Il Grande Iato: cinque ipotesi per cinque misteri
di Luca Martinelli
PREMESSA
C'è un cono d'ombra nella vita di Sherlock Holmes.
Dal maggio 1891 all'aprile del 1894 il segugio londinese scompare letteralmente
dalle scene. L'unica versione accreditata, quella del Canone, motiva questa
scomparsa con la presunta morte dell'investigatore. Ma sappiamo, dalle
stesse pagine scritte dal dottor Watson, che quella morte, per quanto
creduta veramente tale dallo stesso biografo e amico dell'investigatore
e dalla quasi totalità dell'opinione pubblica, fu soltanto una
finzione. Una finzione, questo almeno vorrei tentare di dimostrare, che
SH e il fratello Mycroft fecero di tutto per alimentare, affinché
apparisse come una accadimento reale e vero.
Ma cosa accadde davvero in quei tre lunghi e misteriosi anni?
Nel Canone (per la precisione in EMPT)
SH fornisce una serie di spiegazioni che il dottor Watson accetta per
buoni senza porsi domande o far trapelare alcun dubbio. In realtà
il resoconto di SH appare, o almeno appare ai miei occhi, non del tutto
convincente. Egli afferma solo tante mezze verità, e rispetto alla
sua presunta morte e rispetto al periodo trascorso nell'anonimato più
assoluto, quello tra FINA
e EMPT.
Il problema, dunque, è quello di capire cosa davvero sia successo
durante gli anni del Grande Iato; cercare di chiarire, per quanto possibile,
i molti punti oscuri che SH tiene gelosamente nascosti anche a Watson.
Non pretendo certo di riuscire in tanta impresa, ma voglio provare ad
avanzare - forse dovrei dire azzardare - un'esposizione, la più
organica possibile, di ciò che sia potuto davvero accadere.
CINQUE INTERROGATIVI
Dopo la caduta nelle cascate del Reichenbach tutti, Watson
in primis, lo credono morto.
Proprio tutti?
Il Canone ci rivela subito che almeno una persona conosceva la realtà
delle cose. E' lo stesso SH a spiegare la verità: "...nessuno al
mondo sapeva che cosa n'era stato della mia persona. Mi ero confidato
solo con una persona... mio fratello Mycroft" (EMPT).
E più avanti Holmes dice ancora: "Per quanto riguarda Mycroft,
ho dovuto renderlo partecipe del mio segreto al fine di farmi corrispondere
il denaro che mi necessitava".
Ma anche un'altra persona, sempre secondo quanto SH racconta a Watson
ancora in EMPT,
conosceva la verità: il colonnello Sebastian Moran, il luogotenente
di Moriarty che assiste dalle rocce sopra le cascate allo scontro mortale
tra i due acerrimi nemici.
Inoltre sappiamo, ancora per ammissione del detective e ancora una volta
in EMPT,
che SH viaggiava sotto il falso nome di Sigerson: "E' possibile che abbiate
letto delle inconsuete esplorazioni di un certo norvegese di nome Sigerson,
ma sono sicuro che non abbiate neppure lontanamente immaginato di star
ricevendo notizie dal vostro amico".
Infine, conosciamo anche le ragioni della fuga e del falso nome: sfuggire
alla vendetta degli uomini del professor Moriarty, l'acerrimo nemico battuto
e ucciso alle cascate del Reichebanch.
Tutto chiaro, dunque? Nemmeno per sogno. La spiegazione di SH accontenta
Watson e molti ignari lettori, è vero, ma per quanto convincente
sul piano della forma e della logica essa è, a ben vedere, insufficiente.
Sono troppi gli interrogativi che restano senza risposta:
Perché Holmes decide di fuggire dopo essersi sbarazzato del suo peggior nemico? Basta il timore della vendetta che gli hanno giurato il colonnello Moran e gli altri della banda a mettere in fuga un uomo della tempra di Holmes?
Perché Holmes assume il nome di Sigerson e proprio quello e non altri?
Perché il Nostro si premura di informarci di aver visitato Firenze e poi il Tibet, la Mecca, Khartoum e infine Montpellier dimenticando, se non negli ultimi due casi, di fornircene una qualche plausibile ragione?
Perché Holmes tiene all'oscuro di tutto, per tre lunghi anni, il povero e fidatissimo dottor Watson?
Perché Mycroft, che pure avrebbe potuto tacere i luoghi in cui il Nostro si trovava, non si è mai premurato di tranquillizzare Watson?
C'è una risposta, a mio modo di vedere, che soddisfa
l'intera lista di interrogativi: Scherlock Holmes ha congegnato una colossale
messa in scena per dare copertura ad una missione di spionaggio la cui
pericolosità ritroveremo pari soltanto nell'epilogo di un'altra
missione per conto dell'Intellinge Service, quella di LAST,
condotta sotto il falso nome di Altamont. Dico questo anche confortato
da alcune interessantissime riflessioni già avanzate da Giovanni
Cappellini nella relazione "SH uomo di pace" presentata durante il convegno
di Prato del 1996. E se Cappellini aveva tracciato uno scenario politico
(interno all'Inghilterra e fuori dei suoi confini) ben chiaro che abbraccia
il complesso arco di tempo che va dal 1880 alla vigilia della Prima guerra
mondiale, le tesi che seguiranno vogliono essere un approfondimento di
quelle intuizioni relative al solo periodo compreso tra l'aprile del 1891
e il febbraio del 1894.
La prima tesi, dicevo, da cui poi conseguono tutte le altre è che
SH, con la storia della sua presunta morte, abbia congegnato una colossale
messa in scena. Della messa in scena fa parte anche la finta morte del
detective. Non perché nel piano congegnato da SH e dal fratello
Mycroft in accordo con il governo di Sua Maestà la Regina Vittoria
fosse possibile prevedere l'esito dello scontro. In quella missione SH
avrebbe potuto soccombere realmente alle cascate del Reichembach, ma in
caso di buon esito della sfida far credere che egli fosse morto era l'unico
modo per scomparire davvero agli occhi del mondo e portare a buon fine
il compito che gli era stato affidato. Del resto, una morte, e per di
più così tragica, fa cadere presto nell'oblio ogni possibile
sospetto (che invece si ingenera di fronte ad una scomparsa inspiegabile)
e permette all'agente segreto SH, alias Sigerson, di muoversi senza destare
sospetti o attirare attenzioni non gradite.
Il mistero, mi rendo conto, non è ancora chiaro. Anzi, la tesi
che ho appena avanzato forse ingarbuglia ancora di più le cose.
Cercherò di chiarire tutte le questione procedendo per punti secondo
la scansione delle cinque domande che ho avanzato.
1. LA FUGA (O MEGLIO, LA MISSIONE SEGRETA DI SH)
Entro subito in tema, senza tentennamenti: SH non ha mai
deciso di fuggire. Ucciso Moriarty alle cascate del Reichembach, restano
ancora il colonnello Sebastian Moran e i suoi attendenti. Essi sono una
minaccia, è vero, ma la loro presenza e la loro smania di vendetta
non spiega la necessità di una fuga da parte di SH.
Moran è intelligente e pericoloso (questo lo dice SH in EMPT),
ma non raggiunge certo la genialità e la raffinatezza del suo capo
Moriarty. E allora, se il Nostro era stato capace di intrappolare e rendere
innocuo il genio del suo acerrimo nemico aveva poi motivo di darsela a
gambe di fronte ai suoi meno dotati luogotenenti? La risposta è:
no.
In realtà la fuga è solo la messinscena necessaria a dare
copertura alla missione della quale è stato incaricato dall'Intellinge
Service. Quando SH e Watson partono per il Continente il piano - concordato
con il fratello Microft, tanto vicino alle stanze dei bottoni da poterlo
definire "il Governo britannico" - è già prestabilito in
ogni dettaglio. Del resto, in EMPT
il detective racconta a Watson di aver informato il fratello di quanto
sarebbe accaduto dopo il Reaichembach citando la necessità di vedersi
corrisposto il denaro necessario per vivere all'estero.
Ecco, è questo il primo caso in cui SH racconta una mezza verità;
svela una piccola parte del segreto che si è impegnato a custodire
con il governo, ma ne conserva l'impenetrabilità della grandissima
parte, quella che svelerebbe al mondo le vere ragioni del suo lungo viaggio.
Ma anche aprendo questo piccolo spiraglio di luce, egli ammette - anche
se indirettamente - che esisteva un piano prestabilito una volta fosse
riuscito a sbarazzarsi di Moriarty.
L'unica incognita, come già accennato, è rappresentata proprio
dall'esito dello scontro diretto tra il Nostro e il suo nemico. Ma superato
quello, SH sa già quali mosse dovrà compiere e come compierle.
Qual era la missione? Questo è, almeno per una parte, chiaro e
lineare. Distruggere Moriarty e la sua organizzazione. Per impedire nuovi
crimini, certo; ma soprattutto perché, come già ipotizzato
da Enrico Solito, Moriarty aveva interconnessioni strettissime con il
servizio segreto prussiano, il che ci rimanda subito a missioni diplomatiche
e a compiti di spionaggio che possono chiarirci la missione di SH.. E'
ancora il Nostro, sempre in EMPT,
ha fornire un'altra mezza verità: "...
feci una visita breve, ma estremamente
interessante, al Califfo di Khartoum, il risultato della quale comunicai
al Ministero degli Esteri".
Dunque, al di là delle imprese di Sigerson riportate sui giornali,
SH ammette di aver eseguito un compito diplomatico in Sudan e di averne
riferito al governo. Se davvero fosse stato in fuga, come egli vuole far
credere al dottor Watson, sarebbe stato in grado di adempiere ad una missione
diplomatica così delicata come dovette essere quella nella polveriera
Sudan di quegli anni?
Io penso proprio di no. E credo che SH, ammettendo di aver lavorato per
conto del governo in occasione della visita a in Sudan, stia in realtà
rivelando di aver vagato per mezzo mondo sulla base di un preciso mandato
e di altrettanto precisi obiettivi.
Del resto, lo scacchiere internazionale dell'epoca può essere paragonato,
se non ancora ad una polveriera vicina al fuoco vivo e quindi a rischio
di esplosione, quantomeno ad una pentola a pressione con la valvola al
limite della tenuta. E guarda caso, tutti i luoghi toccati da SH erano
punti nodali delle tensioni crescenti tra le varie potenze dell'epoca.
Ma di questo parleremo ampiamente poco oltre.
2. L'ESPLORATORE SIGERSON
SH adotta il nome di Sigerson, di professione esploratore
e nazionalità norvegese (EMPT),
quale copertura per condurre in porto la sua missione. La scelta non è
casuale. Quel nome, anche se non era stato in grado di dire niente al
povero dottor Watson, era invece rivelatore per Microft Holmes. Il "nick
name" Sigerson, quindi, era stato concordato dai fratelli Holmes per mantenersi
in contatto durante la lunga assenza di Sherlock dall'Inghilterra.
Ma perché proprio Sigerson e non altri?
Ci sono varie letture, delle quali due sono anche affascinanti sotto il
profilo etimologico. La prima: Seger (che in inglese potrebbe anche suonare
siger), in norvegese arcaico, oltre ad essere usato per l'attuale nome
proprio Sigurd, significa "vittoria". Facendo uscire quel nome sui giornali,
SH poteva quindi comunicare al fratello e al governo di Sua Maestà
che i vari compiti affidatigli erano andati in porto con successo. La
seconda: Sigerson poteva significare "figlio di Vittoria" (Siger = vittoria;
son = figlio); del resto SH era un suddito inglese e, si sa, la regina
- in Inghilterra come altrove - era considerata la Madre dei propri sudditi.
Sono spiegazioni affascinanti, ma secondo me non rispondenti al vero.
E allora, qual è la spiegazione? Qui ci soccorre l'albero genealogico
della famiglia Holmes redatto dal mitico W.S. Baring Gould. Il grande
studioso del Canone ci dice che il padre di Sherlock e Microft si chiamava
Siger e che le origini della famiglia Holmes erano scandinave. Questo
spiegherebbe tutto alla perfezione: Sigerson può essere quindi
letto come "il figlio di Siger" (parola in chiave il cui utilizzo risulta
ineccepibile nel rapporto tra i due fratelli Holmes) e la nazionalità
norvegese dell'esploratore rimanda ancora una volta alle radici della
famiglia. Perché è bene ricordare che all'epoca il Regno
di Scandinavia comprendeva sia la Svezia che la Norvegia.
Non solo, Sigerson può essere stato usato sia come firma dei messaggi
indirizzati a Microft che come firma dei messaggi di risposta a SH; cioè
voglio dire che lo stesso Microft può aver fatto pubblicare notizie
sui giornali di imprese dell'esploratore Sigerson per comunicare notizie
al fratello Sherlock. Questo spiega alla perfezione come SH abbia potuto
mantenere rapporti a tutto tondo con l'Inghilterra e il governo senza
ricorrere all'utilizzo di terzi contatti che, per quanto sicuri e fidati,
avrebbero potuto rivelare i veri movimenti del segugio londinese mettendo
a repentaglio il buon esito della sua missione e della sua stessa vita.
Certo, forse quel nome non garantiva tutte le precauzioni necessarie del
caso. Se Watson non poteva capire il nesso tra Sigerson e l'amico SH (nel
Canone l'investigatore cita al buon dottore il nome della madre ma mai
quello del padre), l'acerrimo nemico Moriarty poteva invece capire alla
perfezione, perché per stessa ammissione di SH egli era mente geniale,
anche se deviata sulla strada del crimine. Ma nella pianificazione della
missione, concordata probabilmente in un'appartata saletta del Diogenes
Club, Moriarty, per il bene dell'umanità, doveva uscire dalle scene
per sempre. E morto Moriarty, il nome di Sigerson sarebbe diventato un
paravento inattaccabile, perché gli uomini del malefico, dal colonnello
Sebastian Moran agli altri della banda, certamente ignoravano (come accadeva
a Watson con SH) la gran parte delle tessere del puzzle delle quali il
capo conosceva l'esistenza e si serviva per i suoi disegni criminali.
Ciò nonostante c'è un altro appunto che potrebbe essere
mosso: un esploratore norvegese le cui imprese finiscono sulle colonne
dei giornali poteva sollevare perplessità nelle alte sfere del
governo del regno di Scandinavia, che avrebbe potuto muovere proteste
formali per non aver mai finanziato alcuna missione di tale esploratore.
In realtà, ciò non poteva accadere. La corona di Scandinavia
era ricorsa, in gran segreto, ai servigi di SH in due occasioni (lo si
legge in NOBL
e FINA)
e, al solito, il segugio non aveva mai presentato alcuna parcella. SH,
anche lui in gran segreto, aveva dunque chiesto al re di Scandinavia
il favore di non porre problemi sulle gesta di un esploratore norvegese
che sicuramente sarebbero apparse sui giornali nei mesi successivi. Un
favore che il regnante scandinavo, ovviamente, non aveva potuto negare.
In questo contesto, i dubbi sollevati da Michele Lopez circa un Sigerson
ospite dell'Hotel Italia di Firenze già il 30 aprile 1891, quando
invece SH arrivò nella città di Lorenzo il Magnifico "a
week later" rispetto al 4 maggio (giorno dello scontro con Moriarty) non
sono riconducibili, a mio avviso, ad un caso di omonimia o alla presenza
di un vero Sigerson del quale, una volta conosciutolo, il Nostro ne avrebbe
sfruttato il nome. La parola in codice Sigerson e l'arrivo a Firenze (base
per molti inglesi in viaggio di piacere, d'affari, ma anche per diplomazia
e spionaggio) erano concordate con Mycroft prima dell'inizio della missione.
E il prologo di quella missione, lo sappiamo, rappresentava la fase più
delicata di ogni altra. Quando ci sarebbe stato lo scontro con Moriarty?
E quando SH avrebbe potuto raggiungere Firenze? Queste erano incognite
anche per i fratelli Holmes. Mycroft aveva quindi fatto prenotare una
stanza a Firenze, sicuramente ben pagata perché fosse tenuta occupata
- fino a nuovo ordine - anche in caso che l'arrivo dell'ospite atteso
si fosse protratto nel tempo.
3. IL VIAGGIO-MISSIONE DI SHERLOCK HOLMES
Veniamo alla missione segreta di SH. Lo scacchiere internazionale,
abbiamo detto, era un vero e proprio rompicapo. Telegraficamente, nel
1891 la situazione generale era questa:
PRUSSIA. Il Kaiser Guglielmo II di Prussica ha licenziato, da nemmeno
un anno, il cancelliere Bismark. L'atteggiamento prussiano sullo scenario
internazionale muta quindi completamente, per sposare la rincorsa agli
armamenti e al colonialismo già messo in atto da Francia e Gran
Bretagna. Non è un caso che già nel 1891 si registrano forti
tensioni tra esercito britannico e quello prussiano ai confini della Rodhesia.
E sempre in quegli anni cominciano a farsi pressanti i movimenti prussiani
in estremo Oriente, in Cina soprattutto, venendo a infastidire anche qui
gli interessi britannici. Nello stesso tempo la Prussia non rinnova il
trattato di "Contrassicurazione" con la Francia (alleata della Russia)
e, alla fine dell'anno, sigla invece la conferma del trattato della "Triplice
alleanza" con Austria e Italia.
ITALIA: La politica colonialista di Crispi accende alcuni forti tensioni
con la Francia. La Gran Bretagna osserva senza porre troppi ostacoli all'Italia.
Del resto, come ha fatto notare Carlo Oliva, con il trattato della "Triplice
alleanza" in scadenza la Gran Bretagna poteva sperare di convincere l'Italia
a mutare schieramento, così da controbilanciare gli accordi franco-russi
da una parte e togliere un alleato all'alleanza austro-prussiana. Non
solo, in Italia, dietro le quinte, cominciava già ad agitarsi lo
scandalo della Banca Romana, che aveva anche connessioni internazionali
e che sarebbe poi esploso pubblicamente nel 1893.
FRANCIA e RUSSIA: Nel 1891 i due paesi firmano il trattato della "Duplice
alleanza", finendo con l'inasprire le tensioni con la Gran Bretagna nello
scacchiere africano da una parte e in quello asiatico dall'altra, ma dovendo
anche guardarsi dall'affondare troppo i colpi per non aprire spazi di
manovra eccessivi alla sempre più minacciosa (per tutti) Prussia.
C'è dunque materiale a bizzeffe per una missione segreta. Cerchiamo,
seppure sommariamente, visto che è impossibile menzionare tutti
gli avvenimenti di quel tempo, di capire i nodi critici che SH doveva
analizzare per conto del governo di Sua Maestà.
4. SEGRETI DI SHERLOCK HOLMES
Chiarito che SH scomparve di sua volontà per condurre in porto la delicatissima missione segreta che ho cercato di tratteggiare, è abbastanza ovvio che egli abbia taciuto a Watson (pur con qualche mezza ammissione) di quanto realmente accadde tra il 1891 e il 1894. SH doveva mantenere fede alla parola data a fratello che agiva in nome del governo, ma soprattutto aveva il dovere morale di proteggere la vita dell'amico. Informare l'ignaro dottor Watson di un segreto tanto delicato poteva metterne a repentaglio la vita. Per questo, per tre lunghi anni egli non ha mai comunicato un messaggio al vecchio compagno di avventure. E anche una volta rientrato in patria e ripreso il proprio vero nome decide che è meglio non invischiare il dottore in quel complesso gioco di intrecci internazionali. Una serie di questioni, del resto, erano ancora aperte. Raccontarle all'amico, per quanto esso si fosse dimostrato sempre fidato, era un inutile pericolo che non valeva la pena di essere corso. Watson, probabilmente, non si sarebbe mai lasciato sfuggire una parola. E anche sotto tortura non avrebbe tradito il carissimo amico e coinquilino di Baker Street. Ma lasciandolo all'oscuro di tutto, e tolto di mezzo anche il colonnello Moran, la missione di SH era chiusa e il segreto non presentava crepe nelle quali poter entrare.
5. IL SILENZIO DI MYCROFT
In gran parte le ragioni per le quali Mycroft Holmes non rivela al dottor Watson il fatto che SH sia ancora vivo sono le stesse che inducono il Nostro a mentire al caro amico. Ma c'è anche una motivazione "umana". Watson, affranto dalla perdita di SH, si trova in una situazione di instabilità emotiva che non si presta, per nessun motivo, a un genere di sorpresa come sarebbe quello di apprendere che l'investigatore è ancora in vita. Le reazioni umane, in questi casi, sono molteplici e tutte difficili da prevedere. Nella gran parte dei casi, comunque, finiscono per innescare una reazione di gioia incontrollabile che di solito pregiudica ogni buona intenzione o ogni solenne promessa che ci si impegni ad assumere con chi debba rivelarci il vero stato delle cose. E se ciò è vero fin dall'inizio, durante il Grande Iato, e probabilmente nel 1893, ad aggravare le cose giunge l'improvvisa morte (questa sì, reale) della moglie di Watson, l'amata Mary Morstan. In questa situazione non è davvero il caso di correre rischi. Per non compromettere di una virgola la missione di SH, a Mycroft non rimane dunque che fingere che il fratello sia realmente morto alle cascate del Reichembach.
CONCLUSIONI
Il cono d'ombra del Grande Iato, probabilmente, non sarà mai chiarito fino in fondo. La mancanza di documenti diretti, in primo luogo le citazioni del Canone, impediscono di fare piena luce su quei tre lunghi anni nei quali il mondo dovette rinunciare al genio e alle imprese contro il crimine di SH. Il poco che si è potuto appurare, però, offre una chiave di lettura che in qualche modo rende verosimile quanto sia potuto realmente accadere. E fa giustizia di un'affermazione alla quale la mia ammirazione per il Nostro mi ha sempre impedito di dar credito: che SH, per quanto minacciato, avesse scelto la via della fuga anziché affrontare il nemico a viso aperto.