Un caso di comportamento animale
di Douglas Spoulding
"Allora, Dottor Watson, cosa intende fare con
quella piccola peste? So che le dissi che poteva tenerla, ma proprio non mi aspettavo che
si rivelasse così terribile. E credo che nemmeno il signor Holmes ne vada pazzo, per
quanto non le abbia detto nulla a riguardo"
"Certo che no ! Nessuno che fumi quel tabacco pestilenziale ad ogni ora e che
avveleni il salotto con i fumi di esperimenti chimici è nella posizione di lamentarsi di
questo tenero, piccolo cucciolo di bull-dog."
Era mattina inoltrata, pochi giorni dopo il mio primo incontro con il signor Sherlock
Holmes: la signora Hudson, la padrona di casa, mi aveva affrontato fermamente sulla soglia
del 221b di Baker Street - il mio nuovo appartamento - al mio ritorno da una
piacevole passeggiata col mio cagnolino.
"Stavo dicendo che per quanto il Signor Holmes non le abbia ancora detto nulla
a riguardo, non mi sembra troppo felice di dividere l'appartamento con lui. L'ho
visto io stessa iersera, mentre lei era al suo club, con l'attizzatoio sollevato ed
il suo cane che gli abbaiava come un pazzo!"
Beh, questo era troppo! Il Signor Holmes ed io eravamo divenuti coinquilini da soli pochi
giorni, eppure io ero stato costretto a sopportare i suoi prodotti chimici, il suo violino
nelle ore più incredibili, quel suo continuo fumare la pipa, per tacere del suo
comportarsi come se non fossi presente quando le paturnie lo prendevano: era capace di
iniziare una piacevole conversazione solo per interromperla a metà frase per poi
andarsene senza una sola parola di scusa. Ma il mio cane!
Corsi su per le scale con l'intenzione di chiedergli delle spiegazioni, ed al mio
entrare nel salotto trovai Holmes in persona nella sua giacca da casa grigio topo,
languidamente abbandonato nella sua poltrona - com'è che ha deciso che quella è la sua
poltrona ancora non l'ho capito: piace anche a me, benedetto lui!. Egli uscì
immediatamente dalla sua reverie e chiamò il mio cagnolino. Ovviamente questi gli
corse vicino e fu ben felice di ricevere le attenzioni che il mio curioso coinquilino gli
stava dedicando.
"Che bella cosa è un cane ! Solo ieri mi ha abbaiato contro, credo per via di quella
nota alta su cui mi stavo esercitando, ed ho dovuto minacciarlo con l'attizzatoio per
calmarlo. Eppure oggi mi viene incontro come se nulla fosse successo. Proprio come un
bambino, non trova, dottore?"
"A dire il vero no." Era tutto così incredibile!
"Sì, forse"E perché non ha un nome?" mi chiese indolente, ormai
nuovamente perso nella reverie.
"Perché non mi appartiene, ecco perché."
" Già"già. Certo." Sapevo che non era più con me. Avrei potuto parlare
di qualunque cosa, per quanto lo riguardava. Poi, "Già, è proprio così !" E
balzò in piedi, facendo abbaiare il cucciolo dallo spavento.
"Dottore - si voltò irato verso di me - come possa tollerare una creatura così
infernale proprio non lo capisco. Beh, benedetta donna!". così dicendo iniziò a
gettare in aria tutte le carte e le lettere inevase che riceveva giornalmente e che soleva
mettere sulla mensola del caminetto, con un pugnale d'argento poggiato sopra a mò di
fermacarte. La signora Hudson le avrebbe preferite in ordine dietro il porta-pipe di
Holmes, ma gli spasmi di frenetica attività del mio coinquilino avevano già minacciato
di farlo volare attraverso la stanza, proprio ciò che stava capitando ora al pugnale e
alle lettere.
"Ma Holmes, così non va! Come può pretendere di trovare ciò che sta cercando se si
comporta così" La sua risposta fu un grugnito ed un'ultima nervosa
ricerca che mandò all'aria la stupenda babbuccia persiana fatta a mano che la
signora Hudson ci aveva detto — non senza un pizzico di orgoglio — essere un
caro ricordo dei viaggi del suo defunto marito: ella le aveva appese a lato del caminetto,
ma il mio cucciolo di bull-dog aveva mostrato un certo interesse in loro ed io avevo
dunque preferito appoggiarle sulla mensola, dove erano irraggiungibili.
"Ora Watson mi faccia un favore, da bravo." Andò al tavolo della colazione e
scribacchiò poche parole su di un pezzo di carta. Quindi lo piegò in due e me lo diede.
"ora vada fino a Regent Street: all'angolo troverà un cieco che chiede
l'elemosina vestito di verde scuro. Gli dia questo e null'altro: saprà lui che
fare."
Tentai una timida protesta ma egli mi spinse a forza fuori dalla porta. non mi rimaneva
altro da fare che obbedire, e mi misi sunque in cammino per Regent Street: lì trovai il
mio uomo e mi ci avvicinai come ci si avvicina ad un cieco che elemosina. "Mi scusi
signore, il signor Sherlock Holmes" Non riuscii a finire la frase che
l'uomo balzò in piedi, mi prese di mano il pezzo di carta e —sebbene proprio
non saprei cosa possano voler dire le parole "Il colore è il rosso"
(specialmente per un cieco !) — se ne andò di buon passo senza proferir verbo.
Allibito, presi la strada del ritorno.
Cosa diavolo significava tutto ciò? Chi era quell'impostore che si guadagnava da
vivere fingendo la cecità? Ma soprattutto, chi era il signor Sherlock Holmes? Quale la
sua occupazione? E cosa lo connetteva ad un messaggio misterioso e ad un falso mendicante?
Con queste domande in mente mi ritrovai nuovamente alla porta del nostro salotto. Come la
aprii una calma innaturale mi si presentò: Holmes stava disteso sul divano, un quotidiano
tra le mani: la mensola del caminetta era nuovamente in ordine, sebbene per la mia
sorpresa le carte e le lettere erano ora infisse ad essa, trafitte dal pugnale
d'argento.
Mentre consideravo il cambiamento, Holmes mise giù il giornale e mi mostrò con quello
che mi sembrava uno sguardo colpevole un'altra delle sue innovazioni
all'arredamento del salotto: appoggiata al porta-pipe c'era una delle babbucce
persiane della signora Hudson, ora colma del suo tabacco. "Per quanto riguarda
l'altra " — disse senza guardarmi — "temo che il suo cagnolino
abbia approfittato della mia frenesia di qualche minuto fa". Istintivamente mi
voltai alla ricerca del mio cane, che trovai sotto il tavolo da colazione, mentre felice
squarciava gli ultimi brandelli del caro ricordo della nostra governante e padrona di
casa.
"Mi dispiace, dottore". Fu tutto ciò che Holmes aveva da dirmi. Quindi, senza
altre parole, raccolse il suo quotidiano e si chiuse nella sua stanza.
E' inutile dire che la signora Hudson se la prese solo col mio cane e, dopo molte
minacce di mettermi in mezzo a una strada, fui costretto a separarmi da quel tenero,
piccolo cucciolo che era stato così leale con me quand'ero appena arrivato in
Inghilterra, dove non avevo parenti né amici, ed a cui non avevo mai dato un nome perché
ritenevo che egli appartenesse solo a sé stesso. Per quanto concerne Holmes, penso che si
sia sentito in colpa per parecchio tempo, sebbene si sia assicurato che il mio cane
venisse affidato ad una persona che più tardi scoprii essere un suo lontano parente, un
certo dottor Verner.
La questione del cucciolo:
due confutazioni ed una ipotesi.
di Enrico Solito
Alcuni mesi fa un caro amico ci inviò un manoscritto da lui rinvenuto
avventurosamente in una polverosa biblioteca di un non meglio specificato istituto
dell'università di Ferrara. Egli aveva tradotto quelle poche righe e ce lo
rimetteva, suggerendo come possibile l'attribuzione a John H. Watson e richiedendo
una indagine del gruppo scientifico a ciò preposto dalla Associazione. Dopo diversi mesi
di lavoro non abbiamo ancora raggiunto un verdetto sicuro, e abbiamo preferito proporre il
documento alla considerazione di tutti, con le cautele del caso. Affianco infatti di
indizi che sembrerebbero indicare come giusta l'ipotesi del buon Di Francia (la
connection col Dr Verner, che rilevò lo studio di Watson: i particolari sul pugnale e la
corrispondenza: l'intrigante storia della babbuccia, che ne spiegherebbe un uso così
inusuale: il rispetto, tutto watsoniano, per l'animale fino al punto di non imporgli un
nome perché apparteneva solo a sé stesso: e soprattutto una credibile versione di come
siano andate le cose col cucciolo) ci vengono alla mente alcuni dubbi.
Primo, il comportamento di Holmes è assai confidenziale, al limite dello scortese: a quel
punto della loro conoscenza invece, l'investigatore non si permetteva ancora certi
eccessi cui Watson si abituò più tardi. La nostra impressione è che in quel momento il
buon dottore avrebbe reagito in modo assai diverso agli ordini di Holmes, probabilmente
mandandolo al diavolo. Questa obiezione, tuttavia, si può rispondere appellandosi a una
tarda scrittura del pezzo (dimostrata dal fatto che già mostra di sapere della parentela
Holmes-Verner, ignota al tempo di NORW,
nel 1903) e alla nota caratteristica di "coloritura" di Watson. Altra questione
è l'atteggiamento della signora Hudson che si lamenta della piccola peste. Proprio
in quei giorni, come si ricorderà, la signora aveva chiesto al dottore di aiutarla ad
abbattere il suo vecchio cane, che soffriva troppo (STUD): dunque era abituata ai cani, e certamente si sarebbe
affezionata da morire a un nuovo cucciolo che veniva a lenire il suo dolore. Anche qui,
tuttavia, si può rispondere che in effetti la signora, nel manoscritto in questione
sembra forse più preoccupata per le reazioni di Holmes che per il suo salotto. Ma se è
così, perché reagire in modo così rigido alla distruzione della babbuccia? E infine, se
le babbucce erano così importanti affettivamente, perché non reagire alla pretesa di
Holmes di farne un portatabacco? In quel momento, ricordiamolo, Holmes non pagava ancora
"come un principe" (DYIN),
anzi.
Ma tutte queste sono illazioni, e la nostra confutazione della paternità autentica di
Watson del pezzo trovato da Di Francia nasce in realtà da un'altra confutazione: noi
pensiamo che il cucciolo in questione non sia mai esistito.
Ma facciamo un passo indietro.
In STUD, nel fatidico primo incontro
tra Holmes e Watson, al Bart's, i due si interrogano sui vicendevoli difetti. Holmes
elenca i suoi (e Dio sa se avrebbe dovuto elencarne altri) e Watson fa lo stesso:
"Possiedo un cucciolo di mastino (I keep a bull pup), e ho un'avversione per
ogni sorta di frastuoni, perché i miei nervi sono ancora scossi. Mi alzo a ore
impossibili e sono terribilmente pigro"
Da questo momento il cucciolo sparisce. Non è più citato, non se parlerà più, e si
noti che i cani invece sono assai presenti nel Canone. E dunque di
qui parte uno di filoni di ricerca holmesiani: che è successo ? Molti sostengono che la
signora Hudson sia stata irremovibile nel tenere un cane. altri che Holmes l'abbia
cinicamente fatto fuori durante un esperimento chimico. Il manoscritto di Francia avanza
nuove ipotesi, che hanno il pregio di spiegare insieme questa ed altre questioni, come la
storia della babbuccia. Ma...
Cominciamo dall'inizio. Dove e quando sarebbe stato acquistato questo cucciolo? In
India dopo la battaglia di Maywand Watson giacque in un letto d'ospedale a Peshawar,
e non appena riuscì a riprendersi tanto da passeggiare nelle camerate fu colpito dalla
gastroenterite che per mesi e mesi lo tenne tra la vita e la morte. Ammesso che il
cucciolo fosse stato comprato prima della battaglia sarebbe stato adulto a quel punto. Se
invece la cosa avvenne dopo, subito prima della partenza c'è da domandarsi dove mai
il dottore avrebbe potuto procurarselo. Forse un regalo dei camerati inglese, qualcuno dei
quali poteva avere un cane "occidentale"? Ben strano regalo d'addio sarebbe
stato. Ma ammesso questo, come sarebbe stato possibile trasportarlo sulla Orontes nel
viaggio di ritorno, che durò un intero mese?
Dunque Watson si sarebbe procurato il cucciolo a Londra. Ma sappiamo che disponeva di una
modestissima pensione (11 scellini e 6 pence al giorno) e che era preoccupato per questo.
Con che cuore si sarebbe indebitato per un cane di razza? Nessuno glie lo avrebbe potuto
regalare, dato che "non avevo parenti in Inghilterra: ero libero come
l'aria". E infine, con che scusa introdurlo all'albergo sullo Strand
in cui aveva alloggio?
Ecco dunque un cucciolo difficile da procurarsi sia in India che a Londra, impossibile a
trasbordarsi in nave, inconcepibile ad ospitarsi in albergo. E per giustificare la
scomparsa del quale dobbiamo far violenza ai sentimenti filocanini della signora Hudson e
di Holmes. Si ammetterà che "c'è del marcio in Danimarca". E in effetti
abbiamo sempre pensato, non soli in questo, che questa battuta del cucciolo fosse una
classica imprecisione del ricordo di Watson (per quanto difficile fosse pensare che il
buon dottore si confondesse fino a tal punto) o un tentativo di darsi importanza agli
occhi di Holmes (ma a che scopo?).
Nuova luce sull'argomento sono state gettate dalle ricerche sullo slang anglo-indiano
d'epoca, che ovviamente Watson usava, essendo appena tornato da quella parte
dell'Impero. Pare proprio che "bull pup" fosse un termine scherzoso con cui
si indicava un tipo particolare di rivoltella. Ecco dunque sparire il cucciolo e apparire
una ben più comoda, per noi, arma! Ma: e perché mai possedere una rivoltella sarebbe
stato un vizio, per un ex militare poi? Quando oltre tutto vedremo poi che entrambe i
coinquilini ne possedevano? Non condividiamo quindi questa pista, assai amata dai colleghi
canadesi.
Infine, recenti ricerche suppongono che sempre nello stesso slang "to keep a bull
pup" possa indicare andare incontro ad accessi di cattivo umore. Nel contesto dello
scambio di frasi tra Holmes e Watson, questo sì che appare pertinente! Questo tipo di
soluzione sembrerebbe spiegare tutto: il mistero di un cucciolo mai esistito e il perché
Watson ne accenni proprio in quel momento. Chi contesta questa ipotesi fa notare come nei
volumi che si occupano di slang e neologismi non si fa menzione di questa espressione: ma
è ovvio che si tratta di una espressione caduta nel dimenticatoio.
Tracy nella sua monumentale Enciclopedia sposa decisamente questa tesi e noi ne siamo
francamente convinti. Coerentemente, dobbiamo considerare con dolore non autentico il
documento scoperto da Di Francia. Almeno, fino a nuove ricerche.