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Il Grande Iato: cinque ipotesi per cinque misteri

di Luca Martinelli

PREMESSA

C'è un cono d'ombra nella vita di Sherlock Holmes. Dal maggio 1891 all'aprile del 1894 il segugio londinese scompare letteralmente dalle scene. L'unica versione accreditata, quella del Canone, motiva questa scomparsa con la presunta morte dell'investigatore. Ma sappiamo, dalle stesse pagine scritte dal dottor Watson, che quella morte, per quanto creduta veramente tale dallo stesso biografo e amico dell'investigatore e dalla quasi totalità dell'opinione pubblica, fu soltanto una finzione. Una finzione, questo almeno vorrei tentare di dimostrare, che SH e il fratello Mycroft fecero di tutto per alimentare, affinché apparisse come una accadimento reale e vero.
Ma cosa accadde davvero in quei tre lunghi e misteriosi anni?
Nel Canone (per la precisione in EMPT) SH fornisce una serie di spiegazioni che il dottor Watson accetta per buoni senza porsi domande o far trapelare alcun dubbio. In realtà il resoconto di SH appare, o almeno appare ai miei occhi, non del tutto convincente. Egli afferma solo tante mezze verità, e rispetto alla sua presunta morte e rispetto al periodo trascorso nell'anonimato più assoluto, quello tra FINA e EMPT.
Il problema, dunque, è quello di capire cosa davvero sia successo durante gli anni del Grande Iato; cercare di chiarire, per quanto possibile, i molti punti oscuri che SH tiene gelosamente nascosti anche a Watson.
Non pretendo certo di riuscire in tanta impresa, ma voglio provare ad avanzare - forse dovrei dire azzardare - un'esposizione, la più organica possibile, di ciò che sia potuto davvero accadere.

CINQUE INTERROGATIVI

Dopo la caduta nelle cascate del Reichenbach tutti, Watson in primis, lo credono morto.
Proprio tutti?
Il Canone ci rivela subito che almeno una persona conosceva la realtà delle cose. E' lo stesso SH a spiegare la verità: "...nessuno al mondo sapeva che cosa n'era stato della mia persona. Mi ero confidato solo con una persona... mio fratello Mycroft" (EMPT). E più avanti Holmes dice ancora: "Per quanto riguarda Mycroft, ho dovuto renderlo partecipe del mio segreto al fine di farmi corrispondere il denaro che mi necessitava".
Ma anche un'altra persona, sempre secondo quanto SH racconta a Watson ancora in EMPT, conosceva la verità: il colonnello Sebastian Moran, il luogotenente di Moriarty che assiste dalle rocce sopra le cascate allo scontro mortale tra i due acerrimi nemici.
Inoltre sappiamo, ancora per ammissione del detective e ancora una volta in EMPT, che SH viaggiava sotto il falso nome di Sigerson: "E' possibile che abbiate letto delle inconsuete esplorazioni di un certo norvegese di nome Sigerson, ma sono sicuro che non abbiate neppure lontanamente immaginato di star ricevendo notizie dal vostro amico".
Infine, conosciamo anche le ragioni della fuga e del falso nome: sfuggire alla vendetta degli uomini del professor Moriarty, l'acerrimo nemico battuto e ucciso alle cascate del Reichebanch.
Tutto chiaro, dunque? Nemmeno per sogno. La spiegazione di SH accontenta Watson e molti ignari lettori, è vero, ma per quanto convincente sul piano della forma e della logica essa è, a ben vedere, insufficiente. Sono troppi gli interrogativi che restano senza risposta:

  1. Perché Holmes decide di fuggire dopo essersi sbarazzato del suo peggior nemico? Basta il timore della vendetta che gli hanno giurato il colonnello Moran e gli altri della banda a mettere in fuga un uomo della tempra di Holmes?

  2. Perché Holmes assume il nome di Sigerson e proprio quello e non altri?

  3. Perché il Nostro si premura di informarci di aver visitato Firenze e poi il Tibet, la Mecca, Khartoum e infine Montpellier dimenticando, se non negli ultimi due casi, di fornircene una qualche plausibile ragione?

  4. Perché Holmes tiene all'oscuro di tutto, per tre lunghi anni, il povero e fidatissimo dottor Watson?

  5. Perché Mycroft, che pure avrebbe potuto tacere i luoghi in cui il Nostro si trovava, non si è mai premurato di tranquillizzare Watson?

C'è una risposta, a mio modo di vedere, che soddisfa l'intera lista di interrogativi: Scherlock Holmes ha congegnato una colossale messa in scena per dare copertura ad una missione di spionaggio la cui pericolosità ritroveremo pari soltanto nell'epilogo di un'altra missione per conto dell'Intellinge Service, quella di LAST, condotta sotto il falso nome di Altamont. Dico questo anche confortato da alcune interessantissime riflessioni già avanzate da Giovanni Cappellini nella relazione "SH uomo di pace" presentata durante il convegno di Prato del 1996. E se Cappellini aveva tracciato uno scenario politico (interno all'Inghilterra e fuori dei suoi confini) ben chiaro che abbraccia il complesso arco di tempo che va dal 1880 alla vigilia della Prima guerra mondiale, le tesi che seguiranno vogliono essere un approfondimento di quelle intuizioni relative al solo periodo compreso tra l'aprile del 1891 e il febbraio del 1894.
La prima tesi, dicevo, da cui poi conseguono tutte le altre è che SH, con la storia della sua presunta morte, abbia congegnato una colossale messa in scena. Della messa in scena fa parte anche la finta morte del detective. Non perché nel piano congegnato da SH e dal fratello Mycroft in accordo con il governo di Sua Maestà la Regina Vittoria fosse possibile prevedere l'esito dello scontro. In quella missione SH avrebbe potuto soccombere realmente alle cascate del Reichembach, ma in caso di buon esito della sfida far credere che egli fosse morto era l'unico modo per scomparire davvero agli occhi del mondo e portare a buon fine il compito che gli era stato affidato. Del resto, una morte, e per di più così tragica, fa cadere presto nell'oblio ogni possibile sospetto (che invece si ingenera di fronte ad una scomparsa inspiegabile) e permette all'agente segreto SH, alias Sigerson, di muoversi senza destare sospetti o attirare attenzioni non gradite.
Il mistero, mi rendo conto, non è ancora chiaro. Anzi, la tesi che ho appena avanzato forse ingarbuglia ancora di più le cose. Cercherò di chiarire tutte le questione procedendo per punti secondo la scansione delle cinque domande che ho avanzato.

1. LA FUGA (O MEGLIO, LA MISSIONE SEGRETA DI SH)

Entro subito in tema, senza tentennamenti: SH non ha mai deciso di fuggire. Ucciso Moriarty alle cascate del Reichembach, restano ancora il colonnello Sebastian Moran e i suoi attendenti. Essi sono una minaccia, è vero, ma la loro presenza e la loro smania di vendetta non spiega la necessità di una fuga da parte di SH.
Moran è intelligente e pericoloso (questo lo dice SH in EMPT), ma non raggiunge certo la genialità e la raffinatezza del suo capo Moriarty. E allora, se il Nostro era stato capace di intrappolare e rendere innocuo il genio del suo acerrimo nemico aveva poi motivo di darsela a gambe di fronte ai suoi meno dotati luogotenenti? La risposta è: no.
In realtà la fuga è solo la messinscena necessaria a dare copertura alla missione della quale è stato incaricato dall'Intellinge Service. Quando SH e Watson partono per il Continente il piano - concordato con il fratello Microft, tanto vicino alle stanze dei bottoni da poterlo definire "il Governo britannico" - è già prestabilito in ogni dettaglio. Del resto, in EMPT il detective racconta a Watson di aver informato il fratello di quanto sarebbe accaduto dopo il Reaichembach citando la necessità di vedersi corrisposto il denaro necessario per vivere all'estero.
Ecco, è questo il primo caso in cui SH racconta una mezza verità; svela una piccola parte del segreto che si è impegnato a custodire con il governo, ma ne conserva l'impenetrabilità della grandissima parte, quella che svelerebbe al mondo le vere ragioni del suo lungo viaggio. Ma anche aprendo questo piccolo spiraglio di luce, egli ammette - anche se indirettamente - che esisteva un piano prestabilito una volta fosse riuscito a sbarazzarsi di Moriarty.
L'unica incognita, come già accennato, è rappresentata proprio dall'esito dello scontro diretto tra il Nostro e il suo nemico. Ma superato quello, SH sa già quali mosse dovrà compiere e come compierle.
Qual era la missione? Questo è, almeno per una parte, chiaro e lineare. Distruggere Moriarty e la sua organizzazione. Per impedire nuovi crimini, certo; ma soprattutto perché, come già ipotizzato da Enrico Solito, Moriarty aveva interconnessioni strettissime con il servizio segreto prussiano, il che ci rimanda subito a missioni diplomatiche e a compiti di spionaggio che possono chiarirci la missione di SH.. E' ancora il Nostro, sempre in EMPT, ha fornire un'altra mezza verità: "... feci una visita breve, ma estremamente interessante, al Califfo di Khartoum, il risultato della quale comunicai al Ministero degli Esteri".
Dunque, al di là delle imprese di Sigerson riportate sui giornali, SH ammette di aver eseguito un compito diplomatico in Sudan e di averne riferito al governo. Se davvero fosse stato in fuga, come egli vuole far credere al dottor Watson, sarebbe stato in grado di adempiere ad una missione diplomatica così delicata come dovette essere quella nella polveriera Sudan di quegli anni?
Io penso proprio di no. E credo che SH, ammettendo di aver lavorato per conto del governo in occasione della visita a in Sudan, stia in realtà rivelando di aver vagato per mezzo mondo sulla base di un preciso mandato e di altrettanto precisi obiettivi.
Del resto, lo scacchiere internazionale dell'epoca può essere paragonato, se non ancora ad una polveriera vicina al fuoco vivo e quindi a rischio di esplosione, quantomeno ad una pentola a pressione con la valvola al limite della tenuta. E guarda caso, tutti i luoghi toccati da SH erano punti nodali delle tensioni crescenti tra le varie potenze dell'epoca.
Ma di questo parleremo ampiamente poco oltre.

2. L'ESPLORATORE SIGERSON

SH adotta il nome di Sigerson, di professione esploratore e nazionalità norvegese (EMPT), quale copertura per condurre in porto la sua missione. La scelta non è casuale. Quel nome, anche se non era stato in grado di dire niente al povero dottor Watson, era invece rivelatore per Microft Holmes. Il "nick name" Sigerson, quindi, era stato concordato dai fratelli Holmes per mantenersi in contatto durante la lunga assenza di Sherlock dall'Inghilterra.
Ma perché proprio Sigerson e non altri?
Ci sono varie letture, delle quali due sono anche affascinanti sotto il profilo etimologico. La prima: Seger (che in inglese potrebbe anche suonare siger), in norvegese arcaico, oltre ad essere usato per l'attuale nome proprio Sigurd, significa "vittoria". Facendo uscire quel nome sui giornali, SH poteva quindi comunicare al fratello e al governo di Sua Maestà che i vari compiti affidatigli erano andati in porto con successo. La seconda: Sigerson poteva significare "figlio di Vittoria" (Siger = vittoria; son = figlio); del resto SH era un suddito inglese e, si sa, la regina - in Inghilterra come altrove - era considerata la Madre dei propri sudditi.
Sono spiegazioni affascinanti, ma secondo me non rispondenti al vero. E allora, qual è la spiegazione? Qui ci soccorre l'albero genealogico della famiglia Holmes redatto dal mitico W.S. Baring Gould. Il grande studioso del Canone ci dice che il padre di Sherlock e Microft si chiamava Siger e che le origini della famiglia Holmes erano scandinave. Questo spiegherebbe tutto alla perfezione: Sigerson può essere quindi letto come "il figlio di Siger" (parola in chiave il cui utilizzo risulta ineccepibile nel rapporto tra i due fratelli Holmes) e la nazionalità norvegese dell'esploratore rimanda ancora una volta alle radici della famiglia. Perché è bene ricordare che all'epoca il Regno di Scandinavia comprendeva sia la Svezia che la Norvegia.
Non solo, Sigerson può essere stato usato sia come firma dei messaggi indirizzati a Microft che come firma dei messaggi di risposta a SH; cioè voglio dire che lo stesso Microft può aver fatto pubblicare notizie sui giornali di imprese dell'esploratore Sigerson per comunicare notizie al fratello Sherlock. Questo spiega alla perfezione come SH abbia potuto mantenere rapporti a tutto tondo con l'Inghilterra e il governo senza ricorrere all'utilizzo di terzi contatti che, per quanto sicuri e fidati, avrebbero potuto rivelare i veri movimenti del segugio londinese mettendo a repentaglio il buon esito della sua missione e della sua stessa vita.
Certo, forse quel nome non garantiva tutte le precauzioni necessarie del caso. Se Watson non poteva capire il nesso tra Sigerson e l'amico SH (nel Canone l'investigatore cita al buon dottore il nome della madre ma mai quello del padre), l'acerrimo nemico Moriarty poteva invece capire alla perfezione, perché per stessa ammissione di SH egli era mente geniale, anche se deviata sulla strada del crimine. Ma nella pianificazione della missione, concordata probabilmente in un'appartata saletta del Diogenes Club, Moriarty, per il bene dell'umanità, doveva uscire dalle scene per sempre. E morto Moriarty, il nome di Sigerson sarebbe diventato un paravento inattaccabile, perché gli uomini del malefico, dal colonnello Sebastian Moran agli altri della banda, certamente ignoravano (come accadeva a Watson con SH) la gran parte delle tessere del puzzle delle quali il capo conosceva l'esistenza e si serviva per i suoi disegni criminali.
Ciò nonostante c'è un altro appunto che potrebbe essere mosso: un esploratore norvegese le cui imprese finiscono sulle colonne dei giornali poteva sollevare perplessità nelle alte sfere del governo del regno di Scandinavia, che avrebbe potuto muovere proteste formali per non aver mai finanziato alcuna missione di tale esploratore. In realtà, ciò non poteva accadere. La corona di Scandinavia era ricorsa, in gran segreto, ai servigi di SH in due occasioni (lo si legge in NOBL e FINA) e, al solito, il segugio non aveva mai presentato alcuna parcella. SH, anche lui in gran segreto,  aveva dunque chiesto al re di Scandinavia il favore di non porre problemi sulle gesta di un esploratore norvegese che sicuramente sarebbero apparse sui giornali nei mesi successivi. Un favore che il regnante scandinavo, ovviamente, non aveva potuto negare.
In questo contesto, i dubbi sollevati da Michele Lopez circa un Sigerson ospite dell'Hotel Italia di Firenze già il 30 aprile 1891, quando invece SH arrivò nella città di Lorenzo il Magnifico "a week later" rispetto al 4 maggio (giorno dello scontro con Moriarty) non sono riconducibili, a mio avviso, ad un caso di omonimia o alla presenza di un vero Sigerson del quale, una volta conosciutolo, il Nostro ne avrebbe sfruttato il nome. La parola in codice Sigerson e l'arrivo a Firenze (base per molti inglesi in viaggio di piacere, d'affari, ma anche per diplomazia e spionaggio) erano concordate con Mycroft prima dell'inizio della missione. E il prologo di quella missione, lo sappiamo, rappresentava la fase più delicata di ogni altra. Quando ci sarebbe stato lo scontro con Moriarty? E quando SH avrebbe potuto raggiungere Firenze? Queste erano incognite anche per i fratelli Holmes. Mycroft aveva quindi fatto prenotare una stanza a Firenze, sicuramente ben pagata perché fosse tenuta occupata - fino a nuovo ordine - anche in caso che l'arrivo dell'ospite atteso si fosse protratto nel tempo.

3. IL VIAGGIO-MISSIONE DI SHERLOCK HOLMES

Veniamo alla missione segreta di SH. Lo scacchiere internazionale, abbiamo detto, era un vero e proprio rompicapo. Telegraficamente, nel 1891 la situazione generale era questa:
PRUSSIA. Il Kaiser Guglielmo II di Prussica ha licenziato, da nemmeno un anno, il cancelliere Bismark. L'atteggiamento prussiano sullo scenario internazionale muta quindi completamente, per sposare la rincorsa agli armamenti e al colonialismo già messo in atto da Francia e Gran Bretagna. Non è un caso che già nel 1891 si registrano forti tensioni tra esercito britannico e quello prussiano ai confini della Rodhesia. E sempre in quegli anni cominciano a farsi pressanti i movimenti prussiani in estremo Oriente, in Cina soprattutto, venendo a infastidire anche qui gli interessi britannici. Nello stesso tempo la Prussia non rinnova il trattato di "Contrassicurazione" con la Francia (alleata della Russia) e, alla fine dell'anno, sigla invece la conferma del trattato della "Triplice alleanza" con Austria e Italia.
ITALIA: La politica colonialista di Crispi accende alcuni forti tensioni con la Francia. La Gran Bretagna osserva senza porre troppi ostacoli all'Italia. Del resto, come ha fatto notare Carlo Oliva, con il trattato della "Triplice alleanza" in scadenza la Gran Bretagna poteva sperare di convincere l'Italia a mutare schieramento, così da controbilanciare gli accordi franco-russi da una parte e togliere un alleato all'alleanza austro-prussiana. Non solo, in Italia, dietro le quinte, cominciava già ad agitarsi lo scandalo della Banca Romana, che aveva anche connessioni internazionali e che sarebbe poi esploso pubblicamente nel 1893.
FRANCIA e RUSSIA: Nel 1891 i due paesi firmano il trattato della "Duplice alleanza", finendo con l'inasprire le tensioni con la Gran Bretagna nello scacchiere africano da una parte e in quello asiatico dall'altra, ma dovendo anche guardarsi dall'affondare troppo i colpi per non aprire spazi di manovra eccessivi alla sempre più minacciosa (per tutti) Prussia.
C'è dunque materiale a bizzeffe per una missione segreta. Cerchiamo, seppure sommariamente, visto che è impossibile menzionare tutti gli avvenimenti di quel tempo, di capire i nodi critici che SH doveva analizzare per conto del governo di Sua Maestà.

  1. ITALIA: Come ha fatto notare Oliva l'Italia doveva decidere se rinnovare il trattato della Triplice intesa con Austria e Prussia. L'Inghilterra doveva tentare, per riequilibrare il sistema delle alleanze, di convincere il primo ministro Crispi a mutare schieramento. Per contropartita, la Corona inglese poteva offrirsi di tamponare, all'occorrenza, la falla nei conti della Banca Romana che già agitava, in gran segreto, il mondo politico italiano ma anche parte del mondo finanziario europeo. Se questi erano i compiti diplomatici di SH fare tappa a Firenze era fondamentale. Come ben spiega Solito, l'ex capitale del Regno sabaudo ospita all'epoca ancora molti influenti funzionari del potere politico e amministrativo, e molti ministri hanno una residenza nella città dell'Arno. E' insomma il luogo ideale per crearsi contatti e far arrivare i messaggi alle orecchie giuste. Improbabile, invece, il rischio che SH potesse essere tradito dalla presenza a Firenze di una nutrita comunità inglese. Intanto perché egli era il norvegese Sigerson. E anche quando avesse dovuto diventare inglese per necessità (e sappiamo anche che poteva celare la sua vera identità ricorrendo all'arte del travestimento che tanto bene aveva utilizzato anche a Londra (FINA, LADY, BERY, TWIS, SIGN, SCAN, EMPT, BLAC, MAZA e CHAS), dove nascondersi al meglio se non in mezzo a tanti altri inglesi? A Roma, dove i suoi connazionali erano presenti in numero assai minore, gestire una qualsiasi emergenza sarebbe stato certamente più difficile. La missione italiana di SH fu un fallimento, perché l'Italia rinnovò l'intesa della Triplice alleanza alla fine del 1891, ma un piccolo insuccesso (come era accaduto ad esempio in YELL) è umano.
  2. TIBET: Dopo la permanenza in Italia, SH raggiunge, attraverso l'India, il Tibet, dove rimarrà per due anni e incontrerà il Dalai Lama (EMPT). Qui, davvero, si rischia di perdere la testa a tener dietro ai fatti storici dell'ultimo decennio del 1800, tutti attinenti agli scontri politici e militari tra le grandi potenze europee. Intanto, in India, dove dal 1885 è attivo l'associazione indipendentista del Congresso nazionale indiano e che proprio a cavallo tra il 1891 e il 1892 ottiene importanti concessioni di caratteri sociali dalla Corona britannica. Siamo certi che lo zampino di SH, in questo caso, è servito a sedare eventi insurrezionali che cominciavano pericolosamente a covare sotto la cenere. Poi, il Tibet. Qui la questione è aperta fin dal 1774, quando il governatore delle Indie, Hastings, tentò di aprire i traffici commerciali britannici nel regno lamaista. Da allora fino al 1890 fu un continuo susseguirsi di scontri (armati e diplomatici) con Cina, Prussia, Russia e Giappone durante i quali la Gran Bretagna conquistò Buthan (1865), Nepal (1866), Birmania (1889) e Sikkim (1890), per ottenere il controllo sul Tibet (cosa che poi riuscì solo tra il 1904 e il 1906), ma soprattutto per rafforzare i confini dell'impero indiano, allora comprendente anche il Pakistan, a nord e a est, visto che a nord ovest la situazione era tutt'altro che tranquilla a causa delle pressioni russe sul fronte afgano. Allo stesso tempo, la Prussia aveva iniziato una lenta ma inesorabile azione colonialista in Cina e il sempre più minaccioso Giappone contribuiva a rendere la regione un crocevia di scontri diplomatici, missioni segrete, scaramucce, imboscate e situazioni di vera e propria guerra. La Gran Bretagna aveva bisogno di ricomporre nel miglior modo possibile le questioni indiane, trovando tutti quegli accordi che evitassero l'espansione degli imperi nemici. Il Tibet, regione semi indipendente (una qualche influenza, ma tutto sommato scarsa, ce l'aveva il solo agonizzante impero cinese), rappresentava il territorio cruciale della regione: qui si incontravano non solo il Dalai Lama, re del Tibet, ma anche tutti gli emissari e le spie delle altre potenze colonialiste. Una situazione altamente difficile da gestire, dove un errore qualsiasi di una qualsiasi delle potenze in campo (e il dominio più grande era proprio quello inglese) poteva significare innescare una guerra dalle conseguenze inimmaginabili. Anche per questo, come si legge in EMPT, SH fu costretto a trattenersi in Tibet per ben due anni (cioè per quasi tutto il tempo che durò la sua missione all'estero).
  3. PERSIA: La tappa successiva di SH fu la Persia. Il Nostro ne accenna appena, ma anche in questa parte del pianeta la situazione politica era delicatissima. L'impero persiano di Nasir el-Din Scià (che morì nel 1896) stava vivendo la fase terminale del processo di decadenza che era cominciato alla metà del secolo. La Persia era così allo sbando che proprio in quegli anni Russia e Gran Bretagna decisero di uscire allo scoperto e di mostrare al mondo, venendo ai ferri corti, le loro mire espansionistiche sulla regione. La situazione di crisi, tra alti e bassi, si protrasse fino al 1907, quando le due potenze, ormai ex nemiche (nel 1905 fu riconfermata la Triplice Intesa tra Francia, Gran Bretagna e Russia, sottoscritta per la prima volta nel 1898), si accordano per dividere la Persia in due distinte zone di influenza. SH, senza dubbio, lavorò a definire i primi contatti diplomatici che gettarono le basi per l'aprirsi di una situazione che non precipitò mai in uno stato di guerra aperta.
  4. LA MECCA: Qui SH afferma di aver dato solo un'occhiata. Può, in effetti, aver detto la verità. La capitale spirituale dell'Islam, per quanto ufficialmente parte dell'impero Ottomano, godeva di un regime di quasi completa autonomia. Certo, poteva essere il luogo ideale per incontrare quanti, nel mondo arabo, si facevano fautori di una disgregazione del governo Ottomano in favore della creazione di stati indipendenti nella vasta regione araba, ma nello scacchiere internazionale dell'epoca La Mecca appariva davvero troppo lontana dai luoghi in cui si decidevano i destini del mondo. Siamo certi che, con la sua innata curiosità per le culture e le tradizioni degli altri popoli, SH sia voluto passare dalla capitale spirituale dell'Islam per ammirare e cercare di comprendere dei misteri che avevano per lui un puro fascino intellettuale.
  5. SUDAN: Passato in Sudan, SH fa visita al "califfo di Khartoum". In questo caso, come già accennato in altra parte di questa audace dissertazione, è Holmes stesso a dirci di aver riferito di quell'incontro al ministero degli esteri di Sua Maestà la Regina Vittoria. In Sudan la tensione era alle stelle fin dal 1881, quando Mohammed Ahmed Madi, battuti gli egiziani, instaurò un regime teocratico. Nel 1898 un corpo di spedizione anglo-egiziano avrebbe riportato la pace in Sudan. Ma nel frattempo, proprio negli anni della visita di SH, la Gran Bretagna è assai attiva a fornire sostegno politico ai vari dignitari contrari ad Ahmed Madi al fine di spianare la strada a quell'azione militare che poi sarebbe potuta avvenire nel 1898. Chiaro, dunque, il ruolo svolto da SH in Sudan.
  6. FRANCIA: Finalmente SH torna in Europa, e più precisamente in Francia. Siamo sul finire del 1893. Qui, in un laboratorio di Montepellier, impiega "alcuni mesi nella ricerca sui derivati del carbone di catrame" prima di rientrare in gran fretta (febbraio 1894) a Londra per risolvere il Mistero di Park Lane. La grande passione per la chimica, insomma, sembra aver ripreso il sopravvento al termine di un viaggio faticoso e pericolosissimo. In realtà, si può avanzare un'altra ipotesi ancora in ottica di una missione top secret. Nonostante Francia e Gran Bretagna siano opposte in molte campagne coloniali in mezzo mondo, l'astro crescente della Prussia (rafforzato dall'alleanza con Italia e Austria), il declino dell'impero Ottomano e la spavalderia del Giappone impongono la nascita di un'alleanza capace di controbilanciare il quadro internazionale, evitando così una guerra disastrosa da sostenere in più continenti. Come la visita in Persia era servita ad attivare i primi canali diplomatici con la Russia, la permanenza a Montpellier servì a SH ad attivare i canali diplomatici con la Francia in vista dell'accordo della Triplice Intesa che fu poi firmato dalle tre potenze europee di lì a 4 anni. Preparando così il blocco di alleanze che si sarebbe poi scontrato, a partire dal 1914, nel terribile inferno che sconvolse l'intero pianeta: la Prima Guerra Mondiale.

4. SEGRETI DI SHERLOCK HOLMES

Chiarito che SH scomparve di sua volontà per condurre in porto la delicatissima missione segreta che ho cercato di tratteggiare, è abbastanza ovvio che egli abbia taciuto a Watson (pur con qualche mezza ammissione) di quanto realmente accadde tra il 1891 e il 1894. SH doveva mantenere fede alla parola data a fratello che agiva in nome del governo, ma soprattutto aveva il dovere morale di proteggere la vita dell'amico. Informare l'ignaro dottor Watson di un segreto tanto delicato poteva metterne a repentaglio la vita. Per questo, per tre lunghi anni egli non ha mai comunicato un messaggio al vecchio compagno di avventure. E anche una volta rientrato in patria e ripreso il proprio vero nome decide che è meglio non invischiare il dottore in quel complesso gioco di intrecci internazionali. Una serie di questioni, del resto, erano ancora aperte. Raccontarle all'amico, per quanto esso si fosse dimostrato sempre fidato, era un inutile pericolo che non valeva la pena di essere corso. Watson, probabilmente, non si sarebbe mai lasciato sfuggire una parola. E anche sotto tortura non avrebbe tradito il carissimo amico e coinquilino di Baker Street. Ma lasciandolo all'oscuro di tutto, e tolto di mezzo anche il colonnello Moran, la missione di SH era chiusa e il segreto non presentava crepe nelle quali poter entrare.

5. IL SILENZIO DI MYCROFT

In gran parte le ragioni per le quali Mycroft Holmes non rivela al dottor Watson il fatto che SH sia ancora vivo sono le stesse che inducono il Nostro a mentire al caro amico. Ma c'è anche una motivazione "umana". Watson, affranto dalla perdita di SH, si trova in una situazione di instabilità emotiva che non si presta, per nessun motivo, a un genere di sorpresa come sarebbe quello di apprendere che l'investigatore è ancora in vita. Le reazioni umane, in questi casi, sono molteplici e tutte difficili da prevedere. Nella gran parte dei casi, comunque, finiscono per innescare una reazione di gioia incontrollabile che di solito pregiudica ogni buona intenzione o ogni solenne promessa che ci si impegni ad assumere con chi debba rivelarci il vero stato delle cose. E se ciò è vero fin dall'inizio, durante il Grande Iato, e probabilmente nel 1893, ad aggravare le cose giunge l'improvvisa morte (questa sì, reale) della moglie di Watson, l'amata Mary Morstan. In questa situazione non è davvero il caso di correre rischi. Per non compromettere di una virgola la missione di SH, a Mycroft non rimane dunque che fingere che il fratello sia realmente morto alle cascate del Reichembach.

CONCLUSIONI

Il cono d'ombra del Grande Iato, probabilmente, non sarà mai chiarito fino in fondo. La mancanza di documenti diretti, in primo luogo le citazioni del Canone, impediscono di fare piena luce su quei tre lunghi anni nei quali il mondo dovette rinunciare al genio e alle imprese contro il crimine di SH. Il poco che si è potuto appurare, però, offre una chiave di lettura che in qualche modo rende verosimile quanto sia potuto realmente accadere. E fa giustizia di un'affermazione alla quale la mia ammirazione per il Nostro mi ha sempre impedito di dar credito: che SH, per quanto minacciato, avesse scelto la via della fuga anziché affrontare il nemico a viso aperto.