Sherlock Holmes e il mistero di Dante Alighieri
di Fabio Camilletti
Nell'estate del 1994 mi trovavo in Inghilterra, e,
con degli amici, ci eravamo recati ad Hastings per una breve gita. Nel pomeriggio,
esplorate tutte le normali attrattive turistiche, ci dirigemmo nel quartiere vecchio della
città, dove le case dei pescatori avevano fatto posto ad eleganti negozietti di
antiquariato o semplice usato d'occasione. Fu appunto in uno di questi che entrammo, a un
certo punto, per curiosare, e quale non fu la mia sorpresa quando vidi, in uno scaffale
colmo di vecchi libri, l'inconfondibile costola dell'edizione del 1884 della Vita Nuova
di Dante curata da Alessandro D'Ancona per l'editore Nistri di Pisa. Il libro costava
poche sterline, e io, da appassionato dantista, lo acquistai subito, dato che in Italia
una copia di un libro del genere poteva avere anche un prezzo molto alto" almeno per
uno studente di liceo.
Tornato a casa, esaminai con cura il volume: conservato ottimamente, non sembrava aver
sofferto molto il passare degli anni. D'un tratto, qualcosa attirò la mia attenzione. Dei
foglietti ingialliti, infilati fra l'ultima pagina e la terza di copertina, scivolarono
fuori dal libro, e caddero sulla moquette della stanza sparpagliandosi qua e là. Li
raccolsi, e fui sorpreso nel trovarli fittamente coperti di una scrittura minuta e
scorrevole: diedi loro una rapida occhiata, riordinandoli, e mi stavo semplicemente
stupendo delle frasi che scorrevo fugacemente, quando il mio occhio s'imbatté in un nome
ben noto. Sul foglio campeggiava, e, mi accorsi, più volte, il nome Sherlock Holmes,
e così negli altri; giunto alla fine, poi, vidi la firma e trasalii: in nitide e chiare
lettere, essa recitava, testualmente, la frase "Written by John Watson, 25th
December 1894".
Fu un momento esaltante. Mi ero imbattuto in uno scritto autografo del Dottor Watson, a
quel che ne sapevo inedito. E le poche cose che avevo velocemente scorto bastavano a
capire che l'importanza di quel che avevo trovato andava ben oltre la pur eccezionale
scoperta di quella che era una vera e propria indagine di Sherlock Holmes, di cui nessuno
aveva mai sospettato l'esistenza.
Passai le ore seguenti a leggere e rileggere febbrilmente il testo, che ricopiai con cura
sull'hard disk del mio portatile, e il giorno dopo ero a Londra con il manoscritto nella
borsa, protetto con cura da una busta di plastica, in cerca di un esperto holmesiano che
ne certificasse l'autenticità. Durò poco. Appena usciti dalla Victoria Station, la mia
ragazza, che teneva la borsa, venne scippata da un ladruncolo in motorino. Restava la mia
copia, che tradussi con cura, e che riporto ora qui fedelmente.
"Era la sera della vigilia di Natale del 1894, e il mio amico
Sherlock Holmes e io tornavamo da una brutta rappresentazione dell'"Orfeo ed
Euridice" di Gluck e Calzabigi nel nostro appartamento di Baker Street. Giunti a
casa, ci sedemmo in poltrona, e Holmes accese la pipa, mentre io presi in mano il
giornale. Non riuscii, però, a leggere molto. Continuavo a pensare allo spettacolo, a
come mi aveva deluso, e a come la storia di Orfeo fosse in realtà piena di ottime
potenzialità.
'Non vorrei' disse d'un tratto Holmes, interrompendo il filo dei miei ragionamenti
'entrare nei suoi pensieri come quell'investigatore, Dupin, che lei tanto ama; ma volevo
dirle che anche secondo me l'opera di stasera era, per il tema che aveva, decisamente poco
riuscita.'
'Va bene' risposi io, rassegnato. 'Mi dica come c'è arrivato.'
'Suvvia, Watson' disse Holmes. 'Non è poi così difficile. Lei legge nervosamente, e
intanto tiene con le dita il ritmo dell'aria principale dell'opera. A teatro, l'ho vista
emozionarsi solo al momento della morte di Euridice. E' chiaro che l'opera non l'ha
soddisfatta, ha visto un bel tema, ma non l'ha visto ben sviluppato. Ed è a quello che
sta pensando.'
'Ha ragione, Holmes.'
'Ha ragione lei, mio caro Watson. L'opera non era ben costruita. Ho visto - e letto -
storie di amore e morte decisamente migliori, glielo posso garantire.'
'Per esempio?'
'Per esempio questa.' Si alzò, e prese dalla libreria un volume in italiano, seminascosto
fra gli altri.
'E' la 'Vita Nuova', la prima opera di Dante Alighieri, il poeta fiorentino autore
dell''Inferno'. Racconta dell'amore del poeta per una donna, Beatrice, e delle poesie che
compose per lei; di come lei morì, e di come egli decise di continuare la sua memoria
cantandola in poesie sempre più belle.'
'Non la facevo amante della poesia italiana, Holmes.'
'Lei è senz'altro al corrente del mio interesse per Petrarca. Ma ho letto molto anche
Dante: in traduzione, prima, quand'ero studente, e poi in italiano, mentre ero a Firenze,
dove il curatore di questo libro mi fece dono di questa bella edizione.'
'Sarei felice di leggere qualcosa anch'io, ma, purtroppo, non leggo l'italiano.'
'Tenga, allora' disse Holmes, e prese dalla libreria un volumetto, rilegato in marrone e
bordeaux, che portava sulla costola il titolo 'Poems and traslations' e il nome
dell'autore e traduttore, Dante Gabriel Rossetti.
'Questo' mi disse 'contiene la traduzione della 'Vita Nuova' e delle opere di molti poeti
contemporanei di Dante.'
'Il traduttore è quel pittore morto una decina d'anni fa, vero?' chiesi, scrutandolo
meglio.
'Si' rispose lui. 'Ebbi anche la fortuna di conoscerlo, ai tempi delle scuole superiori.
Viveva solo, sua moglie era morta.'
'Com'era accaduto?'
'Ingestione accidentale di una dose eccessiva di laudano' disse Holmes. 'O, almeno, questa
fu la versione ufficiale. A quei tempi già mi intendevo abbastanza di chimica, e facevo
le prime esperienze nel campo dell'arte della deduzione. Non mi ci volle molto, parlando
con lui un pomeriggio, per capire la verità.'
'Che sarebbe stata?'
'Si era uccisa, Watson. Avvelenata. E spinta da lui, per di più. Lui non ne era
cosciente, beninteso: l'amava, se questo può essere un dato rilevante ai fini di
un'analisi scientifica delle cause di un fatto. Ma era vissuto per anni nel culto di
questo libro; aveva sviluppato un'identificazione morbosa col personaggio/poeta Dante; per
lui la donna di un poeta doveva essere morta, una perenne Euridice, e morta, fantasma,
spettro, la dipingeva e la cantava continuamente nelle sue opere. Lessi le poesie che lei
scriveva' continuò Holmes. 'Si era completamente identificata col personaggio che lui le
aveva costruito addosso. L'atmosfera di morte che lui le creava continuamente intorno,
l'aveva spinta infine al suicidio.'
'Mi diceva prima dell'edizione italiana. Chi fu a regalarle il libro"?'
'Alessandro D'Ancona, il suo curatore. All'epoca insegnava letteratura italiana
all'Università di Pisa. Lo conobbi alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, dove andavo ad
esaminare manoscritti italiani medievali quando non avevo nient'altro da fare. D'Ancona'
proseguì 'aveva pubblicato quest'edizione sette anni prima. Ci trovammo a discutere di
Dante, ed egli mi invitò a Pisa a vedere il Camposanto, che è - lei lo sa meglio di me -
una delle principali attrattive per i turisti stranieri. E fu lì che mi spiegò uno dei
principali problemi che aveva dovuto affrontare nel curare questa edizione.
La questione era, in sostanza, questa.' continuò Holmes, aprendo il libro. 'Come le ho
detto, a un certo punto, Beatrice muore: e Dante, che ha sempre registrato fedelmente ogni
evento riguardante lei, sulla sua morte inspiegabilmente tace. Adduce, per dire la
verità, delle spiegazioni - tre, nello specifico: ma nessuna è realmente convincente. E
una è particolarmente criptica. Anzitutto, egli fa riferimento all'inizio del libro, in
cui dice che non tratterà nulla che non sia stato registrato dalla sua memoria: ma vuole
che la morte della sua donna non facesse parte dei suoi ricordi? Poi, dice che si tratta
di un evento troppo mirabile per essere narrato da lingua umana: ma se è vero che
trasforma Beatrice in una sorta di santa o angelo, è pure vero che nei Vangeli è
descritta la morte di Cristo, creatura che per Dante - come per ogni cristiano - era
certamente superiore a qualunque donna. Resta la terza spiegazione: Dante dice di non
voler parlare della morte di Beatrice perché questo andrebbe troppo a lode di lui.
D'Ancona mi spiegò come aveva risolto questo passo, ma né a lui né a me pareva troppo
convincente. E, in effetti, una spiegazione coerente non era possibile, alla luce di
quello che sapevamo. I giorni seguenti' proseguì quindi 'decisi di risolvere il mistero
di quel passo della 'Vita Nuova' attraverso il mio metodo basato sulla deduzione.'
'E ce la fece?'
'Non avevo molti elementi su cui basarmi, adire la verità. Cercai quindi di calarmi nella
logica delle cose come Dante la vedeva, attraverso una stretta analisi dei suoi scritti.
Le conclusioni che trassi non furono però piacevoli.'
'Può descrivermi il percorso che seguì?'
'Dante aveva una grande fede religiosa, legata al pensiero del suo tempo, che vedeva
l'azione coordinatrice della creazione nelle corrispondenze fra i numeri, le date gli
eventi astronomici, le proprietà delle erbe e delle pietre, i comportamenti degli
animali. Nulla di importante poteva accadere senza un complesso concorso di simboli,
rispondenze numeriche, eventi prodigiosi. Beatrice' continuò 'la sua vita, la sua morte,
erano degli eventi prodigiosi. Nella 'Vita Nuova' lui la definisce un 'nove', quadrato di
tre, numero perfetto, e specchio della Trinità: il numero nove permea la data della sua
nascita, del suo primo incontro col poeta, della sua morte. La sua poesia, che ne cantava
la natura miracolosa, aveva bisogno di scoprire continuamente queste connessioni.
La sua morte, in particolare, assunse importanza notevole. Dante conosceva il pensiero di
Bonaventura da Bagnoregio, che vedeva la perfezione della contemplazione dell'essere amato
nel momento in cui l'essere amato scompare dalla vista sensibile. E Dante - lo dice
nell'ultimo paragrafo della 'Vita Nuova' - stava progettando in quegli anni la stesura
della 'Commedia', il suo poema, in cui Beatrice appare come anima beata in Paradiso.
Egli era anche un uomo capace di tutto per conseguire gli scopi che le ragioni più alte
della religione e della politica gli suggerivano. Fece esiliare il suo migliore amico,
Guido Cavalcanti, per il bene pubblico della sua città; inviò lettere a molti dei
potenti del suo tempo per invitarli a sottomettersi a quella che la sua ragione gli
suggeriva essere la volontà di Dio, la vittoria, cioè, dell'Imperatore Arrigo VII.
In una poesia precedente aveva scritto che Beatrice era desiderata in cielo da Dio e dai
santi, e aveva aggiunto che era arrivato il momento in cui la sua donna doveva morire.
Rossetti, identificandosi in Dante, aveva bisogno di una morta: e, in un certo qual modo,
se la creò. Dante aveva bisogno di Beatrice morta per continuare a scrivere, e allo
stesso tempo vedeva la sua poesia come una necessità ineluttabile, voluta dalle stesse,
più alte, ragioni sulle quali impostava la sua intera condotta umana.'
'Vuol dire che"?'
'Si, Watson. La uccise. Come, non so, e non mi è dato saperlo. Del resto non ho altre
prove. Ma è l'unica cosa che spieghi tutto. Qualche anno fa, mi sono imbattuto in un caso
riguardante un uomo che aveva ucciso delle prostitute qui a Londra. Anche per lui gli
omicidi che aveva commesso andavano a sua lode, erano imprese delle quali fregiarsi. Non
fu lo scopo di Dante, in nessuna delle sue opere, vantarsi di questo suo intervento nel
campo della divina provvidenza. Ma non mancò di alludervi, nella sua opera giovanile.'
'Rivelò poi a D'Ancona quello che aveva scoperto?'
'Mai. Avrebbe distrutto le sue certezze, e, del resto, questo non è il campo d'azione del
critico letterario, ma di uno scrutatore dell'animo umano per professione come me.' 'Forse
le due cose non sono poi così differenti.'
'Forse ha ragione.'
Prese il violino, e iniziò una lunga esecuzione, in sequenza, dei suoi brani favoriti. Io
non sapevo cos'altro dire, e passai le ore seguenti a esaminare i libri che mi aveva dato.
Quando finì, ripose il violino e mi disse:
'Può tenerli, Watson' e se ne andò.
Io non so che fine farà questo scritto. Forse mi limiterò a conservarlo in uno dei libri
che Holmes mi ha dato, e non credo che lo leggerà mai nessun altro. Ma in qualche modo mi
sentivo in dovere di scriverlo, se non altro in memoria della migliore storia di amore e
morte che io abbia mai ascoltato e che Holmes mi ha raccontato in questo Natale del
1894."