giù di lì: hanno ricominciato tutti a bere montagne di superalcolici dalle 15 alle 21. Incredibilmente ce n'erano brilli non più di un paio. Anche qui grandi pacche sulle spalle, molta gentilezza, domande, curiosità. Molto, molto rispetto: mai che qualcuno abbia ironizzato sul fatto che non ero anglosassone. E infine"il gran finale: un party a casa di Marina, mi avevano detto. Pare sia una tradizione. E mi sono ritrovato fino alle 3 in un film di Woody Allen: un appartamento a Manhattan pieno di gente che beve whisky come se fosse acqua, che fuma un sigaro dopo un altro (soprattutto le donne) e che chiacchiera di tutto, ma proprio di tutto; in 60 in due stanze.

Che dirvi? Grande interesse per noi, per le nostre attività, per i nostri convegni. Ho dovuto promettere la nostra spilla ad almeno un paio di collezionisti, e regalarla seduta stante a "Wiggins" che la voleva assolutamente (il mio ultimo atto da presidente, alla cena, è stato nominarlo socio onorario per potergliela dare). Ritornando mi sono trovato pieno di libri, di biglietti da visita, di conoscenze, di impegni, cosciente che quello era stato il nostro battesimo ufficiale, come società, nel percorso internazionale che iniziò Francesco Leprai, durante la sua presidenza. Ripensavo a tutto questo, tornando a Firenze: 48 ore di viaggio, 72 a New York. Una follia. Che ricorderò con gioia tutta la vita.