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Il futuro della letteratura canadese

di Sir Arthur Conan Doyle

Ho sovente udito amici, provenienti da questa sponda dell'Oceano, dichiarare l'interesse e la venerazione provati nell'accostarsi ai grandi centri storici dell'Europa; ma vi posso assicurare che io stesso, dopo essermi immerso nella storia canadese, ho avvertito la medesima sensazione ieri quando ci siamo recati lungo le linee della vecchia invasione e abbiamo visitato il luogo dove sorgeva Forte William Henry, attorno al quale così tanti episodi di guerra si sono verificati, oppure il semidistrutto Forte Ticonderoga o ancora abbiamo percorso l'antico sentiero di guerra degli Irochesi, lungo il fiume Richelieu, dove ad ogni passo si percepisce il richiamo della storia. Mentre eravamo in viaggio alla volta di questa grande cittàho ripensato ai tempi in cui una fragile palizzata di tronchi divideva gli abitanti dalla barbarie più totale ed un repentino attacco dei selvaggi avrebbe potuto cancellare completamente l'Europa da questi luoghi. Credetemi, ho provato la medesima venerazione che so essere stata la vostra nei confronti dei centri della storia europea.

Posso dire di aver subito il fascino dello storico Francis Parkman, non tanto quello personale quanto quello degli eroi e dei martiri che egli ha celebrato, e se esiste un luogo al mondo che è imbevuto di storia non può che essere questo in cui ci troviamo. Parlo del richiamo della storia e nel momento in cui essa ha abbandonato questa terra è come se la sua vera essenza se ne fosse andata, non rendendola nient'altro che materia e roccia, terra e acqua. Perché sono lo spirito della terra e quello della storia a creare il mondo e a rendere quest'angolo d'America il più interessante di tutto codesto vasto continente.

Ho avuto una qualche difficoltà a scegliere l'argomento di cui parlarvi, perché i miei interessi sono alquanto vasti, tuttavia ho pensato che se eravate stati così cortesi da chiedermi di venire qua a parlare, il motivo, con tutta probabilità, era da ricercarsi nel fatto che alcuni di voi mi avevano fatto la bontà di leggere i miei libri. È, dunque, l'uomo di lettere quello che avete davanti oggi. Se non fossi stato uno scrittore, probabilmente sarei stato ad accrescere l'indice di mortalità in qualche remoto angolo del globo. Pertanto è sulla Letteratura e sulla carriera letteraria che voglio azzardare alcune brevi opinioni; e quando dico letteratura intendo soprattutto lo stile immaginativo dei suoi generi (romanzo, poesia e dramma), che mi sono più familiari.

La gente spesso mi chiede quali frutti stia per dare in Gran Bretagna la pianta della letteratura. Credo che sia una domanda cui si potrà rispondere soltanto tra venticinque anni. Ho ancora vivido il ricordo di quando, giovane scrittore alle prime armi, tutti i critici si lamentavano del fatto che i grandi fossero ormai scomparsi. Ora, se guardo indietro e vedo che tra i protagonisti di quei tempi c'erano drammaturghi come George Bernard Shaw, romanzieri come Kipling e umoristi del calibro di Barrie, ripenso al successo che hanno avuto e mi convinco di quanto ingiusto fosse il giudizio di quei critici. E lo stesso si può dire del momento attuale: molti grandi alberi possono crescere, semplici arbusti si possono con il tempo trasformare in querce gigantesche. Abbiamo uomini quali Masefield, che penso diventerà un grande poeta, Galsworthy, con la sua immensa filantropia, e Arnold Bennet, che manterrà alta la tradizione della letteratura inglese. La più stretta delle connessioni esiste oggi tra i romanzieri e gli aspetti pratici della vita. Un enorme incentivo alle cause pubbliche viene dall'interesse che, nei loro confronti, provano questi uomini, i quali possono descriverle nella forma più acconcia. Chi, più d'ogni altro, ha sviluppato il concetto d'Imperialismo? Kipling, senza ombra di dubbio. Chi è per i più il portavoce del Socialismo? Wells. Chi più di tutti invita gli uomini alla riflessione, sebbene li faccia infuriare? Bernard Shaw. Chi sostiene il Sionismo? Zangwill. Difficilmente uno scrittore pensa soltanto in termini di guadagno, evitando di avventurarsi nei fatti della vita e di mettere il proprio talento al servizio di tutti.

La gente talvolta mi chiede se un uomo può imparare a scrivere. Temo che scrittori si nasca. Rammento da ragazzo un corso scolastico intitolato "corso di poesia" in cui tutti i partecipanti, dotati o no di talento, dovevano scrivere una poesia, sebbene fosse difficile riconoscerla come tale. Ricordo che una volta ci fu assegnato il compito di ricavare una poesia dalla storia biblica di Giuditta e Oloferne, e uno dei giovani studenti la riassunse in due brevi versi:

Volse gli occhi al cielo, la spada cavò
E la testa d'Oloferne in due tagliò.

Orbene, il docente non poteva accettare un simile compito e gli disse di fare un altro tentativo. Quando si ripresentò, aveva scritto:

La spada cavò, lo sguardo volse in alto
La gola gli tagliò da un occhio all'altro.

Questi sono dei pessimi esempi sul fare letteratura laddove non esiste alcuna letteratura. Bisogna possedere quell'istinto innato, bisogna vibrare alla musica delle parole.

La grande letteratura non può essere insegnata. È completamente al di fuori della portata di qualsiasi legge creata dall'uomo. Ma ciò che può essere insegnato è lo stile, così come il vocabolario può essere arricchito. Ammesso che ci sia quella propensione innata, possiamo migliorarla studiando i grandi maestri e ampliando costantemente il nostro vocabolario, il quale, dopotutto, altro non è che la nostra scatola degli attrezzi. Per quanto attiene allo stile, non si può fare niente di meglio che seguire Stevenson, il quale ha "trasformato molti incedere zoppicanti in uno stile".

Si deve comprendere l'uso delle parole. Quando si scopre un termine nuovo, bisogna farlo proprio, inserirlo nel proprio vocabolario ed usarlo con discrezione. Credo che gli Elisabettiani e Stevenson siano assai abili nel far uso di un ampio vocabolario, possiedano un istinto naturale a servirsi del termine più desueto, il quale, una volta usato, riesce ad esprimere perfettamente il concetto. Un esempio di questo può essere ritrovato nella descrizione che l'Ambasciatore di Scozia fece del modo di danzare della Regina Elisabetta: "Danza bene e con propensione". Inoltre, al di là di queste cose, uno scrittore deve coltivare la propria conoscenza. Un uomo dalla cultura limitata non produrrà alcunché di buono in letteratura. Bisogna possedere interessi vasti, la capacità di ramificarsi in ogni direzione, la conoscenza della relazione che esiste tra una serie di fatti ed un'altra. Dopo aver coltivato tutto ciò, egli deve dotarsi di un'immensa dote di santa pazienza durante tutti gli anni in cui gioca a ping pong con gli editori. Tu invii ciò che hai scritto e lui te lo rimanda indietro e bisogna fare esercizio di pazienza. Nel mio caso, ho scritto per dieci anni e ho inviato i miei lavori agli editori, che me li hanno rimandati indietro. Ricordo fotografie che mi venivano inviate con la richiesta di trarne una storia. Erano delle fotografie piuttosto scadenti, e il racconto che ho scritto non era da meno.

Un altro elemento è l'atteggiamento nei confronti della critica. Non si deve aver paura delle critiche, sono di gran lunga migliori delle adulazioni, che ti fanno credere che non hai più niente da imparare. L'elogio smodato porta l'uomo alla rovina, in quanto lo spinge a non tentare qualcosa di meglio - e questo non è un bene per un giovane in qualsiasi professione, a maggior ragione in quella letteraria. Più di un uomo promettente è stato rovinato da un'eccessiva valutazione. La massima più sicura è:

"Fa del tuo meglio. E dopo averlo fatto, non pensarci più, occupati di qualcos'altro e lascia che sia il mondo a decidere se l'hai fatto bene oppure no".

Sopra la mia scrivania è appeso un cartello dal quale, di tanto in tanto, sono solito trarre conforto. Sopra ci sono scritti questi versi:

I critici adulano, ne puoi aver certezza,
I critici stroncano, mai la bruttezza,
I critici sono generosi, non ti curare,
Fa del tuo meglio, il resto lascia stare.

Un'altra cosa di cui c'è un gran bisogno in letteratura - e di cui non sempre per la fretta ci interessiamo abbastanza - è un sereno senso di distacco. Non puoi scaricare un buon carico, se non lo hai caricato. Non si possiede una quantità infinita di idee, una quantità infinita di conoscenza; saggio è colui che rammenta ciò e che, di tanto in tanto, lascia perdere tutto e si ritira in un luogo tranquillo con i propri libri e trascorre settimane o mesi a migliorare se stesso, ad ampliare la propria cultura. Al ritorno, sono sicuro, è in grado di offrire al pubblico e a se stesso qualcosa di valido. Se mai un giovane scrittore fosse insoddisfatto dell'accoglienza ricevuta, se mai dovesse pensare di non aver ottenuto il giusto riconoscimento, deve ricordarsi di quanto i grandi uomini hanno dovuto attendere prima di essere riconosciuti tali. È il caso di ricordare George Meredith, che pubblicò la prima edizione del suo Richard Feverel nel 1859; la seconda non apparve fino al 1881, tuttavia egli era ben consapevole del valore del proprio lavoro. Quel romanzo è pieno di splendidi passaggi. Ero con lui la volta che un giovane iniziò a tessere le lodi di uno di questi - era l'aforisma: "Chi pregando diviene un uomo migliore, vede ascoltata la propria preghiera". Meredith rispose: "L'ho scritto venticinque anni fa e lei è il primo che me lo menziona".

Signori, qui in Canada ho l'impressione di trovarmi in un luogo che, negli anni a venire, è destinato a dar vita ad una grande letteratura. Se uso il futuro non significa che non sia già accaduto, ma ciò che mi preme dire è che sarà una letteratura assai ricca di opere che un domani potranno influenzare positivamente la letteratura mondiale. Ma, allo stesso tempo, non credo sia giusto che il Canada volga il proprio pensiero esclusivamente in questa direzione. Mi sembra che per un giovane e solido paese, che tanto ha prodotto in campo pratico, esistano cose migliori da fare del sognare. C'è una tale richiesta di una crescita maschia del paese che sarebbe poco saggio tornare a sognare. Le grandi imprese sono migliori dei grandi sonetti e l'invito del Canada ai propri figli è all'azione; perché la poesia dell'azione esiste al pari di quella delle parole e la grande impresa che viene realizzata suona più gloriosa di un grande sonetto. In qualsiasi epoca, mai le nazioni che si sono fatte grandi hanno prodotto letteratura nel corso di tale processo. Cinquecento anni sono trascorsi dalla fondazione di Roma prima che la letteratura latina vedesse la luce. I romani impiegarono le loro energie a combattere contro i paesi vicini. Nel vostro caso si è trattato di impiegarle contro le immense forze della natura, che hanno dovuto essere soggiogate. Tra la semina e il raccolto deve sempre trascorrere molto tempo. Posso citare quale esempio lo stato della Nuova Inghilterra. Per tutto il tempo in cui essa è stato il centro d'ogni attività, nessuna nuova letteratura è stata prodotta; ma quando il fiume dell'alacrità americana si è indirizzato verso l'Ovest, la Nuova Inghilterra è divenuta uno stagno, e voi avete avuto i vostri Longfellow in quel piccolo angolo di mondo. Lo stesso, ed è la mia profezia, avverrà qui.

(traduzione di Alessandro Gebbia)

 

Nel 1914 il Governo canadese invitò Sir Arthur Conan Doyle a visitare il Parco Nazionale di Jasper nelle Montagne Rocciose settentrionali. Durante il viaggio, compiuto in compagnia di Lady Doyle, Sir Arthur venne invitato dal Canadian Club a tenere una serie di conferenze in tutto il paese. Come ricorda in Western Wanderings:

Mi invitarono a Quebec, Montreal, Hamilton, Vancouver, Fort William, Winnipeg, Edmonton, Calgary e in molte altre cittadine. Accettai di tenere conferenze a Montreal, Winnipeg, Edmonton e Ottawa. In ognuna di queste città il programma fu lo stesso: un breve pranzo seguito da un discorso della durata di circa mezz'ora. Si provano sentimenti opposti nei confronti di questo tipo d'iniziative, da un lato è un onore che queste persone desiderino ascoltarti, dall'altro la vacanza si trasforma all'improvviso in un giro di conferenze, salvo che non si opponga un rifiuto, nel qual caso appare veramente difficile non risultare offensivi. Nel complesso, è meglio sacrificare parte della vacanza e fare del tuo meglio. Riceverai in cambio una calda accoglienza e un pubblico sorprendentemente simpatetico ed indulgente.

"Il futuro della letteratura canadese" venne pronunciato a Montreal, il 4 giugno 1914. In venti minuti, Sir Arthur espone in breve le proprie idee sull'arte dello scrivere, sottolineando l'importanza delle letture e dell'approfondimento della propria cultura. Quando il suo discorso si sposta sulla letteratura canadese l'approccio si fa più semplicistico e superficiale. Le conclusioni suonano più come un omaggio dovuto al Paese che, in quel momento, lo sta ospitando che come un vero apprezzamento critico. Tuttavia, al di là dei contenuti e del loro valore letterario, questa breve e divertente conferenza può risultare utile per mettere a fuoco l'idea di letteratura che Sir Arthur si era fatto e per sollecitare la curiosità di quanti si occupano del Canada, paese che annovera uno straordinario numero di fan di Sherlock Holmes.