I bambini e Sherlock Holmes:
l'infanzia a Baker Street
di Stefano Guerra
Sherlock Holmes ha avuto a che fare con i bambini
diverse volte nel corso della sua vita professionale. Si è trattato sia di bambini delle
classi agiate, in qualche caso al centro del problema per cui era stato consultato, sia di
bambini di estrazione popolare, incontrati nel corso delle indagini o da lui coinvolti
nelle stesse. Nel rapportarsi a loro, in entrambi i casi, Holmes ha dimostrato di essere,
come sempre, privo di pregiudizi e, anzi, spesso vicino a teorie all'avanguardia da un
punto di vista psicopedagogico.
Nell'Inghilterra Vittoriana la situazione dei bambini ha subito una profonda
trasformazione: dall'idea del bambino come adulto in miniatura che aveva caratterizzato i
secoli precedenti, si era ormai consapevoli della particolarità dell'infanzia come
periodo di formazione e sviluppo. Ma ancora nei primi decenni del secolo si era ben
lontani dalla visione odierna del bambino, che si è venuta costituendo grazie alle teorie
pedagogiche e psicologiche che proprio in quegli anni hanno cominciato a farsi strada.
Con la rivoluzione industriale e l'affermazione della borghesia si era determinato il
fenomeno dell'urbanesimo: grandi masse di abitanti delle campagne si erano spostati alla
periferia delle grandi città, in quartieri malsani in crescita disordinata. I ritmi di
lavoro e di vita impedivano di ricostruire il tessuto sociale e familiare tipico delle
società agricole. Si cominciò a rompere la struttura della famiglia come unità di vita
e di lavoro in cui tutti i componenti si riconoscevano. I genitori lavoravano dalle 14
alle 16 ore al giorno ed avevano poco tempo per la cura dei figli. Questo almeno per
quanto riguarda le classi meno abbienti, nelle quali i figli, fin dai sei o sette anni,
venivano collocati presso un affittuario agricolo o un negoziante, quando non finivano in
vere e proprie scuderie di addestramento di piccoli mendicanti professionisti,
borseggiatori, rapinatori e piccole prostitute.
Si cominciò a diffondere la piaga del lavoro minorile: le leggi per il lavoro prevedevano
che i figli di coloro che ricevevano i sussidi per i poveri venissero affidati alle cure
dei parroci che dovevano istruirli e collocarli come apprendisti presso imprenditori. I
bambini rappresentavano così, insieme alle donne, mano d'opera non qualificata a buon
mercato. Venivano sfruttati non solo nelle fabbriche, ma anche nelle miniere o come
spazzacamini. A proposito di questi ultimi c'è da dire che solo nel 1875 la legge proibì
l'uso dei minori in questa attività per la quale negli anni precedenti venivano reclutati
perfino bambini di quattro anni, costretti a forza dai loro padroni a calarsi nei camini.
La mortalità infantile era ancora altissima, andando dal 30% nelle classi inferiori al
10% nelle categorie più agiate.
Se si eccettuano alcune iniziative religiose, che prevedevano l'istituzione delle
cosiddette scuole per straccioni, organizzate dalle società di beneficenza, ed in cui ci
si limitava a proporre lo studio della Bibbia, l'educazione per le classi inferiori non
era ritenuta necessaria e i bambini erano presto avviati ad una professione, mentre
l'educazione dei fanciulli ricchi era assicurata in casa da una governante o da un
precettore. Non era prevista, almeno all'inizio dell'era vittoriana, una partecipazione
dello Stato all'educazione infantile. Nelle classi agiate la nursery era un regno a parte,
in cui i genitori entravano raramente, i bambini si potevano vedere, ma non ascoltare e
non dovevano parlare con gli adulti se non interrogati. I metodi educativi dell'epoca si
basavano sul principio che il bambino fosse macchiato dal peccato originale e che i suoi
istinti negativi, dei quali era inevitabilmente vittima, andavano innanzitutto corretti.
Era fondamentale la disciplina, nessun incoraggiamento alle chiacchiere né ai giochi,
considerati un inutile perdita di tempo. Un atteggiamento troppo affettuoso da parte delle
madri era considerato disdicevole e veniva apertamente censurato. Successivamente i figli
dei gentlemen venivano indirizzati alle public school, in realtà fondazioni private sorte
tra il XV e il XVI secolo, nelle quali si dava un po' più di importanza alla cultura, ma
rimaneva fondamentale il concetto di disciplina, mantenuta anche grazie ad un sistema
oligarchico, che prevedeva l'uso degli allievi più grandi con funzioni di prefetti e
l'abbondante diffusione delle punizioni corporali, con canna e righello. Di tale sistema
educativo, peraltro condiviso dalle stesse vittime, abbiamo traccia ancora oggi.
L'impulso dato dal dottor Arnold intorno agli anni trenta, le cui influenze si fecero
sentire fino al XX secolo, prevedeva che più che sapienti, le scuole inglesi formassero
gentlemen, cioè una classe dirigente con un unico stampo, permeata di valori cristiani,
di spirito di gruppo, affinato tramite le numerose attività sportive, sicura di sé,
dotata di senso di responsabilità e dell'onore.
Nella seconda parte del regno, dal 1840 in poi, le prime riforme e le leggi sul lavoro
minorile e delle donne migliorarono le condizioni di lavoro e sociali di vita nei
quartieri poveri anche se rimanevano numerose sacche di povertà. Verso la fine del
secolo, in Gran Bretagna, come nel resto dell'Europa, furono approvate leggi per
l'istruzione obbligatoria, che però paradossalmente in Inghilterra, partita tra l'altro
in ritardo rispetto agli altri paesi, segnarono un regresso perché i bambini non andavano
a scuola ma continuavano a lavorare o a stare in strada.
Si cominciarono a fare strada teorie psicopedagogiche nuove, basti pensare alla teoria
psicoanalitica o all'attivismo.
La prima, che Freud enunciò proprio verso i primi del novecento e che ebbe tante
resistenze ad affermarsi nel mondo scientifico, prima che in quello culturale, affermava,
come si sa, che lo sviluppo del bambino corrisponde all'evoluzione della sua libido,
cioè delle sue pulsioni sessuali, che rendono il bambino protagonista di conflitti
interiori e di passioni mai prima esplicitamente dichiarate dagli studiosi della psiche
infantile. In pedagogia, l'attivismo presentava come punto focale la centralità
dell'alunno e il riconoscimento della fanciullezza come valore in sé indipendentemente
dalla preparazione allo stadio di adulto: per i seguaci della scuola attiva era necessario
educare secondo natura seguendo gli interessi del fanciullo. L'insegnante diventava così
guida dell'attività infantile.
Questo è il panorama in cui Holmes si trovò a vivere, essendo nato nel 1854. Ora è
chiaro che Holmes non poteva conoscere le nuove teorie psicopedagogiche, non ancora
affermatesi, ma sicuramente ha dimostrato di essere in linea con esse, almeno nella
maggior parte dei suoi comportamenti nei confronti dell'infanzia. Nell'analisi dei
comportamenti dei ragazzi che sono stati da lui sottoposti ad indagine, infatti, non ha
mai trascurato l'aspetto psicologico, individuando gelosie, innamoramenti, rivalità
fraterne. Certo, non poteva fare riferimento esplicito al complesso di Edipo, ma come
definire altrimenti l'innamoramento del giovane lord Saltire per la duchessa sua madre in PRIO, innamoramento che Holmes capì essere alla base della
fuga del giovane, tratto in inganno da una lettera che egli credette essergli stata
inviata appunto dalla madre? E non si può non vedere un chiaro esempio di Edipo invertito
nel caso di VAMP, in quel bambino che buttava le braccia
al collo del padre con "l'abbandono - dice Watson - di una giovinetta
innamorata": solo la miopia di un genitore complice poteva non accorgersi di come
quel fanciullo fosse in preda ad un affetto che Holmes definì "morboso ed
esagerato" per il padre. Quell'affetto che l'aveva portato ad essere geloso e ad
odiare il fratellino di pochi mesi, tanto da volerne la morte, e che Holmes aveva
immediatamente notato ponendolo, giustamente, al centro della sua indagine. E ancora,
Holmes è modernissimo nel sospettare un significato nei pupazzi ballerini, non
limitandosi a liquidarli come un "ingenuo" gioco fanciullesco, ma incuriosendosi
e trovandone un senso. Pensare di sfuggire all'indagine holmesiana con un espediente tanto
banale era certo possibile in una società che riteneva di poco valore ciò che riguarda i
giochi dei fanciulli. Già sapevamo che Holmes dava valore ai particolari apparentemente
insignificanti, caratterizzandoli con un'attribuzione di significato che spesso li faceva
diventare il significante fondamentale, qui scopriamo che in particolare sapeva dare il
giusto rilievo ai giochi dell'infanzia e dunque era capace di distinguere un vero gioco
infantile da una malriuscita simulazione di esso.
Ma la rivelazione più sorprendente della modernità di Holmes nel trattare i problemi
dell'infanzia è probabilmente quella che ritroviamo in CREE,
quando, riferendosi al caso dei faggi rossi, affermò: "io fui in grado, studiando
il carattere del bambino, di trarre giuste deduzioni sulle abitudini criminose
dell'apparentemente rispettabilissimo e cordialissimo genitore".
In quel caso aveva già avuto modo di dire che "le tendenze di un fanciullo si
capiscono meglio attraverso lo studio delle tendenze dei genitori. Ora, non vedo perché
il contrario non dovrebbe essere altrettanto valido: spesso ho capito il carattere intimo
delle persone dallo studio dei loro figlioli. Il temperamento di quel bambino è crudele.
E' crudele per amore di crudeltà, e se egli derivi questa sua inclinazione dal suo
sorridente padre, come ho ragione di sospettare, o dalla sua immusonita madre, tutto ciò
non può che far temere per la povera creatura che si trova in loro potere."
E che non si tratti di una semplice teoria sull'ereditarietà dei tratti del carattere è
confermato da quanto aggiunse sempre in CREE: "se
dai bambini passiamo ai cani la linea deduttiva è analoga. Un cane riflette la vita della
famiglia in cui vive. Chi ha mai visto un cane mattacchione in un ambiente tetro o un cane
triste in una famiglia allegra? La gente ringhiosa ha cani ringhiosi, la gente pericolosa
ha cani pericolosi e i loro umori bizzarri possono riflettere gli umori bizzarri dei
padroni".
Sembra una meravigliosa anticipazione delle moderne teorie relazionali sugli equilibri
familiari: non vi pare che Holmes avesse già anticipato la tesi che i neuropsichiatri
infantili sostengono ancora oggi, che dove c'è un bambino sofferente sul piano
psicologico, è necessario indagare sulla struttura familiare ed individuarne le modalità
comunicative, i contrasti, le reciproche posizioni di potere, i ruoli predefiniti?
Per quanto riguarda la vocazione pedagogica di Holmes, non possiamo non riferirci agli
Irregolari di Baker Street.
Questo era il nome di una banda di monelli da strada reclutati da Holmes e che
costituivano i suoi migliori alleati: "uno solo di quei furfantelli riesce a fare
più di una dozzina di agenti regolari". Si infilavano dappertutto, ascoltavano,
pedinavano e riferivano. Disciplinati, entusiasti ed efficienti, lo aiutarono in molti
casi. Venivano ricompensati con uno scellino al giorno, più le spese, più un premio di
una ghinea per chi trovava l'obiettivo della ricerca. Ma soprattutto, dovevano essere
gratificati dal fatto di essere loro, monelli da strada, un tipo di ragazzo cui nessun
passante avrebbe neppure fatto attenzione, gli alleati indispensabili e fidati del grande
detective: si veda ad esempio la scena in STUD in cui
fecero irruzione nel salotto di Baker Street, probabilmente con grande scandalo della
signora Hudson, in fila col berretto in mano, e scattarono battendo i tacchi
all'"attenti" di Holmes, orgogliosi di essere ricevuti in una casa borghese.
Come abbiamo detto, in quel periodo le strade di Londra erano piene di ragazzini poveri e
cenciosi, che non avevano diritto a nessun tipo di aiuto e che finivano regolarmente
vittime del mondo del vizio e della criminalità. Grande dunque è stato il merito di
Holmes nel creare il suo piccolo esercito, non solo per i ragazzi che ne furono
direttamente beneficiari, ma soprattutto per quelli che militarono successivamente in
strutture consimili, costituitesi su quel modello.
Come è già stato fatto notare da Giorgio Esposito e da Enrico Solito, è proprio
pensando agli Irregolari di Baker Street che Baden Powell fondò gli scout: ne abbiamo
notizia certa sia perché Baden Powell conosceva personalmente il prestanome di Watson,
Sir Arthur Conan Doyle, e con lui aveva discusso a lungo dei metodi usati da Holmes, sia
perché proprio nel suo Scouting for Boys, del 1908, Baden Powell dedicà il quarto
capitolo all'interpretazione delle tracce alla maniera di Sherlock Holmes.
E questo tipo di organizzazione è certamente da inserire nel filone delle scuole attive,
che come abbiamo detto rappresentavano l'avanguardia del pensiero pedagogico dell'epoca.
Se ce ne fosse bisogno, un'altra dimostrazione della modernità di Holmes e della sua
sensibilità nei confronti dell'infanzia.
Ora proviamo ad applicare i metodi di Holmes per spiegare il suo rapporto con l'infanzia.
E' noto che spesso l'interesse per il mondo dei bambini deriva da una particolare
attenzione per la propria infanzia, nel tentativo di rivisitarla con nostalgia o di
compensare carenze e colmare vuoti di quel periodo. Dell'infanzia di Holmes sappiamo poco,
ma possiamo provare a sviluppare alcune ipotesi. Sappiamo per certo che aveva un fratello
maggiore di sette anni, Mycroft, che ci viene presentato per la prima volta da Watson nel
caso dell'interprete greco, pubblicato nel 1893, ma datato 1888. Successivamente, Mycroft
si presentò, con maggiori informazioni sulla sua reale attività, in BRUC. Da questi due
resoconti di Watson abbiamo modo di scoprire qualcosa sui rapporti tra i due fratelli ed
avanzare ipotesi su come sia stata la loro infanzia. Sappiamo che Mycroft era corpulento,
pigro, poco incline a muoversi per dimostrare di avere ragione. (Anzi, Sherlock dice
proprio di "prendersi la fatica di dimostrare"). Ci dà l'impressione di
una persona appagata e soddisfatta di sé. Sherlock affermò che quando andava a
consultarlo, si degnava di "chinare il ciglio" e allorquando era Mycroft
ad andarlo a trovare in Baker St. Era come se "Giove discendesse sulla
terra". Mycroft a sua volta si rivolgeva al fratello, quando aveva bisogno di
lui, pregandolo di "non pensare ai suoi stupidi indovinelli da ufficio di
polizia", e più avanti lo invitò a raccogliere indizi manifestando un evidente
senso di superiorità: "io ti fornirò la mia opinione di perito dalla mia
poltrona"... "ma mettermi a correre di qua e di là e buttarmi a terra con una
lente incastrata nell'occhio...". La scenetta in cui Mycroft si presentò a
Watson, in cui, per inciso, i due rivelarono, attraverso pochi indizi, l'esistenza di due
bambini nella vita di un sottufficiale di artiglieria, appare come una sorta di sottile
duello di intelligenze tra due gentiluomini, ma si percepisce, sotto sotto, in entrambi la
necessità di tener testa all'altro. Se c'era un uomo al mondo nei confronti del quale
Holmes aveva un senso di inferiorità, ("possiede doti di osservazione superiori
alle mie") e che si poteva permettere di trattare l'attività di Sherlock come un
inutile passatempo, questi era Mycroft. Se a questo si aggiunge che Mycroft era il
primogenito, che aveva un posto ministeriale da 450 sterline l'anno e che Sherlock aveva
invece fatto fatica ad affermarsi, almeno all'inizio della professione, tanto da avere
bisogno di dividere le spese dell'appartamento di Baker St. con Watson, si può concludere
che Sherlock abbia sempre, fin da bambino, dovuto inseguire il mito del fratello maggiore:
ci sembra di vederlo, più piccolo di sette anni, ammirare ed idolatrare il fratello
maggiore, ma anche invidiarlo e cercare di ottenere al pari di lui, il primogenito,
l'approvazione dei genitori. Per Mycroft, dunque, tutto facile, college, università,
lavoro governativo, per Sherlock tutto complicato, la stima dei genitori, i percorsi
scolastici ed universitari, il lavoro, fino ad inventarsi una professione in cui non fosse
possibile il confronto: lui stesso si definiva l'unico consulting detective del mondo. E
in tal modo si spiegherebbe anche quella debolezza così infantile, narcisistica,
consistente nel bisogno di essere ammirato, complimentato, gratificato, che lo
contraddistinse. Un'infanzia dunque nella quale Sherlock imparò a sue spese che cosa vuol
dire soffrire di gelosia, amare più di quanto non si è riamati, provare rivalità
fraterna, sentirsi solo; e durante la quale pose le basi per capire l'infanzia altrui e la
sua importanza nella storia degli individui. Possiamo perciò spiegare così la sua
capacità di immedesimazione con i fanciulli incontrati nel suo lavoro, rivelatasi, da un
lato, con l'abilità nell'intuirne le emozioni ed i sentimenti, vista nei casi da lui
brillantemente risolti; dall'altro, con la fondazione degli Irregolari di Baker Street: è
stato perché Holmes è stato il primo irregolare che li ha potuti organizzare ed è stato
perché quei ragazzi l'hanno sentito in fondo identico a loro che l'hanno servito con
tanto entusiasmo e dedizione.
Ma non sempre la sofferenza patita durante l'infanzia permette di comprendere lucidamente
la situazione di un bambino che soffre per problemi analoghi. Ci sono situazioni nelle
quali la paura di rievocare il proprio dolore è troppo intensa, così da determinare una
vera e propria rimozione del passato, che rende impossibile condividere il dolore altrui.
Questo sembra essere capitato anche ad Holmes, che ha mostrato spesso di essere diverso
dal freddo ragionatore che egli stesso si è sforzato di essere. La razionalizzazione
esasperata, difesa che Holmes ha messo in atto nei confronti dell'emotività - vissuta da
lui come una debolezza intollerabile - fa pensare che a livello inconscio egli sapesse
bene quale fosse in realtà la propria fragilità nei confronti delle emozioni profonde.
In particolare, c'è un caso in cui la presenza di un bambino, o meglio di una bambina, si
lega ad un insuccesso di Holmes, nel quale ci sembra di poter dire che è proprio
l'intrecciarsi di ricordi personali all'indagine che rende il celebre investigatore sordo
e cieco, incapace di accorgersi di aver intrapreso una strada sbagliata. Il caso è quello
descritto da Watson come "la faccia gialla": il cliente di Holmes era un
uomo, Grant Munro, che si rivolse al detective insospettito dalle strane visite notturne
che la moglie faceva in una casa vicina. Informato del passato della signora, proveniente
dall'America con un precedente matrimonio alle spalle, conclusosi con la tragica morte del
marito e della figlia, Holmes formulò un'ipotesi che si rivelò del tutto sbagliata.
Poiché la signora, dotata di un ingente patrimonio, che però aveva consegnato tutto al
secondo marito, aveva chiesto a Munro cento sterline, senza volergli confessare quale
fosse la destinazione di quei soldi, e poiché chiaramente voleva tenere nascosti i suoi
rapporti con gli occupanti di quella casa che frequentava di notte, Holmes fece l'ipotesi
che il primo marito non fosse morto, che fosse un poco di buono e che la signora fosse
ricattata da lui. In ciò Holmes mostrò di trascurare almeno due fatti: il primo che
Munro aveva visto il certificato di morte del primo marito di sua moglie, il secondo,
ancora più grave, che non aveva mai visto il certificato di morte della bambina. Era
proprio la bambina, infatti, che si nascondeva in quella casa, insieme con una fidata
governante, bambina della cui esistenza la signora non aveva detto nulla a Munro perché
aveva timore che lui non l'avrebbe mai accettata, soprattutto dopo aver visto che era una
bambina di colore. Sì, perché contravvenendo alle regole sociali allora in vigore in
Inghilterra, la signora aveva, come disse ella stessa, "rotto i legami con la sua
razza", sposando negli Stati Uniti un uomo di colore. La storia finì bene,
perché Munro, rivelandosi un uomo migliore di quanto la moglie temesse, non ebbe
esitazioni a prendere la bambina in braccio e ad invitare sua moglie a raggiungere insieme
la loro casa, ma per Holmes fu una sonora sconfitta, tanto che egli invitò l'amico Watson
a ricordargli quel caso ogni qualvolta si fosse mostrato troppo sicuro di sé o quando
dovesse avere l'impressione di vederlo occupato ad un caso con una cura ed un'attenzione
minori di quanto il caso meritasse.
Ma ciò che mi preme indagare è: perché Holmes ha sbagliato? Cosa l'ha portato fuori
strada? Penso che anche in questo caso possiamo fare un'ipotesi che coinvolge la sua
infanzia e che ancora una volta ci dimostra come essa sia stata per lui fonte di
sofferenza. Per Holmes è stato impensabile che la madre potesse lasciare la bambina per
tre anni così lontano da lei, in America, mentre lei, se pure informata costantemente
sulle sue condizioni di salute, come dice ella stessa, se ne stava allegramente in
Inghilterra con il suo secondo marito; e poi, che avesse legato tutte le sue sostanze a
Munro, senza pensare che quei soldi le sarebbero stati certamente necessari per le
esigenze postele dalla crescita della figlia. Certo, una madre non proprio esemplare, ma
Holmes non aveva timore di pensar male delle donne, come sappiamo, nemmeno delle madri, se
è vero che disse a Watson che la donna più affascinante che avesse conosciuto era stata
impiccata per aver avvelenato tre piccoli innocenti - si presume che fossero i figli - per
riscuotere il premio dell'assicurazione accesa sulle loro teste. No, Holmes non avrebbe
dovuto escludere l'ipotesi che la figlia fosse ancora viva e che fosse lei il motivo che
spingeva la signora Munro alle sue sortite notturne. A meno che non avesse dei motivi
personali per rifiutare quell'ipotesi, cioè per rifiutare l'identificazione con quella
bambina.
In altri termini, come non ipotizzare che anche Holmes abbia sofferto per l'abbandono di
sua madre e che l'impossibilità di rivivere la medesima sofferenza stia alla base di
questo storico insuccesso?